sabato 23 settembre 2023
Il mondo com'è (466)
Orest Adamovië Kiprenskij –
Luigi Serafini, l’artista autore del “libro più strano del mondo”, il “Codex
Seraphinianus”, si dice felice e soddisf atto, in un’intervista su “la
Repubblica”, di essere vicino di un artista russo a Roma, sepolto a Sant’Andrea
delle Fratte, in una cappella: “Ottimo pittore, fece tra l’altro il ritratto di
Puškin”. È Kiprenskij, pittore romantico per eccellenza, che dopo il ritratto
di Puškin nel 1827 tornò in Italia, dove era stato in precedenza, negli anni di
formazione, e dove ebbe più vasta fama, se non fortuna. Lavorò soprattutto a
Napoli: dipinse tra l’altro un quadro che ben figura ancora al Palazzo Reale,
“Bambini pescatori napoletani”, e un “Letture politiche”, un quadro comprato in
Russia (ora alla Galleria Tret’jakov, a Mosca), ma ribattezzato “Lettori di
giornali a Napoli”, il titolo di Kiprenskij ritenendosi allusivo ai moti
politici del 1830.
Morire d’amore
Due
ragazzi spensierati a Giarre, Catania, nel 1980, di amicizia troppo intima per
amici e familiari, vengono uccisi, con due colpi di pistola - la protesta del nascente movimento omosessuale
si concretizzerà nell’occasione nella fondazione di Arcigay. Dagli atti delle
varie inchieste e dalle memorie che ne seguirono Beppe Fiorello ricava una
narrazione svelta, sempre ben caratterizzata, specie nei legami familiari stretti
dei due ragazzi, e delle loro amicizie,
sempre equilibrata malgrado la lunga durata del film, senza stereotipi. Con una
ricostruzione apparentemente semplice dell’epoca, benché di fatto molto
articolata, tanto risponde con esattezza a chi ne ha personale memoria.
Il
titolo è naturalmente riferito al rapporto fra i due ragazzi, prima benedetto
poi esecrato, ed è preso da una canzone di Battiato, non correlata alla
vicenda. Sono le immagini, i colori, i suoni, i tempi, l’ambientazione, non la
colonna sonora, a dare spessore e tonalità al film. Un’opera prima da regista, del
“fratello minore” ma già cinquantenne, come da film-maker di esperienza.
Beppe
Fiorello, Stranizza d’amuri, Sky
Cinema
venerdì 22 settembre 2023
A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (538)
Giuseppe Leuzzi
La famiglia di Inès Cagnati (v. sotto, “La donne del
Nord”) è una delle tante, venete e romagnole, centinaia di migliaia, che hanno
bonificato per Mussolini, morendo di malaria, l’agro romano, e anche le paludi
pietrose del Sud-Ovest della Francia, dove pure erano disprezzati, e senza l’ausilio di una Opera Bonifica –
qualche ruspa. Non molto temp fa, tre le due guerre, meno di un secolo. Un
altro motivo per dire il Nord ora ricco perché era povero, e il Sud povero
perché era ricco, favorito dalla natura – è, era, vita grama nella Padania, che
tanto si magnifica.
L’ex ministro leghista Castelli
lascia la Lega perché “con Salvini c’è
stata una deriva meridionalista”. Non è vero: al Sud Salvini Premier ha avuto
nel 2022 un quinto\un sesto del voto ottenuto al Nord, dal Piemonte al Friuli e
alla Romagna. Ma per il lecchese Castelli non basta. Si continua a sottostimare
la Lega.
“Non so perché i contadini
aragonesi trattano bene i loro muli ma in modo indecente i loro asini. Se un asino
non si muoveva era piuttosto normale dargli un calcio nei testicoli”. Orwell se
lo chiede in “Omaggio alla Catalogna”, il racconto della sua disillusione da
volontario nella Guerra di Spagna. Ci si chiede spesso dov’è l’eredità
aragonese al Sud. Al tempo degli asini evidentemente c’era.
La “donna del Sud” il padre
di Corrado Alvaro lodava, dice lo scrittore in “Memoria e vita”, “con un
linguaggio aperto, fiorito”. Ed “esse
«si spaccavano dalle risa», come egli diceva” – “non c’era che lui a saper fare
ridere le donne più bisbetiche come sanno essere bisbetiche e virili le donne
da noi”.
Agosto capo d’inverno
Agosto è “capu d’‘nvernu”
nella (vecchia) sapienza calabrese – e siciliana: “Austu e riustu, capu ri
‘mmernu”, agosto e ferragosto capo d’inverno. Sembra bizzarro, soprattutto
dopo la siccità prolungata e la grande
calura di questa estate, ma Corrado Alvaro ne sottolineava la proprietà in una
nota, “Agosto”, pubblicata su “L’Approdo” invernale, il n.1, gennaio-febbraio
1952: “Agosto, capo d’inverno, dice il proverbio”, per la luce declinante: “C’è
un tratto rosato e turchino al tramonto. Il sole pare illuminare la terra di
striscio”. Per le prime piogge: “Le nubi si sono schierate sui monti. Scompaiono, riappaiono. Pioverà, sospira la
città”. Per il senso del tempo: “È il mese che si fugge e che si cerca. È l’estate
piena, e già declina. I giorni sono più brevi, altrimenti i campi arsi non
potrebbero sopportare più a lungo il sole. Al mattino le piante sono rinfrancate e vegetano
buttando i getti nuovi. Spuntano nell’arsura nuovamente i fiorellini semplici.
È la rugiada che scende provvidenziale nella notte…”. Per la filosofia inevitabile
della vita. “È il gran mese, che sembra interminabile ma che lascia il dubbio
di non avere profittato abbastanza dei suoi frutti che ormai ci sono tutti
quanti, dalla pesca all’uva e alla nocciola. È il mese pieno e ricco”. Per tutti:
“Anche per i più poveri c’è da mangiare. Nel sud le siepi offrono un frutto al
passante, il ficodindia”. Anche ora – quest’anno in ritardo, a settembre.
La donna del Nord
Inès Cagnati, la scrittrice
francese che ha raccontato la vita grama della famiglia di origine, figlia di immigrati poveri, due braccianti, lui, Ruggero,
di Refrontolo (Treviso), e lei, Teresina, di Vicenza, emigrati in Francia, nella
regione arida e paludosa del Sud-Ovest, con cinque figlie, ricorda anche una
legione di zie, tutte secche e vestite di nero: “Ognuna di noi ha una zia per madrina.
Potrebbe essere divertente se le mie zie non fossero tutte vestite di nero da
quando le conosco e se non si avesse questa impressione di essere
accompagnate da fantasmi neri”.
La narratrice non se ne fa una ragione : “Trovo molto
triste di essere stata battezzata così. La mamma dice che non si poteva fare
altrimenti, che tutte le zie zie sono così e non c’è niente da fare, ed è
vero”. Tanto più deprimente in
quanto “le nostre madrine non ci offrono mai niente.
Alla madre, che “adora i romanzi
d’amore”, glieli presta la zia Gina. “Perché anch’essa li adora, ed è strano
perché la zia Gina è sempre secca e vestita di nero. È spaventosa a vedere. Tutte
le mie zie sono così, e io ne ho molte. A vederle tutte insieme si penserebbero
un esercito immobile di ceri in lutto. Anche i cani se ne accorgono”. Un giorno
che vennero a casa tutte insieme il cane si è gettato davanti alla porta di
casa, e là, la testa ritta verso il cielo, le zampe tese, ha cominciato urlare a
morte….”.
Il Nostos rivisitato
Nel testo tanto seminale
quanto trascurato, “Memoria e vita”, la ventina di pagine messe giù nel 1942,
alla morte del padre, Corrado Alvaro fa, oltre che il quadro di una società
locale, il suo paese di origine, San Luca, a fine Ottocento e cinquant’anni dopo,
anche un ripensamento dell’emigrazione, e del “ritorno”, il nostos. Che più diretto spiega nel
componimento poetico che accompagna la memoria, “Il viaggio”: “Sono tornato al
mio paese\ e ho ritrovato tutto come prima”, ma come morto, “tutto era fisso,
era bianco\ e sorridente nella morte”. Ci trova anche l’inimicizia, e l’invidia
– si è brindato vent’anni prima al suicidio del fratello: “I figli simili ai
padri\ e i padri simili ai nonni.\ Ma erano molto meno allegri\ e molto meno
felici,\ e molto più poveri\ e molto meno amici”.
Anche il padre ultimamente lo guardava con sospetto:
“Quanto a me non mi capiva più, e disse una volta che non sembravo nato nel
nostro paese” – “Memoria e vita”.
Cronache della differenza: Napoli
La Procura di Napoli è la più
grande d’Europa, 9 aggiunti e 102 sostituti. Non la maggiore popolazione da
servire, 1,4 milioni – la Procura di Milano ne serve il doppio, quella di Roma
quasi tre volte tanto. La più grande zona criminale d’Europa? Il più grande
impieghificio? Il nuovo Procuratore Capo Gratteri ha esordito dicendo che non tollera
colleghi che arrivano in ufficio alle 10 di mattina, o che arrivino martedì
mattina e se ne vadano giovedì pomeriggio, in barca.
Il giudice Gratteri è
calabrese. E un Procuratore Capo calabrese a Napoli non depone bene – col
precedente, il giudice Cordova, altro candidato residuo alla Procura Nazionale
Antimafia come Gratteri, finì a rissa. Napoli non apprezza la Calabria sotto nessun
punto di vista, e nemmeno la Calabria Napoli. Sarà stato per questo che la
Calabria era l’area più desertificata del Regno di Napoli o delle Due Sicilie.
Per portare Maradona a
Napoli, tredici miliardi di lire, il presidente del club Ferlaino tempestò e
ottenne la fidejussione dal Banco di Napoili. Poi il presidente del Banco
Ventriglia ci ripensò, “perché in città c’era stata una sollevazione popolare”,
contro lo spreco.
Ma Ferlaino fu “più lesto”,
spiega a Monica Scozzafava sul “Corriere della sera”. Corse in banca, prese la fidejussione
e lasciò Napoli. La protesta però “costò il licenziamento della persona che materialmente
mi aveva consegnato il documento”. Quando si dice il destino.
La città ha entusiasmi non
prevedibili.
250 nuovi vigili urbani,
assunti all’inizio dell’anno, hanno dovuto comprarsi la divisa, perché il Comune non ha ancora avuto il tempo di fare
la gara d’appalto. Questa è una notizia. Un’altra è che la divisa è costata 70
euro, tutto, panno, fodera, fili e manodopera.
Si celebra per qualche ricorrenza
il ricordo del batiscafo “Trieste”, che per alcun decenni gli scienziati francesi Piccard, padre e figlio,
usarono per esplorare gli oceani ad altissime profondità. Un gioiello che vollero
costruito, negli anni 1950, a Castellammare di Stabia, La Campania ha una nobiltà
metalmeccanica – ora perpetuata
dall’avionica – di cui si parla poco nelle polemiche Sud-Nord. Napoli,
il napoletano, si vogliono magniloquenti – “magnogreci”, come disse l’Avvocato Agnelli
di De Mita. La capacità di “riparare ogni cosa”, che il filosofo tedesco
Sohn-Rethel gli riconosceva, non li appassiona. I cinesi invece ci hanno
costruito un impero, ricchissimo, in pochi anni.
“A metà ‘800 Gragnano vantava
100 pastifici che producevano oltre 1.000 quintali di pasta al giorno”. Unità
funesta?
“Nel 1800 a Gragnano anche
la larghezza delle strade e l’altezza dei palazzi erano studiati per favorire
l’essiccazione ottimale della pasta”.
Tutto a Napoli “esplode”, e
quindi “esplode la protesta” nei titoli in tv e nei giornali anche per il
reddito di cittadinanza, di cui la città e viciniori sono stati beneficiari
massimi. Ma 500 in piazza, benché mobilitati da Cgil e Pd, non sono grandi
numeri. Nei confronti del grillesco reddito di cittadinanza la città si può dire
riflessiva – ci sono limiti alla stupidità.
Sono invece “solo 200 al
corteo per Caivano”, contro le reiterate violenze sulle due cuginette di 13 e
10 anni. Quelli delle associazioni e i centri di solidarietà contro la violenza
sulle donne. E il grande cuore?
“La Campania Felix della
maturità”: il diplomificio d’Italia.
Delle licenze liceali. Con corsi anche accelerate,
quattro anni invece di cinque. Basta iscriversi a uno dei 90 e più licei parificati
di Napoli e provincia. La “cintura di Napoli”, lo 0,4 per cento della
superficie nazionale, concentra il 50 per cento dei diplomifici italiani, 46
istituti private.
La scuola come business. Ma sempre con la fissa della
“copia”, invece di un lavoro ben fatto, a proprio nome.
Si parlava “napoletano” nel Regno.
Rilliet, il medico svizzero che raccontò una spedizione militare di Ferdinando
II in Calabria nel 1851, nota degli albanesi che incontra la loro “lingua
particolare”, senza “nessuna analogia con il napoletano, che gli abitanti parlano
eccezionalmente quando si trovano con uno straniero”.
leuzzi@antiit.eu
Il sogno di Almodovar
La
prima scena è il sogno gay, dell’angelo carnale, l’adolescente musicante. Poi in
trenta minuti Almodovar in stato di grazia vara un nuovo genere di film, del
film-racconto invece del film-romanzo (una diversa versione del film a episodi
del cinema italiano di cinquanta-sessant’anni fa), coniugando il melodramma, la
sua passione, col pornosoft, e col western.
Proprio
con un duello al sole, fra due vecchi giovani amici di bisboccia in Messico,
col vino e a letto, poi killer a pagamento, poi separati, da una vita ormai, “venticinque
anni”. L’uno sceriffo, esecutore della legge inflessibile, l’altro cowboy nel
suo ranch – il sogno “casalingo” dell’uno
che l’altro rifiutò. Ma la passione è inalterata.
Pedro Almodovar,
Strange way of life
giovedì 21 settembre 2023
Berlusconi santo subito – 35
Non c’è solo il passaggio di
Bianca Berlinguer (Berlinguer…) a Mediaset, che solo qualche anno fa si voleva cancellare per referendum, c’è perfino
una campagna di riabilitazione dei cosiddetti “giornaloni”, tra essi soprattutto
“la Repubblica”, quotidiano già aduso, con Scalfari e dopo, a 5-6 articoli al
giorno contro, a voler riabilitare il buonanima. Non proprio, non
dichiaratamente, ma è un’altra faccia che si presenta. Con bei nomi a supporto:
Camilla Cederna il settimanale feminile, Marino Perniola “il Venerdì di
Repubblica”, Donata Scalfari in intervista fiume con Cazzullo sul “Corriere della
sera”.
Donata, la figlia minore del
Fondatore, già lei stessa per la verità nel “tg delle figlie”, quello montato
da Mentana per Berlusconi, dice che era tutto una farsa. Dopo Craxi, le ricorda
Cazzullo, “l’altro grande nemico fu Berlusconi”. “Papà lo trovava molto simpatico”,
è la risposta, “molto divertente. Prima della guerra di Segrate per il controllo
di Mondadori e di Repubblica, si vedevano spesso ad Arcore: Confalonieri
suonava al piano le canzoni che piacevano a mio padre, Berlusconi le cantava” -
e poi gli illustrava il suo “scannatoio” (ma la visita dei boudoir è raccontata come uno scherzo).
“D” ripropone un’intervista che
Camilla Cederna, nientemeno, fu mandata dall’“Espresso”a fare a Berlusconi
imprenditore edilizio sconosciuto nel 1977, un anno dopo l’uscita di “la
Repubblica”- quando la ricapitalizzazione già s’imponeva. Un compitino, che
Cederna svolge senza genio: “Un uomo non tanto alto, nemmeno una ruga, dai modi
gentili. E siccome è la sua prima intervista, è felice di raccontarmi la sua
vita felice”. Pensare: Berlusconi diede la sua prima intervista a “L’Espresso”.
E vi si potè fare l’apologia: “Si ritiene l’antitesi del palazzinaro, si
ritiene un progressista, è cattolico e praticante, ha votato Dc; e «se l’urbanistica
è quella che si contratta fra costruttori e potere politico, la mia allora non
è urbanistica»”. I pareri dei concorrenti sono l’opposto, ma Cederna non ha voglia
di credere a loro. È un ottimista, conclude, vuole fare una tv ottimista, finanzia
Montanelli per consentirgli di fare “Il Giornale”, massima sua aspirazione sarebbe
diventare presidente del Milan, e parlamentare europeo, “ci tiene anche a coltivare
al meglio la sua figura di padre, cercando di avere frequenti contatti coi suoi
figlioletti”.
Definitivo il primo lancio della
serie, sul “Venerdì di Repubblica” a Ferragosto: un ricordo di Marino Perniola,
“studioso originale e filosofo «eretico», di sinistra ma non marxista”, quello
che allora, anni 1960-1970, si diceva un “sitazionista”, un battitore libero.
Ma limitao a una sola sua tesi, da analista del Sessantotto, del “movimento”: “È stato Berlusconi a fare
il Sessantotto”, questo il titolo. Non a farlo, propriamente, per l’anagrafe
non poteva. Ma a realizzarlo: “Il Cavaliere realizzò le idee rivoluzionarie
degli anni Sessanta. A modo suo…”, questo il sommario. L’occasione c’è, la ripubblicazione
di un testo di Perniola, “Berlusconi o il ’68 realizzato”, la presentazione è
lusinghiera.
L’odio è ancora forte. Basta
leggere quanto si cita sui giornali delle memorie di Sarkozy, e della sua comare
Merkel – una specie d’imbecille, che ha rovinato la Francia delle periferie e ha
rovinato la Libia per rovinare l’Italia. Ma il Berlusconi deve morire si sta
trasformando in un Berlusconi santo subito. Compresi i figli. Comprese le
odiate sue aziende – che non hanno mai licenziato nessuno, nemmeno i giornalisti.
America fredda, da scuola creativa
Un
bus scolastico che cade nel burrone con tutti i bambini – il “dolce domani” è
quello che non ci sarà per i bambini di un paese di montagna dello stato di New
York, freddo, nevoso. La storia è della guidatrice, sopravvissuta. Di qualche familiare in colpa. Di un avvocato a
percentuale fra i tanti precipitatisi da New York nel borgo sperduto tra le nevi, che studia una
“causa civile di risarcimento”, innocentando la guidatrice per fare condannare
“l’amministrazione comunale, o il distretto scolastico o lo Stato o chiunque
altro dotato di tasche profonde e piene di soldi”.
L’impianto
narrativo vuole da 40 a 80 pagine l’uno per spiegare cosa fanno o pensano e
perché alcuni dei personaggi. Il genitore in colpa, un meccanico ex tenente in
Vietnam, è uno che seguiva col pick-up il bus, e ha visto l’incidente, ma nel mentre
che si affannava col pensiero sulle tette e le cosce dell’amante. L’avvocato
invece ha la figlia drogata all’Est, che però si rifà viva a New York avendo
contratto l’Aids – tema d’obbligo allora, il romanzo è del 1990. Sessanta
pagine sono lasciate alla ragazzina unica sopravvissuta, in sedia a rotelle,
vittima o orfana di pratiche paterne incestuose. Un ultimo capitolo è di
tecnica narrativa della suspense, con
un rodeo fra macchine rottamate. Oltre al fumo, la cocaina e altre sostanze, l’alcol
scorre a litri, in compagnia e da soli.
Il
libro è diverso dal film, non è un legal
thriller. È presentato come una storia dell’America della piccola
borghesia, di campagna e di città, sperduta tra periferie senza carattere e
ambizioni sfumate. Ma non attacca, in nessun momento, in nessun personaggio.
Sarà stato un esercizio di “scrittura creativa”: come la donna che guidava lo
scuolabus finito nel burrone può ricordare l’evento, mentre si occupa del marito
paralizzato, come un avvocato contingency
vive e pensa, furbo ma disperato, come vive un paese, di case singole e disperse, in America, o in
un’officina meccanica un ex tenente del Vietnam, che cosa fa una moglie bella e
sempre giovane con un marito diventato obeso e inetto.
Russell
Banks, Il dolce domani, “Corriere
della sera”, pp. 273 € 9,90
mercoledì 20 settembre 2023
Secondi pensieri - 523
zeulig
Confini – La riflessione,
il pudore, esteriorizzazioni comuni, sono limiti. Necessario l’uno, naturale,
forse, l’altro. Lo stesso il garbo e l’onore (lealtà) nelle relazioni, dovuti e
forse anch’essi naturali, in qualche modo o misura (non sono stati inventati o
derivati).
Dio – Senza Dio il mondo è senza ancoraggio e senza prospettiva – è il senza
Dio, il “Dio è morto”, di Vattimo. Vaga, per natura deperisce e non ha legge se
non quella del più forte – robusto, resiliente, armato (la guerra in Ucraina lo
mostra evidente, e più dalla parte della difesa, che è una difesa militare nel
quadro di un’offensiva strategica, di lungo periodo, geopolitica). La scienza
non è un Ersatz, ha ampiamente
dimostrato la sua indifferenza a bene e male, alla distruzione in uno con la
creazione, anche quella “a fin di bene”, anche ora nella transizione ecologica -
è un mezzo, non una provenienza o una direzione, un criterio.
Leviatano – Hobbes, che moriva nel 1679, lo ha trovato in Swift, che ne aveva scritto
nel 1667, “I viaggi di Gulliver”? Ernst Jünger lo ipotizza analizzando “I
viaggi” di Swift, “brillante e feroce satira delle Istituzioni sociali e dell’umanità
in generale”: “I viaggi di Gulliver
si fondano sul fatto che nella società vi sono grandi e piccoli, e non solo da
un punto di vista anatomico” (E. Jünger, “La forbice”, §72).
Dono – Marcel Mauss o chi per lui ha codificato
una economia del dono. Forse in un tempo o in un mondo senza possesso, se mai è
potuto esistere (ma la società, la distinzione prima del patto, il tu e io, non
è manifestato come possesso?). Col dono non si costruisce niente, e si possono
creare ostilità: chi è stato nel bisogno, se aiutato, non necessariamente è
riconoscente, non apprezza chi lo ha aiutato, o raramente, forse più spesso ce l’ha in odio.
Funziona
come strumento di potere. Ma allora perde le caratteristiche del dono –
gratuità, generosità.
Eroe – La parola e la figura retorica
più ricorrente: è eroe indifferentemente chi aiuta un nuotatore in difficoltà e
chi salva un naufrago in mare in tempesta. Specie se il salvatore è delle forze
dell’ordine. Un richiamo non corrispondente al significato e senso di eroe (“chi
dà prova di grande valore e coraggio affrontando gravi pericoli e compiendo
azioni straordinarie”, Treccani”): Ma rispondente, evidentemente, a un bisogno.
Di ordine.
Mentire - Si può mentire per necessità in Kant, e anche in in
L.Lombardi Satriani, “Menzogna e verità”, 297: “Per il folklore meridionale
l’uomo deve essere leale, non può ingannare, raggirare, mentire, deve mantenere
fede alla parola data: «L’omo ala
parola, li voi (i buoi) ali corna»”. La menzogna quindi costituisce reato. Però, la condizione di necessità
esime dall’obbligo di non mentire: “‘N
tempu di guerra menzogna come terra”.
È, di fatto, molta parte del bene. In senso figurato, fantasticare,
sognare: “Magnanima menzogna, or quand’è il vero\ sì bello che si possa a te preporre?” – T.Tasso,
“Gerusalemme liberata”, II, 22.
Mentre nella quarta passeggiata delle “Fantasticherie di un passeggiatore
solitario”, Rousseau propone una tassonomia della menzogna,
per scoprirsi bugiardo senza limiti nel tempo stesso in cui
più faceva proponimenti di essere
sincero e leale. Mentiva senza danno altrui?
Ottimismo –
Nasce dalla capacità critica, dalla ragione. Più o meno (meglio o peggio) del
pessimismo, che viene ritenuto la sola saggezza? La vicenda umana è
indifferente.
Baudelaire
ha straordinaria, costante, carica positiva, benché i suoi temi siano il peccato,
il male, la malattia, la morte. Quanto pessimista, al confronto, l’entusiasmo
di Rimbaud, e non per la vicenda umana.
Pessimismo
– Richiede
grandi energie, e anche creatività: Leopardi, Nietzsche, Baudelaire, Kierkegaard,
grandi scrittori, e instancabili, e molto profondi, sono grandi pessimisti.
Nietzsche ne celebra l’utilità scrivendo a Erwin
Rohde il 15 luglio 1882: “Il mondo è povero per chi non è mai stato abbastanza
malato per godere di questa «voluttà dell’inferno»”. In precedenza, in due
frammenti postumi, del novembre-dicembre 1878, diceva del pessimismo che,
nutrito da “infelici raffinati, come Leopardi”, può rendere l’esistenza tutta
intrisa di “dolce miele”. Per una sorta di snobismo, vendicativo. Ma
soprattutto per il fatto di dichiararlo – se di vendetta si tratta, allora è un
boomerang: “La loro vendetta, il loro orgoglio, la loro inclinazione a pensare tutto quanto soffrono, la loro
arte nel dirlo: tutto questo non è –di nuovo – dolce miele?”. Così come
“l’ascetismo è non di rado una scelta fatta per sottile epicureismo”.
In uno dei “Frammenti postumi 1881-1882),
scritto su una copia dei “Saggi” di Emerson, il pessimista Nietzsche è
apodittico: “La capacità di soffrire è un mezzo eccellente di conservazione,
una specie di garanzia per la vita: per
questo il dolore si è conservato; esso è utile quanto il piacere. Mi viene
da ridere quando ascolto gli elenchi di sofferenze e di miserie, con cui il
pessimismo cerca di dimostrare la sua legittimità – Amleto e Schopenhauer e
Voltaire e Leopardi e Byron”. Il pessimismo è un genere che Nietzsche
stigmatizzerà in un frammento ancora due anni dopo: “La specie Hölderlin e Leopardi: sono abbastanza duro per ridere della loro perdizione”.
Leopardi comunque opera per la “gloria”, come
dice in più di un punto. Artefice, di opere come opposte alla grazia, o
disgrazia. Come poi sarà di Baudelaire: il poeta (il creatore) non può essere
pessimista.
Possesso – Va con la personalità. È stato a
lungo, tra Sette e Novecento, imputato a una concezione del potere, di classe,
tra chi ha e chi non ha. In realtà ha, deve avere, anche “chi non ha”, il
povero, l’incapiente, l’impossibilitato. È un’estensione mentale prima che pratica,
che va con la coscienza di sé - la coscienza indotta dal fatto stesso di esistere,
ben prima della formazione o educazione, tanto meno dell’ideologia.
Predestinazione – Abiure, secessioni, guerre, molti morti, molte
durezze e molta teologia per che? Per un esercizio beffardo della coppia “filosofica”
Fruttero&Lucentini, nell’acclamato saggio “Il significato dell’esistenza”: “«Predestinazione o libero arbitrio?»” Siamo
sempre lì”, fanno dire a una affannato prete anglicano in fuga sull’Orient
Express. E da che? Dalla tentazione. Il reverendo, sposo devoto al suo Paese e
padre di due figli, alla stazione di Vicenza ha avuto un turbamento, per il
capostazione. E non perché il capostazione avesse un particolare appeal: “Era un uomo di forse cinquant’anni,
di sta tura media,….”, ma qualcosa “nel suo stesso portamento stanco e
ingobbito, nell’inclinazione disincantata del berretto, nel pigro movimento del
braccio che dondolava la paletta” ha catalizzato nello sventurato “confusi impulsi
e languori”. Quanto basta per riportare la dita “a Democrito, e al suo continuatore
Epicuro. Per Democrito, se gli atomi ti portano a Vicenza, il capostazione non
te lo leva nessuno. Per Epicuro, invece, non è detto al cento per cento: puoi
anche finire a Portogruaro”.
Viaggio – “I viaggi
prolungano la vita”, Corrado Alvaro.
zeulig@antiit.eu
Il femminino unitivo - l’eterno femminino gesuita
Una
consacrazione della femminilità, un secolo fa, a opera di un gesuita – non irriverente,
considerando l’attenzione, per quanto cauta, di Ignazio di Loyola per le donne al
suo tempo. E una riflessione costante nella
sua costante “ricerca di senso” al mondo, all’universo - nella caratteristica “visione cosmica
unitaria”, pur basata sempre sul reale, sul “fenomeno”, “Il Femminino ovvero
l’unitivo” è l’ultimo capitolo della summa del paleontologo e filosofo gesuita,
“Il cuore della materia”. Ed è anche “la formula più incisiva ed efficace per
definire l’esito delle sue riflessioni sull’elemento femminile”. Riflessioni
che Teilhard aveva avviato durante la Grande Guerra, dove aveva servito come
barelliere: negli intervalli del servizio annotava le riflessioni occasionali,
e le mandava alla cugina Marguerite, che le custodisse “in caso di”. La cugina
non gli risparmiava commenti, il materiale
si accumulò, e una volta smobilitato un saggio pres e forma, “L’Éternel feminin”.
Questo
saggio, forse oggi il suo più attuale, però non si può leggere, nemmeno in francese: Teilhard de Chardin è un contemporaneo “nascosto”, un po’ dimenticato, ma una
ventina di titoli sono ancora fruibili nel mercato vintage, “L’Eterno Femminino” no. È, spiega l’Associazione, “un vero poema in prosa, nel quale
ispirandosi al cap. XXIV dell’Ecclesiaste, che tratta della Sapienza, e
sostituendovi il termine di Eterno Femminino, attraverso un susseguirsi di
significati analogici, affronta il tema dell’amore. Indicandolo come forza di
unificazione ne segue le successive fasi di sviluppo che vanno dalle attrazioni
primordiali tra gli elementi fisico-chimici, alla forza riproduttiva nel mondo
vivente, alla funzione spiritualizzante che l’amore può assumere a livello
umano, alla forza salvifica che gli ha attribuito Cristo. Il femminino,
presente fin dalle origini del mondo, è stato, «il lieve fremito che ha
insinuato negli atomi… l’inquietudine oscura e tenace di uscire dalla loro
annichilente solitudine, per agganciarsi a qualcosa fuori di essi»”.
È, si può dire, il leitmotiv del papa in cattedra,
Francesco, il papa gesuita. Ma con qualcosa in più, il sesso. La sintesi dell’Associazione
dà nota di molte riflessioni di Teilhard de Chardin sul tema. Una in
particolare è speciale, nell’ultimo saggio a carattere autobiografico, “Il
cuore della materia”: “Mi sembra
indiscutibile (de iure e de facto) che nell’uomo - anche votato, e per quanto
votato sia, al servizio d’una causa o d’un Dio – nessun accesso alla maturità
ed alla pienezza spirituale sia possibile al di fuori di qualche influsso
‘sentimentale’ che venga a sensibilizzare in lui l’intelligenza ed eccitare,
almeno all’inizio, le sue potenze d’amore. Come non può fare a meno della luce,
dell’ossigeno o delle vitamine, l’uomo – nessun uomo – può fare a meno del
Femminino…”.
In una “Note de retraite”, appunto da pensionato,
sembra anche prefigurare il presente, individuando un “falso femminismo”, che
rischia di sopprimere l’evoluzione e la crescita del femminile – il femminile ha questo dono,
attira gli uomini e attira Dio.
Associazione
Italiana Teilhard de Chardin, Il
femminino ovvero l’unitivo, online
martedì 19 settembre 2023
Problemi di base di mercato - 769
spock
Extraprofitti delle banche con i tassi alti oppure con i costi
moltiplicati, per i correntisti?
Perché tenere la liquidità in banca, a disposizione della
banca, costa così tanto?
Perché i fondi comuni d’investimento perdono sempre, anche
quando le Borse sono ai massimi?
Il libero mercato libera i tori
(i ricchi)?
E le pecore?
C’è un mercato per tutto ma non
per tutti?
spock@antiit.eu
Calabria bizantina, un monumeno di Orsi
Nel 1929 Orsi, già in pensione
a Rovereto, dopo i quasi quarant’anni in cui aveva inventato, letteralmente, l’archeologia
magnograca in Calabria (Locri, Crotone, Cirò, Sibari, Nocera Terinese). e anche
in Sicilia, riunisce su suggerimento di Zanotti Bianco iI contributi che era venuto
elaborando sul periodo bizantino della Calabria. Su chiese e monasteri dei
monaci basiliani. Un patrimonio che in piccola parte, la Cattolica di Stilo, avev contribuito a recuperare e restaurare. Che poi sarà rivalutato recentemente, con
i fondi europei per le culture minoritarie. Oltre la Cattolica, aveva studiato le
chiese di San Giovanni Vecchio, sempre a Stilo, di Santa Maria di Tridetti a Staiti, Santa Maria di Terreti, S. Adriano a San
Demetrio Corone, in area albanese, il complesso Siberene a Santa Severina, il
Patirion di Rossano. Quasi tutto il patrimonio bizantino poi recuperato, si può
dire, con le sole esclusioni della chiesa e i monasteri di san Giovanni Therestì
sopra Bivongi, e la Roccelletta di Borgia. Ora anch’essi restaurati. E una serie
di monumenti in parte catalogati ma ancora in rovina. mancando un Paolo Orsi: la
Panaghia di Caminia, l’eremo di Monte Stella. E altri semiabbandonati: il
tempietto di San Giorgio a San Luca (di devastazione recente…), e rovine sparse
sull’Aspromonte.
Un
regalo. Donzelli ha ristampato qualche anno fa la riedizione 1992 del volume
originario di Orsi (1929), per la cura di Carlo Carlino, con le foto d’epoca e
i rilievi dell’assistente d Orsi, Rosario Carta. Una pubblicazione fuori commercio
per gli Amici del Comune di Stilo, che la libreria Chiari di Firenze rende
disponibile su amazon.
Paolo
Orsi, Le chiese basiliane della Calabria,
Donzelli, pp . 233, ril., ill,. € 19
lunedì 18 settembre 2023
Letture - 531
letterautore
Bocca
al cucchiaio –
L’editore Bompiani ne fa un rituale contadino nelle memorie (“Dialoghi a
distanza”), a proposito di Corrado Alvaro, uno dei suoi autori, di cui rileva:
“Quel chinarsi continuo diventava rituale come i lamenti delle prefiche”.
Italo
Calvino –
Fu “trinariciuto”: nel 1948 riduceva Orwell a “libellista di second’ordine”, scrivendone
a Geno Pampaloni. In linea con Togliatti – “un’altra freccia aggiunta all’arco
sgangherato della borghesia anticomunista”. Poi naturalmente ci ripenserà: “Che
si sia tardato ad ascoltarlo e comprenderlo non fa che provare quant’era in
avanti rispetto alla coscienza dei tempi”. Ma “La fattoria degli animali” fu un
successo istantaneo e planetario all’uscita, nel 1945. E si voleva già nel
titolo una favola, genere da Calvino prediletto, “Animal Farm. A fairy Tale”.
Cappello
–
Fa, avrebbe dovuto fare, la rivoluzione, dopo aver fatto l’imperialismo?
“Intorno a questo cappello, mentre la nave attraccava, si svolsero i suoi
pensieri: i cappelli europei di tutto il mondo, sparsi fino ai confini della
terra, come il segno di un dominio e un privilegio, come se coi cappelli si
svolgesse un’intera civiltà e un modo di pensare: l’Europa, il suo potere di
livellamento, la sua civiltà esclusiva, la sua forza”. Il protagonista di
“L’ultima delle mille e una notte”, il racconto di Corrado Alvaro della raccolta
“Il mare”, il lestofante Mosco, si salva per nave da Parigi a Costantinopoli.
Dove, ha letto su un “grosso titolo” di giornale, “Mustafà Kemal sta per decretare
l’abolizione del fez”. E dove un suo compare lo attende “sotto un cappello
grigio a tese larghe che gli parve un casco coloniale”.
Il cappello è la civiltà, continua Alvaro.
Sulla banchina Mosco incontra poi un vecchio che aspettava la gente allo sbarco
e non vendeva altro che “quattro fiori di stoffa gialla e rosa”: “Parve a Mosco
che quest’uomo fosse il simbolo di una civiltà intera, un essere ozioso contro
la cui razza l’Europa faceva una delle sue conquiste. Quegli offriva delle
rose, questi offrivano un cappello. Due cose che apparentemente si
equivalevano, due cose oziose, e in esse erano due civiltà”.
Alvaro è stato da giornalista a lungo in
Turchia, un’esperienza da cui trasse un libro di successo, edito da Hoepli nel
1931, “Viaggio in Turchia”. Sbarcò a Istanbul quando Kemal Atatürk decise di
proibire il fez, e ne fa nel racconto una divertita anamnesi. Ma insiste
sul fatto simbolico: “I cappelli, le automobili erano altrettanti segni di
civiltà che non vuol morire, che si nutre della morte delle altre civiltà, che le
adatta a sé e le uniforma, che vivrà fino a quando vi saranno delle terre da
scoprire e da occupare. Occupare con qualunque segno”.
Grecanico
–
La parlata greca nell’estremo lembo della Calabria, prospiciente capo
Spartivento, Gerhard Rohlfs, che la studiava da vari decenni, rilevava nel 1969
limitata ai “piccoli centri isolati di Roghudi e Gallicianò, frazione di
Condofuri” – mentre a Bova e Roccaforte, paesi più consistenti, Vua e
Vunì in grecanico, la grecità rilevava “oggi quasi estinta”. Poi è venuta
l’Unione Europea, con la protezione delle minoranze linguistiche, e molto si è
potuto recuperare, un’ora di greco alle medie e le targhe stradali soprattutto,
e i festival estivi – meglio è stato fatto in aree non grecaniche, col recupero
di templi, conventi e riti greco-ortodossi.
Guerra
-
“Ormai eravamo vicini al fronte”, annota Orwell in “Omaggio alla Catalogna”, il
ricordo del suo volontariato nella guerra civile in Spagna, subito dopo lo
sbarco a Barcellona, “abbastanza vicini da percepire il tipico odore della guerra,
che, per la mia esperienza, è un odore di escrementi e di cibo in
putrefazione”.
Guerra
di Spagna –
“Circa duemilatrecento combattenti inglesi partono per la Spagna e, nel solo
triennio 1936-1939, pubblicano settecentotrenta opere tra romanzi, raccolte di
poesie e resoconti giornalistici (Emilio Sanz de Soto, “Les écrivains et la guerre
d’Espagne”, “Le monde Diplomatique”, aprile 1997). Una guerra scritta.
Mazzini
–
Lo citano - lo ricordano - ormai solo le destre, il suo “Dio, Patria, Famiglia”
è la trinità dei conservatori, secondo i manuali di Destra e Sinistra. E il
cardinale Ravasi: sul “Sole 24 Ore Domenica” riprende il suo “Doveri
dell’uomo”. Il cardinale si vuole pietoso?
Un’eclisse sintomatica? Di che?
Dell’Italia unita – monarchica, piemontese? Dei doveri, repubblicani – nell’età
dei diritti?
Narciso
- È
sdoppiato in Corrado Alvaro: è una coppia, e non esprime la superbia ma
l’amore, come scoperta costante. “Conosco di te ogni cosa\ senza dirmelo, come
d’una\ sorella andata sposa” –
“Narciso”, in “L’Approdo Letterario”, n. 8, ott.-dic. 1959 (ora nella raccolta
“Il viaggio”) – “non c’incontreremo più se ci perdiamo”.
Orwell
– Il suo “Omaggio alla Catalogna” viene corretto dai traduttori, e anche dagli editori
inglesi, come se non sapesse scrivere. Gli editori “da un certo momento hanno
«corretto» il testo tradendo, quasi certamente, l’intenzione dell’autore”, sbuffa
l’ultimo traduttore del ricordo della guerra di Spagna, Francesco Laurenti. In
“Omaggio alla Catalogna”, spiega Laurenti, “Orwell crea una lingua modesta, ma
non sgangherata (improntata all’economia linguistica e alla ripetizione),
capace di parlare a tutti”. Per una “sua ambizione di letteratura socialista.
Una lingua quasi orale e «demotica», ovvero quotidiana e tendenzialmente
colloquiale”. Che rifletteva anche la composizione mista delle formazioni di volontari, “la dimensione di peculiare
eteroglossia, quasi postbabelica, che caratterizza il Fronte Popolare. Da
attento osservatore degli accenti della lingua parlata e dello spelling, ripropone la molteplicità di
voci ricorrendo ad accenti volutamente
impropri e a trascrizioni «propriamente errate»”. Un fatto quasi sempre non
tenuto in conto dai suoi traduttori, quasi fosse uno scrittore della domenica,
da “nobilitare” con le regole della grammatica e della compitazione. Ma anche,
ultimamente, dai suoi editori.
Puglia
–
Non è teatrale? “La Puglia allora non era di moda”, commenta Cazzullo con Lino
Banfi, che intervista sul “Corriere della sera” come “il grande vecchio” della
scena: “Modugno passava per siciliano, Arbore per napoletano”. Allora negli
anni 1950-60, all’avvio della carriera di Banfi in teatro. “Non avevamo
tradizione teatrale”, risponde Banfi, “non abbiamo avuto Pirandello o Eduardo”.
Dopo non ce ne sono stati molti, Banfi, Abatantuono da lontano, e Checco Zalone.
Roma
–
“Roma è una città che dei giorni pare dimenticata, abbandonata, morta, né più
né meno che Palmira o Pompei.”, Corrado Alvaro, incipit del racconto “Quel
giorno” (in “75 racconti”), di settanta-ottanta anni fa.
11
settembre –
È sinonimo di Torri Gemelle, il primo atto di guerra subito dagli Stati Uniti sul
proprio territorio. Ma è anche, lo era prima, la data del rovesciamento e
l’assassinio di Allende in Cile, uno de tanti interventi, diretti o mascherati,
degli Stati Uniti nel mondo nel dopoguerra. Quest’anno, ricorrendo i cinquant’anni
dell’evento, l’11 settembre cileno è stato ricordato. Ma senza gli Stati Uniti
– solo una spolveratina di Kissinger, degli anti-Kissinger. I due eventi nella
stesa data si potrebbero collegare – astralmente?
Zona
Lausberg –
Dal nome del “romanista” (linguista) tedesco Heinrich Lausberg, che l’ha
individuata e classificata un secolo fa (“I dialetti della Lucania
meridionale”), è un’area dialettale lucano-calabrese, nella fascia delimitata
figurativamente da Maratea-Senise-Tursi a nord, in territorio lucano, e Diamante-Orsomarso-Castrovillari-Cassano
a sud che ha due tratti distintivi del sardo: il sistema vocalico e la
conservazione delle –s e –t finali della coniugazione latina - il latino
“cantas”, tu canti, è “cändësë” in area
Lausberg, “cántas” in sardo.
letterautore@antiit.eu
L’antico greco in Salento e Calabria
“Saggi di storia
linguistica” è il sottotitolo. Una serie di ricerche sulle “parlate italogreche
(Calabria e Salento) nel complesso dell’Italia dialettale di oggi” - per
Calabria intendendosi la parte Ulteriore, dai golfi di Lamezia e Squillace in
giù. Rohlfs sosteneva convincentemente che queste persistenze - “grecanico” in
Calabria, “grikò” nel Salento - sono derivate da sostrati antichi e non da colonizzazioni
recenziori, bizantine, neogreche. Per alcuni costrutti che sono greci e non neogreci.
Qui fa l’ipotesi che le persistenze non siano dei secoli della Magna Grecia ma
della cristianizzazione, il greco essendo stato la lingua della prima evangelizzazione.
Il cui uso sarebbe stato perpetuato in Calabria e Salento (le due regioni si
sono scambiate la denominazione, Calabria, come è noto, era un tempo il Salento
odierno) dai primi monaci e poi dai conventi. Una tesi che ritiene confermata
dalla localizzazione del dialetto greco nel Salento, in un’area ristretta e
omogenea, una sorte di isola: “Nel Salento si tratta, nella sua estensione
originaria, di una regione unita, alquanto grande, che si stacca nettamente dal
territorio linguistico romanzo – e si estende precisamente fra i due centri dell’antica
grecità nel territorio messapico: Καλλίπολς e ‘Υδρους”, Gallipoli e Otranto.
Ricerche
semplici, quasi tutte sull’uso comparato dialettale fra le tante località delle
due aree, di serie di proverbi, sentenze, modi dire di uso comune. Appassionante,
nel discorso per il conferimento della cittadinanza onoraria a Bova, in
Calabria, la lunga elencazione di nomi, di persone, animali e cose, toponimi, modi di dire ritracciati tali e quali in Grecia, nell’onomastica e toponomastica
classica e odierna. Specialmente elaborata la toponomastica greca nel
Salento.
Con molte mappe dei luoghi
citati. E indici dettagliati dei nomi, onomastico e toponomastico. L’ultimo
saggio, circostanziato, è sul gioco dei dadi – degli astragali.
Gerhard Rohlfs, Calabria e Salento, Longo, pp. 208, ill.
€ 25
domenica 17 settembre 2023
Ombre - 685
Von
der Leyen e Metsola per affrontare il problema migranti, socialisti per
l’impossibile via libera. Mai fare accordi con i governanti africani è il mantra
di Borrell e Iratxe Garcia, i due spagnoli che capeggiano l’uno la politica
estera Ue e l’altra il partito Socialista al Parlamento europeo. Che dalla
Spagna vengano lezioni di democrazia sembra difficile. Ma trovano eco immediata
in Elly Schlein, oca giuliva: mai fare accordi con i “dittatori” africani.
Anche se l’unico, e funzionante, è stato fatto da Minniti, del (vecchio?) Pd,
il partito che pare sia di Schlein.
“’Ndrangheta
dominatrice assoluta della scena criminale”, alla luce di una “struttura
coesa”, “delle sue capacità militari”, “e del forte radicamento nel territorio”
– così, con queste citazioni, “Il Sole 24 Ore” può sintetizzare il rapporto
annuale della Dia, la Direzione investigativa antimafia. È un mantra della Dia,
che lo ripete ormai da vent’anni, da quando ha scoperto la ‘ndrangheta. Ma
tutta questa “scena criminale” in Calabria? Sarà di fatto la regione più ricca
in Italia.
In
particolare la ‘ndrangheta della Dia domina, oltre quello della droga, i
mercati del Superbonus e del Pnrr. Qui però non ci vuole intelligenza, oltre
che violenza? O entrature? Abitando a Roma, si direbbe che il Superbonus sia
stato monopolizzato piuttosto dal Vaticano, che ha potuto mettere sul le enormi
cubature inutilizzate dei tanti ordini ormai esausti, comprese le chiese
sconsacrate. Con la garanzia, molto vaticana, che le pratiche (istruttorie,
licenze, permessi, cessione crediti etc.) sono istantanee, e inattaccabili.
Il
debito pubblico mondiale ammonta a 235 trilioni di dollari (235 mila miliardi),
calcola il Fondo Monteraio Internazionale. In calo per il secondo anno
consecutivo, ma sempre superiore ai livello pre-covid – la spesa pubblica si è
impennata per rivitalizzare l’economia dopo il covid. È comunque il 238 per
cento del pil mondiale. Il mondo vive su una bolla.
“Se
pensiamo che nel 2025 la Nigeria sarà più popolosa di tutta l’Unione Europea
capiamo a che cosa stiamo andando incontro”. Semplice, no? Ma lo dice Marion
Maréchal, della famiglia Le Pen, e quindi non esiste.
“La
sinistra italiana è l’unica forza politica al mondo che vuole tassare di più i
suoi elettori, ma questo è un altro discorso”, Aldo Cazzullo sul “Corriere della
sera”. No, è il discorso. Di un’insipienza, dai tempi di Berlinguer,
cinquant’anni fa – quando Di Mattia e Desario alla Banca d’Italia ammonivano
che il risparmio era anche operaio (ma anche Carli, col “debito pubblico tesoro
degli italiani”). Ammonivano a nessun effetto, la sinistra è dei signorini, che
come i muli vanno col paraocchi. Con le tasse dirette e la pioggia di tasse
indirette – le “patrimonialine” che si inventano per “fare il bilancio”, che
tutti paghiamo, ogni poche settimane
L’Italia
è nata col debito. Che ogni pochi anni la mette in crisi. Il fatto è ricorrente
– e noto: è in tutte le storie economiche, molto chiara la più economica di
tutte, di Carlo Cipolla, “Storia facile dell’economia italiana”, negli Oscar.
Ma aggravata dall’entrata nello Sme-euro senza un consolidamento preliminare.
Ciampi e Draghi confidavano nel “vincolo esterno”, nella virtù imposta da
Francoforte, che invece ha acuito la questione debito.
Le donne non si
fidano, una (quasi) su due, se ha risparmi, li tiene liquidi sul conto.
All’indagine Unicredit si dichiara “avversa al rischio” quasi una donna su due,
il 43 per cento. Si può criticarle, se non si fidano dei fondi comuni, che
tanti danni hanno provocato e provocano, che le banche tanto raccomandano, e
quasi impongono – un terzo, un terzo e un terzo?
Quando
Bianca Berlinguer era in Rai il suo programma era mediocre e gli ascolti
modesti. Ma nessuno lo diceva. Ora che è passata a Mediaset, subito Aldo Grasso
(“non ho bisogno di guardare il suo programma, è al solita pagliacciata”),
condanna il programma, la sua carriera in Rai, e perfino
il
nome.
Milena
Bertolini non si pente di nulla dell’incredibile Mondiale nel quale ha affossato
la Nazionale femminile di calcio. Tre o quattro gol in fotocopia, tutti di testa
su corner, altrettanti in superiorità numerica. Anzi, dà la colpa alle ragazze
che diceva di voler proteggere e valorizzare. E poi critica il nuovo allenatore,”un
ritorno al patriarcato”. Può fare peggio del matriarcato?
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L'occhio di Marx su Silicon Valley - con l'Ia torna il lavoro
L’industria tecnologica o
Silicon Valley è un posto dove “il denaro gener a denaro con una facilità che
che avrebbe fatto piangere Andrew Carnegie”. In una forma di capitalismo di
“carattere nevrotico”, che con una mano patrocina e finanzia partiti e politiche
progressiste e con l’altra preserva e impone “una struttura sociale profondamente
iniqua”. Per un difetto di origine. “Internet
è un caso particolarmente forte di un’industrtia basata sull’innovazione finanziata
dal governo. Ci sono voluti miliardi di dollari di denaro pubblico e decadi di gestione
pubblica per creare la rete. Quando la nuova infrastruttura cominciò a funzionare,
i privati se ne sono appropriti, destinandola a un uso puramente commerciale. “Ora
subiano le conseguenze di quella decisione. Un internet dominato dal profitto
viola la nostra privacy, amplifica la propaganda estremista, e intensifica
varie specie di ineguaglianze sociali”.
Anche dal punto di vista
industriale, è un settore che ha creato poche strutture solide. Il costo
crescente del denaro per effetto dell’inflazione, e il rallentamento conseguente
dell’economia, anche per effetto del covid, hanno ridimensionato le valutazioni,
e ridotto i margini: “Centinaia di migliaia di operatori del settore sono stati
licenziati”. Era un settore peraltro presto diventato maturo. La via d’uscita
delle criptomonete si è presto sgonfiata. Lo stesso il metaverso. Ora si punta
al rilancio con l’intelligenza artificiale, ChatGPT, Midjourney, etc. Che potrebbe
avere, quest’ultima, un impatto socialmente positivo: “È importante notare che l’IA
generativa è una tecnologia ad alto impiego di manodopera”.
Tarnoff, un economista che ha
cominciato a lavorare proprio nella Silicon Valley, nella tech industry, recensisce
due libri sulla storia del settore, ma con una vasta esperienza critica pregressa
– è autore di numerose pubblicazioni socio-storiche, ultimo “Internet for the
People”.
Marx che c’entra? Ha insegnato
che la storia “ha una struttura”. Che non è “una sequenza puramente casuale di
eventi che possono essere espressi come la somma di scelte individuali”. Ci
sono anche limiti e vincoli. Specie quelli
economici, di “come la società produce le cose di la rete ha bisogno”. Un “approccio
materialista” che torna specialmente utile nell’industria tecnologica, la quale
non si mitizza nelle figure di questo o quell’innovatore, Steve Jobs o Mark
Zuckerberg, ma è fatta di idee, mezzi, strutture, e fallimenti.
Ben Tarnoff, A Marx for all seasons, “The New York
Review of Books”. 21 settembre
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