sabato 7 ottobre 2023
Letture - 533
I dolori di Lino Guanciale
“Un’estate
fa”“ è Franco Califano, Mina, memoria grata. E la serie sotto questo aseptto non
delude, le immagini sono quelle, e anche molto ricche eper una serie tv, da cinematografo,
del 1990 al mare: ragazzetti, ragazzette, svaghi, liti, prepotenze, fumo, languori.
In una spiaggia da sogno – si vaga tra il Salento - Porto Selvaggio, la pineta
sul mare, Gallipoli - e Castelfusano.
Ma poi c’è la storia: chi ha fatto il viaggio
ferale con Arianna, la ragazza di ogni virtù, la ragazza dei desideri, e poi l’ha
lasciata morire in fondo al mare? E qui si sa già come andrà a finire, al termine
degli otto episodi, quatro serate, un mese. E si compiange Guanciale, attore
versatile a teatro, in tv murato nel commissario Ricciardi di De Giovanni -
murato nella memoria, e ingombrante: volto onnipresente e di una sola piega, sofferente.
Davide
Marengo-Marta Savina, Un’estate fa,
Sky Cinema 1, Sky Documentaries
venerdì 6 ottobre 2023
Secondi pensieri - 524
zeulig
Ipocrisia – Può essere aggressiva, parte di un piano offensivo, ma è prevalentemente (anche
nella casistica offensiva) una forma di autoprotezione: un linguaggio difensivo,
una velatura di se stessi, che oggi si
chiama con eufemismo inadeguatezza. L’ipocrisia comincia da se stessi. Copertura
di proprie mancanze, o vere e proprie colpe.
Colpe anche solo presunte. Ma volersi ipocriti presume
comunque un grado elevato di coscienza: è un gioco complesso.
Libertà – È (sopravvive se) fatta di limiti. Altrimenti è eversiva, e sempre autodistruttiva – è nel senso comune,
all’evidenza.
In questo senso ha ragione anche Sartre, per il quale “la
Francia non è mai stata libera come sotto i nazisti”, sotto l’occupazione militare
tedesca, per quattro lunghi anni. Che è una battuta, un voler “scandalizzare il
benpensante”, anche sfidare il senso comune (è vero il dritto e anche il
rovescio, in certo senso anche Hitler, perché no). Ma ha un senso: l’occupazione
ha spronato la Francia a volersi libera, l’ha liberata mentalmente, ha posto la
libertà al primo posto fra i bisogni, fra le convinzioni. In questo caso è una
libertà illimitata, ma è una libertà contro, un momento dialetticamente
negativo, “per” la libertà.
Meritocrazia – Se ne discute come criterio pedagogico e sociale. Sull’onda del dibattito
avviato in America sul suo impatto politico da Daniel Markovits, “The
Meritocracy Trap”, dal liberale, cultore di Hayek, Michael Sandel, “The Tiranny
of Merit”, et al., sul merito come
una forma di appiattimento culturale che ha portato alla incredibile polarizzazione
economica, ora anche politica, della società americana del Millennio. Di cui si
porta l’ideologia del merito come la causa, e non il “mercato”, la plutocrazia
dominante - anche dello Stato e della sua articolazione finanziaria (che poi è
il fisco, l’imposizione fiscale dei cittadini), come è avvenuto nella crisi delle
banche del 2007-2008 fallimento colossale della meritocrazia. Il premio all’intelligenza e all’impegno
come base per il successo si stratifica in piani infine inaccessibili,
soprattutto perché non tollerano critica – si autocelebrano. Meritocrazia come fonte di ineguaglianza, compressione e sfinimento della
classe media, impoverimento relativo delle masse – fino alla crescente ingovernabilità
politica. Un criterio autofagico: il “mito fondante dell’America” ne mina la
costituzione.
Le stesse conclusioni può obiettare oggi Luigino Bruni, l’economista-biblista
che ha riproposto in edizione critica il seminale “Del merito e delle ricompense”
di Melchiorre Gioia, al sociologo Luca Ricolfi, autore di uno studio controcorrente,
“La rivoluzione del merito”. Rossi ha
sollevato il tema nel 2018, sulla scia del dibattito americano: “La meritocrazia sta diventando la nuova
religione del nostro tempo, i cui dogmi sono la colpevolizzazione del povero e
la lode per la diseguaglianza. La sua origine si perde infatti nella storia
delle religioni e dei culti idolatrici…”.
Nel suo studio Ricolfi, della liberale Fondazione
Hume, porta a sostegno della meritocrazia perfino la pedagogia di don Milani: se
ben capito, non era contrario a una scuola
del merito. Rossi solleva il problema rovesciando la piramide - non guardando
alla cima ma alla base – e in chiave parità dei diritti: “Il merito è una
grande scorciatoia cognitiva, che gli uomini (maschi) hanno sempre amato per
auto-giustificare e rafforzare le proprie posizioni di potere. Don Milani,
esperto di Bibbia, lo sapeva bene. Il libro di Giobbe, Agostino contro Pelagio
(tema caro a John Rawls), poi Lutero contro i teologi della Controriforma, hanno
mostrato le insidie del merito, usato tropo spesso per condannare i poveri in
quanto colpevoli della loro povertà”.
La parola
meritocrazia, che si fa risalire alla democrazia di Atene, a torto, è termine e
concetto del 1958, di un romanzo satirico, “The Rise of Meritocracy”
(“L’avvento della meritocrazia”), benché opera di un sociologo, il britannico
Michael Young, laburista di primo piano, fondatore della Open University, e
dell’Istituto di Studi Comunitari. Lo stesso Young successivamente, nel 2001, spiegherà,
non più in forma narrativa né satirica, che “è giusto affidare incarichi agli
individui sulla base dei loro meriti, ma è l’opposto quando coloro che si
ritengono avere meriti si rinchiudono in una nuova classe sociale senza spazio
per altri”, per nuovi entranti.
Nichilismo – “Niente è la forza che rinnova il mondo” è un verso di Emily Dickinson –
di due versi, per essere esatti, Dickinson faceva economia di parole. E
Dickinson cosa è, che anch’essa ha (un po’)
rinnovato il mondo?
Niente è un punto di leva. Basso, in maniera che
eventuali cadute, per errore, calcolo sbagliato, o semplice disguido avvenga
sempre a testa in su, come un misirizzi. E un ancoraggio. Anche corroborante: se
tutto è niente, io sono comunque una consolazione, tanto sapiente sono.
Pazienza - Una virtù di grande genealogia di
cui non si vede più traccia. Per non avere prezzo (valore) nella logica del mercato?
Il mercato si vuole decisionale, sempre continuativamente
ripartito fra vincitori e perdenti. La pazienza è la virtù opposta, della
dilazione. È, era, una delle virtù ancorate al tempo, a una dimensione
evolutiva dell’esistenza – il mercato è “tutto subito”.
Pessimismo – “È vero o no che il cinico è così pessimista da uscire con l’ombrello
anche se c’è il sole?”, Fruttero&Lucentini fanno chiedere a un personaggio
del romanzo “Enigma in luogo di mare”. “Al contrario”, ribatte il personaggio,
che posa a cinico: “IL cinico, posto che possieda un ombrello, per prima cosa s’abitua
a farne a meno anche quando piove. Dopodiché lo butta via, liberandosi anche
dal timore di perderlo”. Dov’è l’eccesso di pessimismo? “È solo il modo più
ragionevole di affrontare le variazioni del tempo, e… i capricci della fortuna”.
Pudore – Altra virtù di cui più non si parla. Virtù tradizionale legata al corpo,
e più specificamente alla sessualità. Che quindi si direbbe scomparsa nell’epoca
del sesso liberato, e più nella forma pornografica, esibita. Mentre come modo
di essere è invece diffusa oggi come riserbo, soprattutto tra giovani e adulti,
ma anche tra i giovani. E specie nella sfera sessuale, sotto il “liberi tutti”.
Di pari passo con l’esibizione o l’ammiccamento del corpo nudo: mini e collant
push-up, il lolitismo, l’ombelico scoperto. Anche i tatuaggi: sono una forma di
copertura della nudità, polverosa, sporca, giallastra, come una ecchimosi in
tarda età.
Rassegnazione – È stata, è, si può dire in termini economici, il “capitale dei poveri”,
di chi non ha, non sa, non può: la capacità di sopravvivere, anche con dignità.
Una delle virtù scomparse con la contemporaneità – col Millennio: o vincitori
immediati oppure abietti perdenti – rinunciatari, asociali. Va con la pazienza.
Volontà – “Se va via la volontà, sparisce anche la forza d avere volontà, ecco la
vera logica della faccenda”, Fruttero&Lucentini fanno dire a un personaggio
del romanzo “Enigma in luogo di mare” – “la perdita della volontà è appunto la
malattia” (Lucentini, che poi ne rimarrà vittima, parla – fa parlare - da
specialista della depressione). Esistere è anzitutto volere – le geremiadi dei
“meglio non essere nati” sono un esercizio capzioso della volontà di esistere.
Della volontà, senza la quale non c’è giudizio, non c’è giudizio possibile, e
quindi non c’è esistenza, di fatto, non quella che si prolunga in raccolte di
poesie, o in lunghe pagine di diario.
zeulig@antiit.eu
La banalità di Heidegger
Il
convegno “Heidegger und die Juden”, Heidegger e gli ebrei, organizzato il 30
ottobre-1 novembre 2014 a Wuppertal da Peter Trawny, il curatore dei “Quaderni
neri” di Heidegger, a ridosso dell’uscita del primo della serie, non esprimeva
dubbi: nessuno dei partecipanti si chiede se, o cerca di spiegare il come e il
perché - Trawny ne aveva anticipato le conclusioni col volume “Heidegger e il
mito della cospirazione ebraica”.
Si
è parlato molto al convegno di antisemitismo “istoriale”, inscristo nella “storia
dell’essere”. In una storia della filosofia che vede il pensiero greco (e
tedesco, quanto meno di Heidegger) osteggiato e rovesciato dall’ebraismo: dalla
“modernità”, dal “potere del macchinismo”, proprio di un popolo senza patria.
Un indirizzo cui Trawny introduce per primo, e poi di Donatella Di Cesare e altri
interventi. Con riferimento allo stato dell’arte, al dibattito filosofico del
primo Novecento, dal “messianismo profetico” di Hermann Cohen all’“ebraismo
spirituale” di Cassirer, e fino a Lévinas, alle sue critiche di Heidegger. Con
una contradizione, nota Di Cesare: così operando Heidegger cade nella
metafisica che aborre, costruendo una “metafisica dell’ebraismo”.
La
sintesi del convegno, redatta da Mādālina Guzun, su input di Trawny?, sì impianta sul contributo di Jean-Luc Nancy, “La
banalità di Heidegger” – una traccia poi battuta da molti interventi. La “banalità
di Heidegger” come la “banalità del male” di H. Arendt, il male diffuso dalla
superficialità. La colpa di Heidegger è la sua “banalità” in tema, adagiarsi
sulla doxa antisemita, il
chiacchiericcio che imperversava dopo l’esito catastrofico della guerra,
attraverso l’Europa, non solo in Germania. Senza porsi mai la domanda sui fondamenti
dell’antisemitismo, e anzi elevandolo “istorialmente".
Heidegger et le juifs, “Bulletin
Heideggérien” n. 5, 2015, academia.edu
giovedì 5 ottobre 2023
Problemi di base divini - 771
spock
“Il cosiddetto peccato originale è il primo gesto ardito della ragione”, F.
Schiller?
“La creazione dà origine al tempo”, E. Jünger?
“Si moltiplicano i problemi psicologici oggi che non ci si
confessa più o quasi”, Fruttero&Lucentini?
“Credere è più difficile che non credere”, Flannery O’Connor?
O non è al contrario: non credere è più difficile che non credere?
La vita è più della somma degli esseri viventi?
spock@antiit.eu
Giallo donne
Un
giustiziere uccide a sangue trafficanti di droga e spacciatori. E nel giardino
della grande villa di un grande attore, premio Oscar, appena assolto nel
processo per la scomparsa della moglie, l’ultima, appena spsata, si rinvengono
una serie di teste mozzate, una parte in vista, una parte sotterrate. Il modulo
di Patterson non si smentisce: un paio di uppercut
subito al lettore, dopodiché tutto avviene in discesa.
Si
sa anche che il giustiziere è uno della Polizia, per vari indizi che semina. E
che una delle teste è identificabile, è mozzata da appena tre giorni. La suspense è assicurata, e così il bisogno
di voltare pagina – un mestiere non senza maestria, bisogna sapere accendere
l’attenzione.
Un’indagine
specialmente “corretta”: indagano quattro donne, la sergente, “tarda primipara
in dolce attesa”, una giornalista, l’anatomopatologa e la sostituta
procuratrice. Della serie più recente di Patterson, in collaborazione con
Maxine Paetro, “Le donne del club omicidi”.
James
Patterson-Maxine Paetro, L’undicesima
ora, “Gente”, pp. 303 € 8,90
mercoledì 4 ottobre 2023
Pechino per l’equilibrio di potenza
C’è
più del rituale nei festeggiamenti cinesi per i cento anni di Kissinger: la celebrazione
è della politica dell’equilibrio (la balance
of power). Di cui Kissinger è stato lo studioso, dalla Santa Alleanza in
poi, e il propugnatore col multiateralismo. E a cui tutta la politica estera cinese, anche quella che è sembrata o è
stata più aggressiva, di Xi Jinping, punta. Come opzione massima della potenza
cinese nel mondo “americano”. È il succo del riesame della politica estera
cinese un mese al ministero degli Esteri, in occasione delle visite a Pechino
del ministro, Tajani, e della presidente del consiglio Melon.
Pechino
ha stemperato la guerra commerciale e tecnologica promossa da Trump. E non ha raccolto
la
sfida militare del partito Democatico americano, sulla spinta del trend
pre-covid, che
vedeva la Cina al sorpasso sugli Stati Uniti come grande potenza economica – la
sfida di Nancy Pelosi, la speaker della Camera, e poi
del presidente Biden. Ha aumentato la spesa militare, ma non di molto, e in
ottica difensiva. Ha accettato il rimodellamento della politica di Xi, della
nuova Via della Seta, a opera della Germania e dell’Italia, senza obiettare.
Sostiene l’integrazione europea. Ha operato per avvicinare l’Iran all’Arabia
Saudita. Non si schiera nel conflitto Russia-Ucraina, in ottica mediatrice –
qualora una mediazione fosse possibile, necessita di un arbitro sopra le parti.
Si
può dire che Pechino ripercorre il vecchio schieramento di paese non-allineato.
Ma non più da comparsa del Terzo Mondo, da prim’attore. Il rilancio dei Brics non
sembra destinato a costituire uno schieramento alternativo a quello americano. Anche
perché è irrealizzabile il suo obiettivo massimo, un sistema dei pagamenti
internazionali indipendente dal dollaro. E coltiva al suo interno il dissidio
potenzialmente più grave, in prospettiva, tra la stessa Cina e l’India. Tuttavia, accresce lo status di Pechino nelle relazioni internazionali. La “la
lista d’attesa è lunga” per entrare nello schieramento, secondo il “Global Times”,
il quotidiano del partito Comunista cinese. E anche per aderire alla Sco, l’Organizzazione per la
sicurezza di Shangai, nata per fronteggiare l’allargamento della Nato all’Indo-Pacifico.
L’Iran è già a pieno titolo nella Sco. La Nuova Banca di Sviluppo dei Brics,
con sede anch’essa a Shangai, ha la candidatura autorevole dell’Arabia Saudita
fra i maggiori azionisti.
Giallo enigmatico
Roccamare
a Natale: gelo, umido, libecciate. talponi, e pochi, confusi, isolati
vacanzieri. La vigilia e il giorno di Natale sono funestati nel ridotto della
Gualdana, una larga pineta in Maremma popolata d a 153 ville d’autore, da
sparizioni e omicidi. Il tutto scandito da “Perry Mason”, il vecchio telefilm
di quarant’anni fa - “Perry Mason telefona alla segretaria”. Il gelo altoborghese
del complesso, recintato e custodito, non si scioglie, malgrado l’abbondanza di
tarocchi esplicativi, di saggezza maremmana, e di supposizioni.
Molte
le pagine sulla depressione, con una casistica da manuale, della tipologia e
dei rimedi - opera dello specialista Lucentini? Una satira selvaggia del buen retiro
grossetano – opera di Fruttero, che
aveva una delle 153 ville, invogliato dagli amici Calvino e Citati? La
ricostruzione dei misteri che lo popolano quel luttuoso Natale è un puzzle “cieco”,
500 pezzi senza la figura da ricomporre.
Il
virtuosismo della coppia gira a mille: la narrazione è nel più puro canone
postmoderno, degli scrittori che prendono le distanze dalla loro narrazione. Che
si suole dire barocco ma qui è più rococò. Un folle srotolarsi di argomenti (digressioni)
d’ogni tipo, all’interno di una rete critica della contemporaneità – del modo d’essere
di tutti.
Fra
i tanti personaggi della pineta F&L schierano anche una coppia di comici,
in ritiro per preparare il nuovo spettacolo. Non hanno altra funzione che di
esserci Come dire: eccoci. Fruttero fa i
conti con la Gualdana –Roccamare, il resort dei Grandi Borghesi tra Punta Ala e
Castiglione della Pescaia nel quale lui stesso (con Calvino, Citati, et al.) si è lasciato intrappolare. E Lucentini con la depressione – sulla quale
qui lungamente ironizza ma che poi lo stroncherà. Ma non c’è tristezza, le pagine
volano su saettanti digressioni.
Solo,
l’ossatura è nodosa. Con morti complicate. Dopo lunghe, dettagliate, ripetute, carrellate su personaggi molteplici,
e di varie sfaccettature, ma piatti. Più il vezzo toscano del bozzetto, al
quale F&L indulgono per tutta la narrazione: modi di dire, fatti, interessi,
tipi (la cucina, i giardinieri, le corna di paese, il libeccio, l’idraulico…).
Con un “Elenco ragionato delle persone e animali principali del romanzo”.
È l’ultimo
romanzo della ditta – peraltro ancora fertile su altri terreni. Non più
ripubblicato dalla prima edizione economica, trent’anni fa. Ma non malvagio,
trascurando il “giallo” – la lettura è sempre grata.
Fruttero&Lucentini,
Enigma un luogo di mare, Oscar, pp.
402, pp. vv.
martedì 3 ottobre 2023
L'Europa dei sussidi non basta più
“I
nostri sussidi attraggono i migranti”: è semplice il ragionamento dell’ex ministro
delle Finanze tedesco Schaüble. Che conclude pratico: “Non possiamo più permettercelo”.
Schaüble
è noto in Italia perché rigorista sui conti pubblici – anche su quelli dell’Italia.
Ma una trentina d’anni fa, a ridosso della riunificazione, è stato l’artefice della politica tedesca di
accoglienza: dei criteri per individuare il diritto d’asilo, e dell’impegno a finanziarlo.
Una
politica in un certo senso facile in Germania, specie a ridosso della
riunificazione. Facile politicamente, molti tedeschi erano loro stessi rifugiati:
nella Germania di Bonn, su una popolazione di sessanta milioni, un sesto era di rifugiati
dalla Slesia e altre regioni degermanizzate alla sconfitta, e dei loro figli. Un
quinto dei tedeschi oggi si occupa direttamente, personalmente, di rifugiati dall’Est e dall’Africa.
Il
problema è ora economico, dice Schaüble. Ma anche politico, etico: i sussidi sono
finiti per essere il motore dell’immigrazione invece che un rammendo. Lo dice –
lo spiega, lo fa vedere – anche Matteo Garrone nel film “Io,capitano”: “In Italia
ti curano”.
I
sussidi non sono una soluzione. Attiravano, si può dire per esperienza, anche
gli italiani, giovani, p. es. in Olanda, ancora negli ani 1980-1990: molti
ragazzi lasciavano Milano e Bologna per Amsterdam, oltre che per il fumo libero, per il sussidio,
quasi un piccolo stipendio, in cambio di nulla. Le
politiche di integrazione al reddito che invece si sostituiscono, come è stato
per due anni il reddito di cittadinanza, è ovvio che non hanno senso, economico
oltre che etico – un’Europa che pensa di poter vivere di sussidi è un incubo,
non una speranza.
Stupidario immigrazione
La
prima sezione civile del tribunale di Catania ha un “Gruppo specializzato per i
diritti della persona e dell’immigrazione”, composto da quattro giudici, Massimo Escher,
Marisa Acagino, Iolanda Apostolico, Stefania Muratore. Che opera tempestivo,
all’inglese, dal giorno all’indomani, su
ogni questione riguardante i migranti. E le altre questioni?
È
curioso, ma i giudici e i legali sui “diritti dei migranti” a Catania sono
tutti donne, con l’eccezione del giudice Capogruppo diritti dell’immigrazione
Escher. Si potrebbe dire: “fare” migranti invece che figli.
Le
giudici del Gruppo diritti sono anche di sinistra, che è ben loro diritto, come
essere donne. Ma le due di loro che esternavano sui social si sono cancellate subito,
subito dopo la liberazione dei quattro tunisini farlocchi.
Il
“Corriere della sera” pubblica “le storie dei quattro migranti liberati” a Catania
dalla giudice Apostolico. Fantasiose, due anche truffaldine, spudoratamente: i due
avevano la “certezza del diritto”?
Il
giornale pubblica le “storie” senza una riga di commento: i migranti fanno
paura? le giudici di Catania? i giudici in generale? c’è un politburo al
giornale?
“Open
Arms” sbarca a Carrara, su 168 migranti, “90 bimbi senza genitori”. Come
sostenere che non la ong non operi d’intesa con gli esportatori di carne umana –
dove erano imbarcati i novanta minori non accompagnati?
Tataranni barbogia
Alla
terza annunciatissma stagione il miracolo Scalera-Tataranni non si riopete più.
L’attrice è sempre la stessa ma sembra non avere spirito, sommersa dai
contorni, scontastissimi: le mamme, l’occhio di triglia per il bigadiere ora maresciallo
Calogiuri, i tormenti del marito, Matera sotto e sopra, le frasi fatte in
ufficio e in archivio... Ci sono gialli di atmosfere, ma non possono essere
così inerti, e anche scontati.
La
Rai vanta la miniserie un punto di forza, sempre prima per ascolti il lunedì sera,
ma solo eprché la programmazione tv generalista è scadente. Due ore di noia. Anzi
di dispetto, considerando la bravura sprecata degli interpreti, Scalera, Gallo,
Barbara Ronchi, Alessio Lapice.
Francesco
Amato, Imma Tataranni – Sostituto Procuratore,
Rai 1
lunedì 2 ottobre 2023
Sui migranti la lite è tedesca
La ministra
degli Esteri Baerbock lavora a Berlino per far perdere i socialdemocratici alle
elezioni regionali tra dieci giorni, in Baviera e Assia? La questione degli
emigranti, sì alle ong nel Medierraneo, no ai migranti in Germania, è vissuta in
Italia come un conflitto tra Italia e Germania. Mentre è al centro, uno dei più
sensibili, delle elezioni regionali che si preparano in Germania.
I sondaggi
danno in ripresa la Csu, la Dc bavarese, che nelle ultime votazioni ha perso
molti consensi a favore dell’Afd, il partito di estrema destra. Ma insieme
danno in ascesa anche l’Afd. Per la recessione economica, imputata al governo
di sinistra, e per la questione migranti. È per fermare lo slittamento del voto
che il cancelliere socialista Scholz impone a giorni alterni la chiusura delle
frontiere - anche per scrollarsi di dosso la nomea di Flüchtlingskanzler, cancelliere
dei rifugiati. È per favorirlo che la sua alleata di governo, la leader dei Verdi
Baerbock, alimenta, senza reale necessità, un impegno finanziario e
organizzativo per favorire gli sbarchi.
Il voto in
Baviera, il Land più grande e più ricco della Germania, e in Assia, un anticipo
del voto europeo a maggio, sembra indirizzato verso una tenaglia attorno al
partito Socialdemocratico, vincitore delle elezioni politiche appena due anni
fa. La Csu, e l’alleata Cdu, i Popolari tedeschi, che attualmente governano a
Bruxelles col sostegno dei socialisti-progressisti, sono orientati verso
posizioni conservatrici, sia nella politica fiscale che in quella
dell’immigrazione. Per contrastare la crescita dell’Afd, un partito che,
malgrado il suo fondo estremista, risponde all’elettorato moderato,
tradizionalmente orientato su Csu-Cdu. Ai sondaggi di oggi, la prossima
maggioranza all’europarlamento sarà della Cdu-Csu, i Popolari, con i
Conservatori di Meloni.
La sinistrare
divisa non è una novità in Germania, anzi è una costante. Il baratro che un
secolo fa divise socialisti e comunisti ora si ripropone tra Verdi e
Socialdemocratici. Baerbock, leader un po’ inventata dei Verdi in Germania, un
po’ alla Schlein nel Pd, anche alla Conte con i 5 Stelle, non fa mistero di
voler diventare il partito pilastro della sinistra, scalzando la
socialdemocrazia, “vecchia” di 150 anni. Prima della minicrisi con l’Italia
Baerbock aveva messo Scholz in imbarazzo con la Cina: all’improvviso, da
ministra degli Esteri, ha definito il presidente cinese Xi, cui Scholz aveva
appena fatto visita, con gran seguito di affari, “un dittatore”.
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Il mondo com'è,
Il mondo com'era
Raffaella, l’angelo di Apollo
Su
libretto di Renata Ciaravino e Alberto Mattioli, con la regia di Francesco
Micheli, un’opera un po’ pop, mimando (nel titolo) i Beatles. Raffaella Carrà sbarca
sulla terra messaggera di pace e amore, genio alato proveniente dal pianeta Arkadia,
regno della poesia e della bellezza, un mondo dell’arte, governato da un
sovrano Apollo XI. È stata inviata in Italia per “spettinarla”. Per dare uno
strappo al conformismo piccolo borghese, alla prese con il boom economico e la
nuova ricchezza. E lo fa con la nota leggiadria. A partire dal “tuca tuca”, rivoluzionario
cinquanta e più anni fa, o dall’ombelico scoperto in tv. Sotto un viso di
angelo, sessuato-asessuato.
Un’opera
non molto melodica, ma sempre a buon ritmo. – si dice opera ma è più sul genere
musical, veloce, ballato, fantastico. Un’opera sulla televisione più che su Raffaella,
anche se con molta fantasia. Un sogno e un’esegesi, per di più socio-politica:
come la televisione ha cambiato l’Italia, come (poco) Raffaella ha cambiato la
televisione.
Si
è portati a dire poco, ma Raffaella Carrà non è – è stata – l’Italia? Anche migliore
di questa di Fedez e Feragni. Si fa per dire – un rischio dell’opera di
Curtoni, dei librettisti, della Rai che ha commissionato e prodotto l’opera, è
che presumano troppo: cambiare l’Italia, cambiare la tv?
Lamberto
Curtoni, Raffa in the Sky, Rai 5,
Raiplay
domenica 1 ottobre 2023
Ombre - 687
Giudice
“schiva, equilibrata”, incostituzionalità evidente: “la Repubblica” non
risparmia elogi alla giudice del Tribunale di Catania che libera tre immigrati tunisini
dall’obbligo di risiedere in Centro di permanenza perché contrario alla Costituzione.
Poi spiega che dei tre due sono recidivi, ci hanno riprovato dopo essere stati rimpatriati.
E che “al giudice hanno raccontato le cose più disparate”: uno fugge dai “cercatori
d’oro”, uno dalla famiglia della fidanzata, morte in un precedente imbarco, uno
è perseguitato per le fede religiosa. Cioè? La giudice è stupida?
Sullo
stesso giornale Giuliano Amato diluvia di nuovo, due pagine, dieci cartelle,
sui migranti dopo Ustica. Il “Dottor Sottile” si gonfia, sembra la favola di La
Fontaine, o di Fedro. Anche perché propone: “L’Europa riconosca lo status di
rifugiato per fame o carestia”. Cioè, quello che l’Europa fa – fa solo quello,
o quasi.
Ma
il problema non è Amato, che ha una certa età. È che i media non sanno nulla di
immigrazione, dopo venti o trent’anni di cronache concitate, anche
terrificanti.
La
giudice di Catania dei tre vaganti tunisini, Iolanda Apostolico, che a “la
Repubblica” fornisce anche la fotina, sorridente, statuisce quello che tutti
abbiamo letto, che la normativa europea è “superiore” a quella italiana – è vincolante.
Ma è una norma europea che vuole una cauzione di 5 mila euro per evitare il Centro
di permanenza. S’informa anche lei dell’Europa sui giornali? E poi, un giudice che dichiara incostituzionale una legge senza appellarsi alla Corte Costituzionale era da vedersi - per questo, giustamente, il giornale ne pubblica la fotina, sberleffante?
Mamadou:
“Volete fermare i barconi? Anche noi. Dateci un visto”. Mamadou è il giovane
senegalese che ha ispirato Matteo Garrone per il film “Io, captano”. Semplice. Regolare,
normale. Ma nessuno in Europa se ne occupa: ogni paese europeo ha bisogno ogni
anno di dieci, cento, duecentomila immigrati, ma non si occupa di cercarli,
anche sceglierli perché no, e dare loro una vita tranquilla, oltre che un
lavoro onesto. La verità è che l’Europa li vuole a condizioni di fame e disagio,
che accettino qualsiasi lavoro, qualsiasi retribuzione, senza alcuna garanzia
normativa? Non si spiega altrimenti.
Migliora
giorno per giorno la capitalizzazione delle banche in Borsa. A spese dello
Stato, per effetto dei migliori rendimenti delle obbligazioni pubbliche, che le
banche detengono in quantità - uno degli effetti perversi della politica
monetaria restrittiva della Banca centrale europea. Ma anche dei buy-back
delle banche, delle politiche di riacquisto dei titoli sul mercato: Intesa
parte con un suo piano, Unicredit, che ne ha concluso uno, ne anticipa un altro
già programmato. Per dare affidamento agli azionisti? Un segnale di solidità?
Il
generale o ammiraglio che comanda la forze russe nel Mar Nero rispunta vivo, e parla
anche. Il “boia ceceno” Kadyrov, pure lui già moribondo o morto, rispunta vivo,
e anzi ringiovanito, perfino imbellito. Le false notizia hanno sempre fatto
parte dell’arsenale bellico, ci si difende come si può. Ma che i tanti
“inviati”, e le tante “inviate”, credano a tutto quello che è anche opportuno dire,
questo avviene solo da qualche tempo, anzi solo in questa guerra: o il livello
delle-gli inviate-i è scaduto, o Madison Avenue a New York e l’Esat End
londinese, l’“industria” anglo-americana delle pubblicità, è molto abile – ma
non con i media americani. Anche quelli inglesi, per quanto antirussi, sembrano
stare a guardare.
Il
generale russo dato per morto dall’Ucraina che ricompare in tv è ancor a vivo
ma è però l’ennesimo caso di attacco ucraino mirato su un obiettivo preciso,
non a caso, con informazioni dettagliate cioè di luogo e ora, e centrato. Come
i morti in Russia tra i sostenitori di qualche nome di Putin. L’Ucraina vince
la guerra contro Putin in quello che si ritiene il cuore del potere putiniano,
i servizi segreti. Solo che un dubbio è d’obbligo: è tutta opera dei servizi
ucraini?
“ll
fantasma del comunismo si aggira sulla cerimonia laica”, annota Cazzullo
ironico sul “Corriere della sera” al funerale di Napolitano, “e resterà a lungo
un non detto, almeno fino all’intervento di Anna Finocchiaro”. Che è sta fatta
parlare come (ex) compagna di partito, per ultima.
Dunque,
non si sapeva ma si trascina da due anni un processo sportivo al Napoli calcio per
l’acquisto di Osimhen dal Lille, valutato 71 milioni e pagato per 21 milioni
con quattro calciatori delle giovanili del Napoli. Che però non sono mai andati
al Lille - meno uno. Non si sapeva che questo processo è stato insabbiato dal
procuratore del calcio Chiné. E che la Procura della Repubblica ora insiste,
inviando gli atti a Roma, ultimamente delegata dalla Cassazione a indagare le
plusvalenze. Non c’erano dubbi sulla “giustizia” del calcio, del duo Gravina-Chiné,
ma la sfrontatezza ancora stupisce.
Chiamato
a rendere conto del perché non ha indagato il Napoli per la falsa cessione di tre
calciatori al Lille in cambio di Osimhen, Gravina rilancia facendo causa a Mancini
per aver abbandonato la Nazionale. Furbo è, ma che dire dei tanti-issimi
giornalisti che fanno il calcio e non capiscono di che si tratta? Alla Ryder’s
Cup del golf i due nobiluomini, Mancini e Gravina, si fanno i salamelecchi. Non
è calcio, non è sport, è cialtroneria – se non è corruzione.
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Amore folle, da favola, a Venezia
F&L imbarcati in una storia di amore folle. Di pochi giorni, poche ore, tra il riconoscimento
e l’abbandono. Tra due favole, l’ebreo
errante e la bella addormentata. A Venezia, luogo per eccellenza deputato – “Venezia-la-perla-della-laguna,
Venezia-la-città-degli-amanti, Venezia-l’ispiratrice-di-Byron-Browning-Ruskin-Turner-Bonington-Bsrrès-Mann-D’Annunzio,
senza contare Bernard Berenson” (nonché di “Anonimo veneziano”, il film e il racconto,
vertigine dell’epoca). Una storia vera giocando sul kitsch. Gli ingredienti pasticciando, da post-moderni “naturali”,
d’ironia cioè insopprimibile, tale è il dominio dello scibile disponibile, come
una grammatica semplice, scorrevole, veloce anzi, e attraente. Sempre, un
esercizio in digressioni di cui non si salta una riga – la curiosità in
aggiunta alle palpitazioni: una “storia d’amore” cosi eccitante non si ricorda,
da una coppia, poi, di quasi celibi, perlomeno cinici.
“Una
specie di motivo wagneriano tenuto da mani mozartiane”, vuole questo F&L la
quarta di copertina. Riferimenti d’obbligo, forse, trattandosi di Venezia. No, F&L
sono più modesti, non frastornano e non gorgheggiano, anzi parlano piano e
spedito, una sorta di recitativo come un basso continuo. Una lingua dimessa,
per personaggi scontati, una nobildonna romana che in mancanza d’altro fa l’estimatrice
d’arte per una casa d’aste, e un inglese attempato ridotto a fare la guida
turistica di un operatore di terz’ordine. Che intessono un’avventura anch’essa
modesta, più lasciati che presi – più tutto quello che avrebbe potuto essere e
non è, non può. Per scolpire una Venezia memorabile, bella e brutta
(turistica), vecchia e nuova (turistica),
avvolgente e dettagliata, minuziosa, quasi uno stradario – come “La donna della
domenica” era, gira e rigira, Torino, “L’amante senza fissa dimora” è Venezia,
rancida e vaporosa, piena e vuota, muta ma significante. Anche nelle sfilate di
toponimi, serviti, in fondo, da un “indice sentimentale dei nomi, dei loghi e
delle cose notevoli” - Umberto Eco, che era un patito delle “liste”, se ha
letto questo “Amante” sarà schiattato dall’invidia. Sulla laguna muta si stagliano
una serie di personaggi e situazioni medio-alto borghesi (in quegli anni, Settanta-Ottanta
del Novecento, la caratterizzazione sociale era d’obbligo) che valgono un libro
di storia: tutte le donne che in qualche modo intervengono (“La dona dela domenica”
non nasceva per caso), il portiere d’albergo, il ragazzo d’albergo, i mercanti
d’arte, il gay-professo-che-ama -e-protegge-le-donne, la contessa-delle-buone-cause
– e Chioggia (gli amanti vi fanno una gita: dovrebe fare un monumento a
F&L).
Un
finale esplicativo, alla Poirot, è prolisso (saccente), ma il lettore perdona, è
ben disposto.
Fruttero&Lucentini,
L’amante senza fissa dimora, Oscar,
pp. 304 € 13,50
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