sabato 7 ottobre 2023
Letture - 533
I dolori di Lino Guanciale
“Un’estate
fa”“ è Franco Califano, Mina, memoria grata. E la serie sotto questo aseptto non
delude, le immagini sono quelle, e anche molto ricche eper una serie tv, da cinematografo,
del 1990 al mare: ragazzetti, ragazzette, svaghi, liti, prepotenze, fumo, languori.
In una spiaggia da sogno – si vaga tra il Salento - Porto Selvaggio, la pineta
sul mare, Gallipoli - e Castelfusano.
Ma poi c’è la storia: chi ha fatto il viaggio
ferale con Arianna, la ragazza di ogni virtù, la ragazza dei desideri, e poi l’ha
lasciata morire in fondo al mare? E qui si sa già come andrà a finire, al termine
degli otto episodi, quatro serate, un mese. E si compiange Guanciale, attore
versatile a teatro, in tv murato nel commissario Ricciardi di De Giovanni -
murato nella memoria, e ingombrante: volto onnipresente e di una sola piega, sofferente.
Davide
Marengo-Marta Savina, Un’estate fa,
Sky Cinema 1, Sky Documentaries
venerdì 6 ottobre 2023
Secondi pensieri - 524
zeulig
Ipocrisia – Può essere aggressiva, parte di un piano offensivo, ma è prevalentemente (anche
nella casistica offensiva) una forma di autoprotezione: un linguaggio difensivo,
una velatura di se stessi, che oggi si
chiama con eufemismo inadeguatezza. L’ipocrisia comincia da se stessi. Copertura
di proprie mancanze, o vere e proprie colpe.
Colpe anche solo presunte. Ma volersi ipocriti presume
comunque un grado elevato di coscienza: è un gioco complesso.
Libertà – È (sopravvive se) fatta di limiti. Altrimenti è eversiva, e sempre autodistruttiva – è nel senso comune,
all’evidenza.
In questo senso ha ragione anche Sartre, per il quale “la
Francia non è mai stata libera come sotto i nazisti”, sotto l’occupazione militare
tedesca, per quattro lunghi anni. Che è una battuta, un voler “scandalizzare il
benpensante”, anche sfidare il senso comune (è vero il dritto e anche il
rovescio, in certo senso anche Hitler, perché no). Ma ha un senso: l’occupazione
ha spronato la Francia a volersi libera, l’ha liberata mentalmente, ha posto la
libertà al primo posto fra i bisogni, fra le convinzioni. In questo caso è una
libertà illimitata, ma è una libertà contro, un momento dialetticamente
negativo, “per” la libertà.
Meritocrazia – Se ne discute come criterio pedagogico e sociale. Sull’onda del dibattito
avviato in America sul suo impatto politico da Daniel Markovits, “The
Meritocracy Trap”, dal liberale, cultore di Hayek, Michael Sandel, “The Tiranny
of Merit”, et al., sul merito come
una forma di appiattimento culturale che ha portato alla incredibile polarizzazione
economica, ora anche politica, della società americana del Millennio. Di cui si
porta l’ideologia del merito come la causa, e non il “mercato”, la plutocrazia
dominante - anche dello Stato e della sua articolazione finanziaria (che poi è
il fisco, l’imposizione fiscale dei cittadini), come è avvenuto nella crisi delle
banche del 2007-2008 fallimento colossale della meritocrazia. Il premio all’intelligenza e all’impegno
come base per il successo si stratifica in piani infine inaccessibili,
soprattutto perché non tollerano critica – si autocelebrano. Meritocrazia come fonte di ineguaglianza, compressione e sfinimento della
classe media, impoverimento relativo delle masse – fino alla crescente ingovernabilità
politica. Un criterio autofagico: il “mito fondante dell’America” ne mina la
costituzione.
Le stesse conclusioni può obiettare oggi Luigino Bruni, l’economista-biblista
che ha riproposto in edizione critica il seminale “Del merito e delle ricompense”
di Melchiorre Gioia, al sociologo Luca Ricolfi, autore di uno studio controcorrente,
“La rivoluzione del merito”. Rossi ha
sollevato il tema nel 2018, sulla scia del dibattito americano: “La meritocrazia sta diventando la nuova
religione del nostro tempo, i cui dogmi sono la colpevolizzazione del povero e
la lode per la diseguaglianza. La sua origine si perde infatti nella storia
delle religioni e dei culti idolatrici…”.
Nel suo studio Ricolfi, della liberale Fondazione
Hume, porta a sostegno della meritocrazia perfino la pedagogia di don Milani: se
ben capito, non era contrario a una scuola
del merito. Rossi solleva il problema rovesciando la piramide - non guardando
alla cima ma alla base – e in chiave parità dei diritti: “Il merito è una
grande scorciatoia cognitiva, che gli uomini (maschi) hanno sempre amato per
auto-giustificare e rafforzare le proprie posizioni di potere. Don Milani,
esperto di Bibbia, lo sapeva bene. Il libro di Giobbe, Agostino contro Pelagio
(tema caro a John Rawls), poi Lutero contro i teologi della Controriforma, hanno
mostrato le insidie del merito, usato tropo spesso per condannare i poveri in
quanto colpevoli della loro povertà”.
La parola
meritocrazia, che si fa risalire alla democrazia di Atene, a torto, è termine e
concetto del 1958, di un romanzo satirico, “The Rise of Meritocracy”
(“L’avvento della meritocrazia”), benché opera di un sociologo, il britannico
Michael Young, laburista di primo piano, fondatore della Open University, e
dell’Istituto di Studi Comunitari. Lo stesso Young successivamente, nel 2001, spiegherà,
non più in forma narrativa né satirica, che “è giusto affidare incarichi agli
individui sulla base dei loro meriti, ma è l’opposto quando coloro che si
ritengono avere meriti si rinchiudono in una nuova classe sociale senza spazio
per altri”, per nuovi entranti.
Nichilismo – “Niente è la forza che rinnova il mondo” è un verso di Emily Dickinson –
di due versi, per essere esatti, Dickinson faceva economia di parole. E
Dickinson cosa è, che anch’essa ha (un po’)
rinnovato il mondo?
Niente è un punto di leva. Basso, in maniera che
eventuali cadute, per errore, calcolo sbagliato, o semplice disguido avvenga
sempre a testa in su, come un misirizzi. E un ancoraggio. Anche corroborante: se
tutto è niente, io sono comunque una consolazione, tanto sapiente sono.
Pazienza - Una virtù di grande genealogia di
cui non si vede più traccia. Per non avere prezzo (valore) nella logica del mercato?
Il mercato si vuole decisionale, sempre continuativamente
ripartito fra vincitori e perdenti. La pazienza è la virtù opposta, della
dilazione. È, era, una delle virtù ancorate al tempo, a una dimensione
evolutiva dell’esistenza – il mercato è “tutto subito”.
Pessimismo – “È vero o no che il cinico è così pessimista da uscire con l’ombrello
anche se c’è il sole?”, Fruttero&Lucentini fanno chiedere a un personaggio
del romanzo “Enigma in luogo di mare”. “Al contrario”, ribatte il personaggio,
che posa a cinico: “IL cinico, posto che possieda un ombrello, per prima cosa s’abitua
a farne a meno anche quando piove. Dopodiché lo butta via, liberandosi anche
dal timore di perderlo”. Dov’è l’eccesso di pessimismo? “È solo il modo più
ragionevole di affrontare le variazioni del tempo, e… i capricci della fortuna”.
Pudore – Altra virtù di cui più non si parla. Virtù tradizionale legata al corpo,
e più specificamente alla sessualità. Che quindi si direbbe scomparsa nell’epoca
del sesso liberato, e più nella forma pornografica, esibita. Mentre come modo
di essere è invece diffusa oggi come riserbo, soprattutto tra giovani e adulti,
ma anche tra i giovani. E specie nella sfera sessuale, sotto il “liberi tutti”.
Di pari passo con l’esibizione o l’ammiccamento del corpo nudo: mini e collant
push-up, il lolitismo, l’ombelico scoperto. Anche i tatuaggi: sono una forma di
copertura della nudità, polverosa, sporca, giallastra, come una ecchimosi in
tarda età.
Rassegnazione – È stata, è, si può dire in termini economici, il “capitale dei poveri”,
di chi non ha, non sa, non può: la capacità di sopravvivere, anche con dignità.
Una delle virtù scomparse con la contemporaneità – col Millennio: o vincitori
immediati oppure abietti perdenti – rinunciatari, asociali. Va con la pazienza.
Volontà – “Se va via la volontà, sparisce anche la forza d avere volontà, ecco la
vera logica della faccenda”, Fruttero&Lucentini fanno dire a un personaggio
del romanzo “Enigma in luogo di mare” – “la perdita della volontà è appunto la
malattia” (Lucentini, che poi ne rimarrà vittima, parla – fa parlare - da
specialista della depressione). Esistere è anzitutto volere – le geremiadi dei
“meglio non essere nati” sono un esercizio capzioso della volontà di esistere.
Della volontà, senza la quale non c’è giudizio, non c’è giudizio possibile, e
quindi non c’è esistenza, di fatto, non quella che si prolunga in raccolte di
poesie, o in lunghe pagine di diario.
zeulig@antiit.eu
La banalità di Heidegger
Il
convegno “Heidegger und die Juden”, Heidegger e gli ebrei, organizzato il 30
ottobre-1 novembre 2014 a Wuppertal da Peter Trawny, il curatore dei “Quaderni
neri” di Heidegger, a ridosso dell’uscita del primo della serie, non esprimeva
dubbi: nessuno dei partecipanti si chiede se, o cerca di spiegare il come e il
perché - Trawny ne aveva anticipato le conclusioni col volume “Heidegger e il
mito della cospirazione ebraica”.
Si
è parlato molto al convegno di antisemitismo “istoriale”, inscristo nella “storia
dell’essere”. In una storia della filosofia che vede il pensiero greco (e
tedesco, quanto meno di Heidegger) osteggiato e rovesciato dall’ebraismo: dalla
“modernità”, dal “potere del macchinismo”, proprio di un popolo senza patria.
Un indirizzo cui Trawny introduce per primo, e poi di Donatella Di Cesare e altri
interventi. Con riferimento allo stato dell’arte, al dibattito filosofico del
primo Novecento, dal “messianismo profetico” di Hermann Cohen all’“ebraismo
spirituale” di Cassirer, e fino a Lévinas, alle sue critiche di Heidegger. Con
una contradizione, nota Di Cesare: così operando Heidegger cade nella
metafisica che aborre, costruendo una “metafisica dell’ebraismo”.
La
sintesi del convegno, redatta da Mādālina Guzun, su input di Trawny?, sì impianta sul contributo di Jean-Luc Nancy, “La
banalità di Heidegger” – una traccia poi battuta da molti interventi. La “banalità
di Heidegger” come la “banalità del male” di H. Arendt, il male diffuso dalla
superficialità. La colpa di Heidegger è la sua “banalità” in tema, adagiarsi
sulla doxa antisemita, il
chiacchiericcio che imperversava dopo l’esito catastrofico della guerra,
attraverso l’Europa, non solo in Germania. Senza porsi mai la domanda sui fondamenti
dell’antisemitismo, e anzi elevandolo “istorialmente".
Heidegger et le juifs, “Bulletin
Heideggérien” n. 5, 2015, academia.edu
giovedì 5 ottobre 2023
Problemi di base divini - 771
spock
“Il cosiddetto peccato originale è il primo gesto ardito della ragione”, F.
Schiller?
“La creazione dà origine al tempo”, E. Jünger?
“Si moltiplicano i problemi psicologici oggi che non ci si
confessa più o quasi”, Fruttero&Lucentini?
“Credere è più difficile che non credere”, Flannery O’Connor?
O non è al contrario: non credere è più difficile che non credere?
La vita è più della somma degli esseri viventi?
spock@antiit.eu