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sabato 14 ottobre 2023

Problemi di base bellicosi - 772

spock


La vendetta è impossibile?
 
Gli  altri siamo noi?
 
Noi siamo gli altri?
 
Si fa la guerra allora per che cosa – per sport se non per interesse, o per disperazione?
 
La democrazia si difende con le bombe - nucleari, a grappolo, al neutrino, alla rinfusa?
 
Dopo la guerra la pace, in che latitudini?


spock@antiit.eu

La ricerca della felicità

Un imprevedibile film on the road adulto, una sorta di rifacimento di “Forrest Gump”, o di “Una storia vera” di Lynch - ma circola uno anche in Francia, con Dujardin errabondo: è un genere di richiamo. Di un anziano pensionato, solo con la moglie e il silenzio nella villetta a schiera di Knightbridge, nome che evoca eleganze londinesi ma è una new town  di periferia: alla notizia della malattia grave di una lontana amica le scrive per incoraggiarla, e al momento d’imbucare la lettera decide di recapitarla di persona, a 8oo km. di distanza. Intraprende così la marcia, così come era uscito di casa. Attraversa un’Inghilterra un po’ devastata e triste, suscita gli entusiasmi “alternativi”, del ragazzo svitato, dei perdigiorno, delle cause perse, dei tormenti comuni (il maturo gay che ha problemi con l’amico, la dottoressa dell’Est che trova lavoro solo a pulire i gabinetti, la suora africana che accudisce l’amica). E infine arriva, per trovare l’amica inerte, dallo sguardo vuoto. Ma è contento lo stesso: è a una memoria che fa il viaggio, di quando lei lo ha salvato dalla crisi esistenziale per la morte del figlio nell’alcolismo. Dalla colpa – il trip è punteggiato da ricordi del figlio, ora sorridente, ora sofferente e muto, abbandonato se stesso, sotto droga.
Un film molto inglese, della normalità della eccentricità. Una favola, della ricerca della felicità, di un ultimo tentativo. Con finale dichiaratamente fiabesco: i giochi di luce del ciondolo che l’amico appende alla finestra dell’amica infine ritrovata, un cristallo sfaccettato, fanno tornare il sorriso sul volto spento della donna.
Hattie  Macdonald,
L’imprevedibile viaggio di Harold Fry

 

venerdì 13 ottobre 2023

Guerra del grano, Ucraina contro Polonia, Slovacchia e Ungheria

L’Ucraina potrebbe portare Polonia, Slovacchia e Ungheria al tribunale del Wto, la World Trade Organization, l’organizzazione del commercio mondiale. Non per gli orientamenti dei governi conservatori dei tre paesi sulla guerra (la Polonia è in prima fila contro la Russia), ma per le restrizioni che questi tre paesi impongono all’importazione di prodotti agricoli ucraini.
Confrontata dalla Russia nel mar Nero, tradizionale sbocco della sua grande produzione agricola, l’Ucraina ha individuato nuovi mercati nell’Europa continentale. I tre paesi, insieme con Bulgaria e Romania, avevano protestato, spinti dalle proteste degi produttori nazionali, e la Commissione di Bruxelles aveva autorizzato una serie di restrizioni nei cinque paesi sull’import agricolo dall’Ucraina. A metà settembre, necessitando l’Ucraina di nuovi sbocchi, per le ulteriori restrizioni subite nel mar Nero, la Commissione ha abrogato le eccezioni previste per i cinque.  Ma i tre paesi più colpiti dalla concorrenza ucraina, Polonia, Ungheria e Slovacchia, le hanno mantenute. Da qui la minaccia di Kiev.

Con l’Ucraina meno risorse Ue a Francia e Polonia per l’agricoltura

Con l’Ucraina meno risorse Ue a Francia e Polonia per l’agricoltura. Ne ha parlato il “Financial Times”, ne discute il Consiglio della Ue, nel quadro della trattativa preliminare per l’entrata dell’Ucraina: con l’Ucraina nella Ue ci sarebbe un rivoluzionamento della politica agricola comunitaria (Pac). Un nota interna al Consiglio Ue calcola che l’Ucraina diverrebbe la principale beneficiaria della Pac, e anche dei Fondi di coesione.
Sarebbe un sovvertimento del fondamento non detto del vecchio Mercato Comune poi Unione Europea: la Francia principale beneficiaria della politica agricola, la Germania delle politiche industriali. Con l’entrata dell’Ucraina la Francia diventerà contribuente netto (pagherà a Bruxelles più di quanto ne incasserà - come è sempre stato per l’Italia, prima del Pnrr). E lo stesso la Polonia – che negli anni ha soppiantato la Francia come primo beneficiario della Pac.

Stanchezza d’amore

Una donna di 35 anni, sposa a 19, con una figlio quindicenne, una figlia con problemi, e un aborto, moglie dell’ottico di paese, di suo immobiliarista, una che fuma mentre guida, si concede una vacanza sul sedile posteriore della familiare con l’amico di suo figlio. Scomoda. Peggio nel rifugio che il ragazzo ha proposto, una catapecchia abbandonata nel bosco, su un materasso sudicio. Un’avventura sordida nei particolari rivissuta con gaudio dal ragazzo vecchio. Con una donna di cui solo sappiamo che si chiama Mrs Gray – “la mia Celia” è il solo complimento, finale, al suo sacrificio, e s’immagina la Celia di Shakespeare, se non che quella è, sì, silenziosa e riservata, ma  innamorata della cugina Rosalinda.
Niente di speciale. Un paio di occhiate da voyeur alle sottovesti femminili di cinquant’anni prima costano la lettura di centinaia di pagine di divagazioni, tanto elaborate quanto irrilevanti. Forse una Bovary contemporanea che fuma e guida, “un’educazione sentimentale” al rovescio di quella di Flaubert, di cui Banville ripete il dettaglismo, la precisione dissolvente. L’editore italiano dà un senso in questa direzione al lungo racconto cambiando il titolo – l’originale è “Ancient Light”, una vecchia “illuminazione”. Ma il nuovo titolo non è veritiero, il quindicenne non mostra di avere imparato nulla. Il rimando più conseguente sarebbe a uno “Chéri” al rovescio, la cosa come vista da lui, dal ragazzo, e non dalla sua seduttrice in età – ma senza la leggerezza di Colette.
Una narrazione come un esercizio in durata: vi mostro come sono bravo, a interrompere, riprendere, deviare. Forse una sfida. Conclusa ambiguamente: il ragazzino, ora Grande Attore, si chiede se non è stato una marionetta – “ora mi rendo conto che sono stato sempre manovrato, da forze non riconosciute, costrizioni occulte”.  
La lunga lenta narrazione si interseca, come negli sceneggiati, con due vicende parallele. Con la morte – annegamento? suicidio? – della figlia del narratore Cass, a ventisette anni, una studiosa erudita, “benché soffrisse sin dall’infanzia della sindrome di Mandelbaum, un raro difetto della mente”, a Portovenere, “sotto la chiesetta di san Pietro”. E col progetto di un film su un personaggio ignoto che il narratore, attore noto del cinema, dovrebbe interpretare. Il progetto vale al narratore un viaggio turistico alle Cinque Terre, in compagnia della diva del film, in crisi, al tanfo di un alberghetto aperto a Lerici fuori stagione. Con la scusa di respirare un po’ l’aria che respirò la figlia all’ultimo.
Morti e malattie (mortali) risolvono il romanzo. Con un guizzo alla fine, un omaggio a Paul de Man, il “decostruzionista” principe - lui e non il suo mentore Derrida: “Professore di Decostruzione Applicata al Dipartimento di Inglese dell’universita di Arcadia”. Che non voglia dire qualcosa, un romanzo de-costruito invece che costruito?
John Banville, Un’educazione amorosa, Guanda, pp. 280 € 17,50 

giovedì 12 ottobre 2023

La fine dell’impero russo

Implosa come potenza mondiale, come Unione Sovietica, la Russia fronteggia ora la minaccia di essere riportata indietro di tre secoli, a prima di Pietro il Grande. Lo zar “illuminato”, precursore di Giuseppe II a Vienna e di Federico il Grande a Berlino, di cui fra quattordici mesi ricorrono i trecento anni dalla morte, insegnò alla Russia a guardare verso Occidente, dall’alto dei suoi quasi due metri di statura. Verso il Baltico e il Mediterraneo. Sul Baltico fondò San Pietroburgo, che fece capitale dell’“impero russo” – lo è stata fino al 1917, alla fine dell’impero. Con l’esercito avviò la penetrazione verso il Mediterraneo – la compirà, qualche decennio dopo, la zarina “tedesca” Caterina II.
Oggi il Baltico è un “lago atlantico”, della Nato. E l’accesso al Mediterraneo è per la Russia al benvolere di Erdogan, della Turchia – senza peraltro porti russi praticabili, a meno della Crimea.
Comunque si guardi la guerra che la Russia ha scatenato contro l’Ucraina,  il senso è questo: riaffermare l’identità russa come si era costituita negli ultimi tre secoli, in una infinita serie di guerre verso i suoi vicini in direzione Ovest, verso l’Europa e il Mediterraneo.

Fine dell’Ostpolitik europea

C’era, c’è stata a lungo, una Ostpolitik europea, o quanto meno “renana”, franco-tedesca, di avvicinamento della Ue alla Russia. Con manifestazioni notevoli negli ultimi vent’anni, prima dell’attacco russo all’Ucraina. Nel 2003 Germania e Francia si erano affiancate alla Russia nella critica della  guerra americana all’Irak. Analogamente nel 2008, nella discussione sull’adesione dell’Ucraina alla Nato, e nella guerra in Georgia – dove il cessate il fuoco fu mediato dal presidente francese Sarkozy. E dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014, gli accordi di pace di Minsk furono mediati dal presidente francese Hollande e dalla cancelliera tedesca Merkel.
Sarkozy ritiene ancora che l’Ucraina debba restare neutrale, e che con Mosca bisognerà comunque trattare, per “trovare una via d’uscita”. Ma la Germania, dove l’Ostpolitik è stata configurata, dal cancelliere socialista Brandt negli anni della guerra fredda, mezzo secolo fa, il cancelliere socialista Scholz opera come se fosse defunta.

Putin europeista

Nel quarto di secolo in cui è stato, da capo del governo o capo dello Stato, al comando in Russia, e prima naturalmente della guerra all’Ucraina, Vladimir Putin è sempre stato europeista. Paradossale ma vero. Da ex spia a Dresda, pronunciò in tedesco il discorso al Bundestag nel settembre 2001, privilegio raro. Strinse rapporti economici molto stretti con la Germania, e in parte con l’Italia, e politici con la Francia. Mentre gli oligarchi dei suoi anni, amici e nemici, eleggevano Londra a piazza finanziaria privilegiata.
L’Europa è stata negli anni di Putin il tema privilegiato di tutti, più o meno, i think thank politici russi, e l’unica prospettiva. Mai la Russia sarebbe stata così europea, con libertà di movimento e di opinione, come in questi anni (gli assassinii politici si tende in Russia a non inputarli a Putin, non personalmente). Nell’anno e mezzo dall’attacco all’Ucraina il revirement verso Cina, India e l’ambito Brics è considerato un palliativo (dei Brics la Russia è parte costituiva, ma come categoria economica, e come foro di opinione, non come realtà economico-politica, non antitetica all’Occidente).

Trovare vita alla vecchiaia

La morte di un figlio giovane trascina il suicidio del padre, solido uomo di finanza, e l’emersione del suo vecchio compagno di gioventù. A quindici anni coppia de “I Leggenda”, che doveva ribaltare le classifiche musicali e non ha prodotto nulla, solo debiti, per quanto piccoli. Al funerale dell’amico il sopravvissuto, sempre teorico della musica da fare, incontra la ex moglie, una aspirante indossatrice che non ne sopportava la gelosia manesca.
È la storia di un ritrovamento tra due falliti. Rasserenante. Una storia originale, anche se nel gusto ormai topico di Avati per il passato – e prodotto da ottantenni, Antonio Avati e Santo Versace : è il vissuto di molti contemporanei.
Un film anche retto con misura si direbbe eccelsa, in ogni piega, da Edvige Fenech, Gabriele Lavia e Massimo Lopez. Meno credibile la coppia giovane, Camilla Ciraolo, debuttante, e Lodo Guenzi, della band  Lo Stato Sociale, gli ex dj di radio Città Fujiko di Bologna, da qualche anno protagonisti a Sanremo: lui forse recita se stesso, lei con una dizione poco comprensibile.
Ottima anche la canzone, e in generale la colonna musica, di Sergio Cammariere. La canzone è quella del titolo, la data del matrimonio in tripudio.  
Pupi Avati,
La quattordicesima domenica del tempo ordinario, Sky Cinema Due

mercoledì 11 ottobre 2023

Tutti sapevano, Pacelli è un falso scopo

“Nel settembre 1942, mentre Dell’Acqua minimizzava le voci sulla Shoah, monsignor Giovanni Battista Montini usava per la prima volta la frase “sterminio che si sta facendo degli ebrei” in un documento prodotto all’interno della segreteria di Stato” – Giovanni Coco, relazione al convegno “La Santa Sede e la Seconda guerra mondiale”, Pontificia Università Gregoriana, Roma. Quindi non si può sostenere che il papa non sapesse.
Ma non solo monsignor Montini, il mondo sapeva a quella data. Anzi, quanti non sapevano?
Astolfo ne traccia le denunce, nel corso del 1942, l’anno di avvio della “Soluzione Finale”, in “La morte è giovane”, romanzo in via di pubblicazione:
“La prima, prevalente e duratura sensazione dei sopravvissuti al ritorno, che prendeva mesi e peripezie, trascurati, nei casi migliori, dalle polizie alleate, fu l’isolamento. Chi non muore annega nell’indifferenza: “Non sapevo a chi raccontarla”, dice Primo Levi. Per anni gli scampati hanno avuto anche questo incubo, isolati nelle loro stesse famiglie, perfino in quelle ebraiche. Nessuno che credesse o partecipasse alla loro tragedia, li ascoltasse e li accettasse, ne perdonasse le inevitabili turpitudini, ne sciogliesse nella comprensione la durezza del cuore che lo sterminio sistematico induce, la elevasse a protesta, desse al ricordo e alla sopravvivenza rilievo politico. La guerra si vuole dimenticarla, anche configurando un dovere di resistenza: in Israele i sopravvissuti sono stati subito e per sempre reietti, disprezzati perché erano stati ad aspettare Hitler, lasciandosi portare come pecore al macello invece di organizzarsi e resistere.
“Ma a lungo lo sterminio non fu parte della guerra. L’obbrobrio del nemico è parte della guerra, e a un certo punto la resa incondizionata e la colpa collettiva emersero. Non lo sterminio, che pure si sapeva atroce, non c’era bisogno d’inventarlo o simularlo. Jan Karski lo denunciò subito: il 10-12 agosto del ‘42 Witold Pilecki, della resistenza interna a Auschwitz, ne diede testimonianza scritta, e lui diligente ne fece parte ai capi religiosi e politici in Occidente. Il governo polacco in esilio già ne aveva dato prove. La resistenza polacca lo documentò a ottobre del ’42. Le Nazioni Unite lo dettagliarono a dicembre. Il New York Times ne aveva riferito il 30 giugno e il 2 luglio. “Nell’autunno del ‘42 c’erano state le prime condanne dei persecutori. Nelly Sachs sapeva nell’esilio a Stoccolma, nel ‘43, quando scrisse “il tuo corpo è fumo nell’aria”, l’epicedio per il “fidanzato morto”, il giovane che mai la amò. Malaparte, ospite gradito a Varsavia del Re tedesco di Polonia Hans Frank, lo diceva e lo scrisse nel ‘43, degli ebrei morti in massa, nel ghetto e fuori, per fame, impiccagione, mitra, dei vagoni piombati, delle ragazze ristrette nei postriboli. A fine ‘43 circola in Svizzera un Manuale del maggiore polacco: Jerzy Tabeau, evaso da Auschwitz, vi stima in mezzo milione gli ebrei già eliminati nei lager. Ma la consegna è del silenzio: i russi, che liberano Auschwitz a gennaio del ’45, ne parlano a maggio, senza menzionare gli ebrei”.
 
Si dà molto credito alla “scoperta” di Coco negli archivi vaticani, dell’appunto di Montini e di una lettera del gesuita tedesco Lothar König al suo amico Robert Leiber, anch’egli gesuita, segretario di papa Pacelli. Come segno della pavidità, se non della connivenza, del papa. Non è la prima volta. Per anni, per decenni il dibattito sulle responsabilità e le correità è stato puntato sul Vaticano, a opera di alcuni ricercatori preconcetti, senza alcuna effettiva ricerca, e dopo il furbissimo Rolf Hochhuth, drammaturgo autore di un solo dramma, “Il vicario”, 1963, sul quale ha poi vissuto di rendita, dove la colpa non è più della Germania ma “del papa” – non propriamente Pio XII Pacelli, la chiesa.
Che significa sapere, tutti sapevano. Come si fa allora a rendere la chiesa di Roma corresponsabile dello  sterminio? Si può, per motivi politici. Come il furbo Hochhuth per non menzionare la Germania – in una sottile vena negazionista, forse il macello non era così efferato. Oppure per tacere, continuare a tacere, della “soluzione” più spaventosa e crudele della “questione ebraica”, nonché della Resistenza polacca, fra le tante tentate prima dello Zyklon B e dei forni: le Einsatzgruppen, con i sottostanti Einsatzkommandos. Erano truppe speciali di sterminatori, che radunavano ebrei e sospetti polacchi in piazza e li mitragliavano, a migliaia, composte da tedeschi della Gestapo e, in gran numero, da volenterosi lituani e ucraini.
 

Ladri buoni e divertenti

Una simpatica serie di avventure di ogni tipo, astrali, fiabesche, western, medievali, compreso il “graal” e le fate. Con attori che si divertono e divertono, Bradley Cooper, un resuscitato Hugh Gant, Chris Pine, un’imbruttita Michelle Rodriguez. Tra i buoni Arpisti e i cattivi Maghi Rossi. Se non che un Mago Rosso ha ucciso la moglie di un bravo Arpista, che di conseguenza è diventato cattivo, e insieme con una Barbara abbandonata dal marito e alla figlia di lei si rifà un’altra vita, spcializzandosi nel furto con destrezza.
Attorno alla Tavoletta del Risveglio, che il bravo Arpista tenta di recuperare, per “risvegliare” la moglie morta, s’ingenera un’altra serie di avventure. E così via, per dueore e emzza, un sorpresa ogni dieci minuti.
Dell’omonimo gioco di ruolo, che appassiona da mezzo secolo i ragazzi, probabilmente il gioco di ruolo più giocato (a Roma per molti ani, quando si potevano occupare gli edifici pubblici, un magazzino specializzato ha funzionato al Convento Occupato, dietro il Campidoglio), ha poco. Ma lo spirit è quello.
John Francis Daley-Jonathan M.Goldstein, Dungeons&Dragons – L’onore dei ladri, Sky Cinema

martedì 10 ottobre 2023

È meglio dire le cose come stanno

Si ripete in Israele la verità della guerra in Ucraina, tutta da una parte. Giusta in quanto risponde allo schieramento nazionale, politico e dell’opinione. Ma sbagliata in quanto risponde non alla verità delle cose, ma alla propaganda.
La propaganda è anch’essa giusta, si fa la guerra anche con le “notizie” - la verità è la prima vittima della guerra già in Eschilo. Ma per il suo stesso essere di incoraggiamento e di sostegno vuole un margine di verità. Di verità della cosa.
Due o tre esempi. Aiuta Israele ridurre Hamas a una banda di terroristi, o al contrario eleggerlo a Nemico? Perché la guerra non finisce ad horas, anche se militarmente non c’è partita – è “guerra”, dice giustamente il primo ministro israeliano Netanyahu, non un attacco terroristico. Aiuta non dire che la frontiera con Gaza era sguarnita perché la truppa in servizio era dislocata nella West Bank, a fronteggiare la protesta contro le violenze dei coloni - un migliaio di Palestinesi sloggiati attorno a Nablus nei soli otto mesi di questo anno fino ad agosto secondo le Nazioni Unite? E cosa è Gaza? Un piccolo territorio occupato da due milioni di persone, sotto blocco (“blockade” nel gergo del diritto internazionale) israeliano e egiziano da quindici anni, per tutti i collegamenti, terra, aria, mare, e per l’approvvigionamento di acqua e elettricità. Indifendibile, e invece no: perché?

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (540)

Giuseppe Leuzzi
“La commedia all’italiana ha sempre vissuto di regionalismi: le contrapposizioni Nord\Sud, il milanese e il romano, il siciliano geloso,  il napoletano flemmatico… Oggi tutte queste cose non si possono fare più”, Neri Parenti, regista del “genere”. Cioè ci sono ma non se ne può parlare – nemmeno per ridere. Per antirazzismo, oppure in realtà per razzismo – che si vuole nascosto, integrale, non disinnescato nella risata?

Nunzia De Girolamo, di Benevento, ex deputato Foza Italia, ex ministra dell’Agricoltura, ex vedette di “Ballando sotto le stelle”, ora conduttrice di Rai, 3, intervistata su “Oggi”, alla domanda se Meloni riuscirà a domare l’esuberanza di  Salvini risponde: “È una donna, e le donne sono abituate a comandare, anche se a lungo lo hanno fatto dalle retrovie”. La donna del Sud.

 
Non si racconta l’emigrazione
Non c’è molta letteratura dell’emigrazione. E non se ne parla nemmeno. Lo scopre per caso Goffredo Fofi recensendo il film di Garrone “Io, Capitano”, per analizzare le ragioni per cui il film non gli è piaciuto. C’è De Amicis, “Dagli Appennini alle Ande”, e c’è Giovanni Arpino.
Fofi si riferisce ai racconti “formativi”, rivolti ai più giovani. Di cui esemplare trova, anche in questo, Verne, “Un capitano di quindici anni”. E poi De Amicis e Arpino (“degli scrittori italiani del secondo dopoguerra, mi pare che solo Giovanni Arpino abbia raccontato ai ragazzi le avventure di uno di loro, dal Sud al Nord negli anni del boom e dello spopolamento delle campagne….”.
Fofi dimentica Mimmo Gangemi, “La signora di Ellis Island”, la prima Mazzucco, “Vita”, premio Strega, e un po’ di Carmine Abate. Ma non è molto.
Non c’è letteratura italiana sulle migrazioni in Italia. Ce n’è invece da parte di emigrati o figli di emigrati italiani in Australia (Luigi e Alfredo Strano, Giovanni Calabrò, Domenico Marasco, Rocco Petrolo, Gerardo Papalia, ino Sollazzo, Vincenzo Papandrea, Giovanni Misale…) e negli Stati Uniti. Negli Stati Uniti ovviamente si contano casi eccelsi di italoamericani nella narrativa del Novecento che hanno raccontato l’emigrazione, Talese, DiDonato, John Fante.  
 
La verità su Falcone, prego
Messina Denaro in fin di vita (non propriamente: con un’aspettativa di vita che sa breve e brevissima) parla disteso con i Procuratori Guido, Padova e De Leo delle ultime stragi di mafia – di cui non si vuole responsabile. Con l’allusione, il tipico detto e non detto mafioso, ma comunque parla. Per dire quello che i teorici e sostenitori dello Stato mafia si vogliono sentire dire, sempre col detto e non detto. Ma anche con chiarezza.
La chiarezza sta nell’aver puntato la sua non-deposizione sulla “strage Falcone”, fra le tante. “Voi magistrati vi siete accontentati che il giudice Falcone sia stato ucciso perché ha fatto dare 15 ergastoli  al maxiprocesso?”.
Il tono è irridente. È lui che conduce l’interrogatorio sulla “strage Falcone”. “Perché penso che sia la cosa più importante, da dove nasce… quantomeno da dove nasce tutto”. Per “tutto” intendendo “le stragi, l’input”.E insiste: “Sì, sì, questa strage…tutto da lì parte”.
Poi non spiega, ma passa alla strage sucessiva, due mesi dopo, di Borsellino in via D’Amelio:  “Dopo non so quanti anni avete scoperto che non c’entrava niente Scarantino… Ora la mia domanda è, me la pongo,diciamo, da scemo, perché vi siete fermai a La Barbera?” La Barbera è il dirigente di Polizia, morto successivamene, che indirizzò l’indagine su Scarantino, una pista palesemente falsa. “Perché La Barbera era all’apice di qualcosa: ha capito cosa… il contesto?”. Il contesto politico, di delegittimazione di Falcone. Finendo per insinuare: “E se La Barbera fosse vivo, ci sareste arrivati oppure vi sareste fermati un gradino prima di La Barbera?”. Come dire: morto La Barbera, vi è stato comodo scaricare tutto su di lui, e basta.
Qui il Procuratore Guido lo rimbecca: “Lei si rende conto che queste sono cose sulle quali noi ci aspettiamo delle risposte, non delle domande?” Ma Messina Denaro ne ha ancora una: “E perché in certe cose (i magistrati) si accontentano e in altre no?” In altre, intende, vanno a fondo.  
Sul punto della “strage Falcone” tutto è rimasto nell’ombra. Il “contesto” era politico, l’isolamento di Falcone, la sua delegittimazine – in tv, e in Parlamento. Falcone era guardatissimo, e si guardava. Non era abitudinario, forse per carattere, comunque non lo era a Roma. E della sua imprevedibiltià faceva parte anche la prevedibilità - poteva dire: il tal giorno alla tal ora sarò qui o lì, e poi cambiare, oppure no. A Capaci invece la strage era preparata da tempo: giorno e itinerario furono conosciuti dagli attentatori in tempo. Potevano variare, ma di poco, solo il volo e l’ora. Riina e I suoi boia sapevano da giorni. Chi e come ha informato Riina non s’è mai saputo. Appunto, come dice Messina Denaro, non si è mai cercato – il “contesto”si è defilato.
Peggio se l’attentato di Capaci è stato uno dei tanti preparati. Per altre occasioni, che magari Falcone imprevedibile ha evitato.

Con la cultura non si mangia
Rispondendo a Giuseppe  Muscari di Locri, che gli rimprovera una sorta di anti-italianismo
in tema di rispetto dell’arte, Cazzullo gli fa l’esempio di Locri, o di Mazara del Vallo. Qui, dice,
ha passato “un quarto d’ora meraviglioso, in piena estate”, in compagnia del satiro danzante nel
museo: ero e per un quarto d’ora sono rimasto l’unico visitatore”. Lo stesso si può testimoniare
del museo di Sibari, o di Crotone, per il tesoro di Hera Lacinia a Capo Colonna.
A Reggio Calabria invece l’Archeologico si riempie, anche fuori stagione turistica, di visitatori. Per i Bronzi –ma anche l’Apollo Aleo, e altro. Qui però è la città totalmente avulsa. Non ha costruito in venti o trent’anni, e non costruisce, niente, attorno ai Bronzi – o al Lungomare patrimonio dell’umanità, o allo Stretto fino alle nevi dell’Etna. E non per essere impegnata in tutt’altro – come ad es., si parva licet componere magnis, Milano, che trascura in tanto bello ereditato per il “lavorerio”, per il business. Per nobiltà dello spirito – con la cultura non si mangia, nel senso di non si deve mangiare, da vera nobiltà dello spirito, da “intellettuali del Mezzogiorno, di quel pensiero tipico della Magna Grecia”. Incuria? Mancanza di bisogno.
 
Cronache della differenza: Milano
“Sono sempre affascinato dall’anima del serpente”, dice l’artista Fabrizio “Bixio” Braghieri, d a ultimo autore di installazioni acclamate,  milanese: “Il serpente è un po’ come Milano, città sinuosa, piena di angoli e anfratti in cui nasconde le sue gioie”. Città segreta, da tinello familiare, la voleva Gadda , altro suo figlio emerito.
 
“Se uno si prende la briga di contare i Daspo, e cioè i provvedimenti del questore contro i violenti, scoprirà che Milano ha ampiamente il record nazionale”, Piero Colaprico, “la Repubblica”. Ma “Milano tira, ha fama di città del divertimento e del turismo giovanile”. La pubblicità è tutto.
 
“Allarme sicurezza a Milano,(il sindaco) Sala chiama Gabrielli (ex capo della Polizia). «Ma qui non è Gotham Ciry», si premura di precisare”. Giustamente, Milano non ha più “disagio” giovanile –maleducazione – di altre città , Roma come Bari. Ma si vuole speciale.
 
Sui giovani ha una lunga tradizione. Cominciò con gli hooligans sessanta o settant’anni fa – gli hooligans, per quanto mansueti a Milano, la mettevano alla pari di Londra. Poi i “capelloni”, in prima sul “Corriere della sera”, e con Pasolini. Poi i paninari…Non c’è sfoglia della realtà che Milano non si intitoli, per la storia.
 
La Juventus torna temibile nel campionato e subito Milano l’artiglia. Questa volta senza la Consob o altre agenzie. Basta dire che ha sprecato un miliardo e mezzo, cifra iperbolica, e che la Famiglia non finanzia più il club. Milano non si lascia scappare una briciola.
 
Impensabile patronaggio domenica 10 settembre sul “Corriere della sera” di Mario Monti a Meloni e Giorgetti. Con citazioni a iosa del ministro dell’Economia come fosse un Grane Economista. Tutto perché Giorgetti è laureato della Bocconi – Meloni è semplicemente “in politica già a vent’anni, cresciuta alla Garbatella, piena di ardimento” (e uno s’immagina la Garbatella un luogo da cui scappare, mentre è da molti anni ormai un quartiere ambito).
 
“Andare a Milano fu come essere deportato”, ricorda il regista Luca Miniero (“Benvenuti al Sud ”) del sua esperienza giovanile, anni 1980: “Coi treni diversi dagli attuali, era una città molto lontana. Da bere c’era poco, e anche da mangiare. Era una Milano in crisi, che licenziava”.
La Milano da bere era una fissa di Craxi, che non tollerava critiche sulla sua città. Che gliela fece pagare.
 
“Dovevi arrivare vergine al matrimonio e se non lo eri succedeva un dramma”, ricorda Isabella Bossi Fedrigotti. Di Palermo? No, della sua città, Milano, nella sua adolescenza, anni 1950: “Una perbene non si truccava, il rossetto era peccato”.

leuzzi@antiit.eu

Colombo era un cretino, oltre che un malfattore

“Poche figure storiche sono state sottoposte a una revisione così radicale come quella di Crtistoforo Colombo, la cui “scoperta” del “Nuovo Mondo” verrà celebrata domani con una vacanza in suo nome. In precedenza questo mese i parlamentari americani hamno riproposto un disegno di legge che sostituirebe il Columbus Day con un Indigenous Peoples’ Day; molti dei miti ammirativi che lo circondano sono stati radicalmente smontati. La versione della vita di Colombo con la quale la maggior parte di noi è cresciuta fu inventata nel primo Ottoceto, ha scritto Elizabeth Kolbert sul “New Yorker” nel 2002. Colombo non sfidò l’opinione corrente che la terra era rotonda; al contrario, era uno dei pochi che coltivava la possibilità che non lo fosse. Le sue coordinate nautiche sarebbero state da ridere, se non che ha falsificato i numeri che aveva condiviso con la sua ciurma.  Il suo errore peggiore, naturalmente, riguardò il trattamento dei popoli Nativi, il cui “soggiogamento” promosse pochi giorno dopo lo sbarco…” (sbarcò “in Venezuela”?). Eccetera.
Per il Columbus Day, che mette al 9 ottobre invece che al 12, la rivista riesuma, sotto la testatina “classici”, un lungo testo pubblicato il 14 ottobre 2002, della sua redattrice Elizabeth Kolbert, intitolato “The Lost Mariner”, il marinaio disperso, di cui sinteizza il contenuto nel sommario qui tradotto. Sotto il “catenaccio”: “La fiducia in se stesso che animava Colombo era il suo malfatto”.
Nel testo manca lo sterminio degli indiani, molte altre infamie ci sono per circa venti pagine. Molto prima della “cancel culture” – Kolbert (saggista poi affermatasi col catastrofismo “verd e”, “La sesta estinzione”, “Il cielo bianco”, premio Pulitzer per questo) e il “New Yorker” sono establihment newyorchese, non le minoranze della futura cancel culture.
The Extreme Incompetence of Christopher Columbus
, “The New Yorker”, free online

 

lunedì 9 ottobre 2023

È una guerra, e non sarà lampo

È una guerra, e non sarà di un giorno - ed è già, e più sarà, senza regole, senza limiti. Non sarà una guerra lampo, quella scatenata dai Palestinesi contro Israele (chiamare terroristi gli attaccanti è probabilmente una forma di pigrizia, e non aiuta a capire né a risolvere), nella ricorrenza dell’attacco egiziano del Yom Kippur 1973 per la liberazione del Sinai. La forza militare è dalla parte di Israele, senza alcuna comparazione possibile, ma Gaza non è occupabile, e nemmeno controllabile: il recupero della credibilità della propria deterrenza, un dogma in Israele dalla guerra dei Sei Giorni, richiederà tempo, con molte morti e distruzioni.
Lo stato maggiore e il governo israeliano indirettamente lo confermano, che hanno provato a spostare la guerra a Nord, contro Hezbollah, cioè contro il Libano. Impresa più facile, già messa in atto da Israele contro l’Olp, l’organizzazione per la Liberazione della Palestina di Arafat, che Hezbollah ha, per ora, rintuzzato, proclamandosi estraneo all’attacco da Sud.
Gaza è un territorio piccolo, 365 kmq – quanto la provincia di Prato, per intendersi, la più piccola in Italia se si esclude Trieste. Con due milioni di residenti, tre quarti dei quali rifugiati. Due connotazioni, la superficie ridotta e l’alta densità abitativa, che non favoriscono l’occupazione prolungata, contrariamente a quanto sembrerebbe, anzi la rendono impervia.
Il 7 ottobre Israele ha avuto probabilmente più vittime di tutte le sue guerre, tra morti e ostaggi. In una operazione che Hamas chiama Al Aqsa, la Grande Moschea di Gerusalemme oltraggiata qualche tempo fa dalla polizia e le forze armate israeliane. L’organizzazione e il successo militare dell’attacco a Israele daranno probabilmente a Hamas lo status di forza combattente militare, non più terroristica. E quindi un’identità politica, statuale.

L’America presa alla sprovvista, arsenali semivuoti

Troppe due guerre, in Israele dopo l’Ucraina, e con Taiwan a rischio. L’America di Biden, che aveva esordito abbandonando l’Afghanistan, e restituendo all’Iran 6 miliardi malgrado le sanzioni, sono di preoccupazione. Non solo perchè nessun segnale era stato avvertito di quanto si preparava - appena uan settimana prima, al The Atlantic Festival, il consigliere presidenziale per la Sicurezza Nazionale Jake Sullivan assicurava che “il Medio Oriente non è mai stato così tranquillo negli ultimi due decenni”. Il riavvicinamento avviato da Biden con l’Arabia Saudita, al punto da portare il reame a preliminari di pace con Israele, resta bloccato – mentre Riad coopera con Putin, e anche con Pechino, nel gruppo dei Brics, alternativo al G 7, e anche fuori, fra petrolio e finanza. E prolungandosi lo stato di guerra ci sarebbero problemi per i rifornimenti militari.
Gli Stati Uniti si ritengono sempre impegnati alla difesa di Israele, ma gli arsenali sarebbero semivuoti dopo l’assistenza all’Ucraina, e a Taiwan. E un rilancio della produzione bellica richiederebbe molti mesi, anche più di un anno, per motivi di budget e di organizzazione.
Prolungandosi il conflitto, ne sarebbe probabilmente indebolita la presidenza Biden, nell’anno della campagna per il rinnovo della carica.

Bulli e stupri a scuola

La preside convoca i genitori di tre ragazzi che hanno bullizzato e poi violentato una compagna tredicenne. Li convoca nella palestra vecchia e sporca della scuola dove le violenze si sono consummate. Lo sconcerto dei genitori si dirige contro la ragazza, e contro la preside. Che nel tentativo di evitare il contatto fisico con I genitori s’inerpica sulla vecchia pertica, cade e muore. I genitori sollevati cancellano l’unica testimonianza esistente delle violenze, dal cellulare della preside, e si accordano per evitare incriminazioni per la morte della preside.
Un racconto “civile”, proiettato alla Festa del Cinema a Roma un anno fa, su un tipo di violenza adolescenziale sempre più ricorrente. Quasi didascalico. Specie sulle responsabilità delle famiglie, dei genitori, in questo tipo di comportamenti.
Un film civile. Sceneggiato dai fratelli D’Inocenzo, esperti di periferie. Ma il film riprende il dramma di Giorgio Scianna, “La palestra”, con scenografia, tempi e gestualità teatrali. L’impegno di Santamaria, con Rubini e Finocchiaro, dà un po’ di spessore al dramma, che però non va oltre il fatto di cronaca.
Stefano Cipani, Educazione fisica, Sky Cinema

domenica 8 ottobre 2023

Ombre - 688

Questa volta è “guerra”, giustamente Netanyahu l’ha dichiarata. Finora i Palestinesi si erano espressi col terrorismo, compresa la Olp, mai operativa su territorio israeliano, e nella disobbedienza civile delle Intifada. Questa è una guerra, anche se di un paese inesistente, Gaza. Dove però Hamas è un potere, se è riuscito a neutralizzare la intelligence israeliana. E che non si può cancellare – ne è anche difficile l’occupazione militare. Il conflitto israelo-palestinese assume un altro rilievo.
 
Tutte le guerre degli ultimi quarant’anni si combattono alle frontiere della Fortezza Europa. In Libano, Golfo, ex Jugoslavia, fino all’invenzione del Kossovo, Afghanistan, Iraq, Libia, Siria, Georgia, Ucraina, e ora di nuovo alle frontiere di Israele. Non è un caso, non per gli stati maggiori. Solo l’Europa non ci fa caso.
 
(Non) riempie Roma la Cgil alle manifestazione per i diritti. Capifila Bindi, uno Zagrebelslsky, e don Ciotti, tre ottantenni. Una mobilitazione per la terza età? Nostalgica? Dei reduci del Cinquantennio,  1944-1994?

L’unico slogan della manifestazione sarà il “Meloni è una puttana” che un gruppo intona sulla metropolitana. Un gruppo di vecchi militanti proprio della Cgil. Povero sindacato, Berlinguer non c’è più ma il reducismo fa ancora danni.   

È curioso come i media trattano le foto della giudice Apostolico alle manifestazioni contro il ministro dell’Interno – Salvini era ben un ministro dell’Interno, di un governo a guida 5 Stelle, gli alleati del Pd. Trattandone la pubblicazione come dossieraggio. Come se la finora sconosciuta giudice catanese fosse una nemica giurata di Salvini, che per questo la faceva pedinare.
 
È curioso che i media abbiano ripreso le immagini di Apostolico in piazza contro Salvini, di incredibile interesse giornalistico, solo dopo e perché le ha rilanciate Salvini.
 
La giudice Apostolico è difesa, anche per la sua libertà di manifestazione, dall’Anm, il sindacato dei giudici, e da alcune correnti sindacali, è nei compiti del sindacato. Ma è curioso che il Tribunale civile di Catania non abbia nulla da dire su questa sua giudice che abroga una legge – o il dottor Massimo Escher che vi presiede il Gruppo per i diritti della persona e dell’immigrazione.
Anche sul piano sostanziale, gli immigrati non li protegge una come Apostolico – basta leggere le scemenze che ha fatto valere in udienza.  
 
S’illustra il Nobel per la Pace a Narges Mohammadi con una foto lusinghiera del “capo spirituale” dell’Iran Khamenei, ringiovanito, sullo sfondo di fanciulle adoranti, nei paludamenti di regime, che dice il premio “un insulto alla religione di due miliardi di persone”. Che erano un miliardo cinquant’anni fa: è stupefacente la diffusione dell’islam, anche a prescindere dall’oro nero, sparso a pieno mani in Africa e in Asia da cinquant’anni a questa parte, dal primo shock petrolifero - mentre le confessioni cristiane, quella romana in primo luogo, si ritiravano contrite dalla piazza economica, luogo del demonio. Stupefacente la diffusione di una religione che vuole, fustigazioni, lapidazioni, impiccagioni, e un costume obbligato per le donne. Un simbolo per tante ragazze che s’incontravano allo Zodiaco a Monte Mario e tuttora al Forte dei Marmi, in bicicletta, a esibire nella calura velo e chador – malgrado le bastonature mortali a Teheran.
 
La giunta Zingaretti, ultima giunta Pd alla Regione Lazio, ha creato come suo ultimo atto quindici mesi fa degli enti inutili, gli Egato, enti di governo degli ambiti territoriali ottimali. Per dare “lavoro” a una serie di esponenti politici locali, con uno stipendio da ottomila euro mensili per il presidente. La giunta di destra che è succeduta a Zingaretti non riesce ad abrogare questi enti inutili – al procedura amministrativa è lunga. Ma il Pd tace.
 
Il maxiprocesso a Milano per le truffe alla Ue si conclude con 11 condanne (la maggior parte delle quali in realtà patteggiamenti) e 51 assoluzioni. Con motivazioni delle condanne principali che fanno ridere il cronista giudiziario del “Corriere della sera”. Si sono liberati i giudici di Milano? La  Procura di Milano non ha più peso. Milano non la teme?
 

L’infelicità che viene dal nulla

Questo sito ha già recensito “Infelicità senza desideri”,
http://www.antiit.com/2020/01/povera-madre-del-figlio-nobel.html
Che altro dirne? La storia di una donna senza storia. Se non che è finita col suicidio, che non è un passo anonimo. La madre dello scrittore. Giovane felice a Klagenfurt quando Htler dichiara l’Anschluss, l’annessione dell’Austria. Innamorata di un uomo sposato. Col quale concepisce e dà alla luce il figlio Peter. Sposa poi di un uomo qualunque, per sistemarsi.  Alla sconfitta a Berlino, in rovina, a mendicare un po’ di cibo.
Non una biografia, non ci sono storie, aneddoti, prima e dopo. Un ritratto. Di un’infelicità. Con una morale, forse, per quanto scontata: si è infelici per non avere, perché si è poveri. Pure, nel caso specifico, valutata la storia vera della “famiglia” Handke, l’infelicità che viene dal niente, una deriva psichica di cui non si trova la genealogia.
È la riedizione della vecchia traduzione Garzanti.
Peter Handke, Infelicità senza desideri, Guanda, pp. 106 € 15