Giuseppe Leuzzi
Si litiga sull’esumazione di una
vecchia serie tv, “Il Camorrista”, sulla banda Cutolo, e il figlio di una delle
vittime, del direttore del carcere di Poggioreale, anche lui come il padre “servitore
dello Stato”, protesta: “Perché non mettere alcentro la vittima, invece che I
carnefici, una banda di assassini, di nessuno spessore ?”. È vero, ed è il tarlo
delle serie mafiose. Il criminale è l’eroe, surrettizio - si propongono crimini
come spettacolo. E occupano la scena. È la damnatio
del Sud – non ce n’è un altro.
La serie “Il camorrista” è di
Tornatore, regista “siciliano” per alcuni capolavori, “Nuovo Cinema Paradiso”,
“Baaria”, ma anche il primo, se non il maggiore, regista “internazionale”, che
sa della necessità di un respire internazionale (cast, inglese, troupes,
locations) . Tornatore ne è entusiasta, a distanza di quarant’anni da quando
l’aveva girata. Felice anche che si riproponga, per “celebrare” la morte della
sorella di Cutolo – il camorrista è Cutolo.
Karin Smirnoff, la scrittrice
svedese che continua la saga “Millennium” di
Stieg Larsson, ricorda sul “Venerdì di Repubblica”: “A
19 anni avevo un ragazzo italiano, conosciuto a Parigi, che mi invitò in Calabria per l’estate,
presso la sua numerosa famiglia, in un paesino. A quel tempo fumavo, e la prima mattina uscii
da sola per comprare le sigarette. Tutto d’un tratto vidi attorno a me uomini che mi guardavano e mi
seguivano. Poi apparve il padre del ragazzo, molto arrabbiato. Ma non verso gli altri, verso di
me: apparentemente non era permesso a una ragazza di fare una camminata da sola”. Smirnoff è
del 1964, quindi parliamo del 1983. In Calabria? In immaginazione?
Essere oggetto di fantasia
può essere lusinghiero. Oppure letale.
Fenomenologia del paese
In una mezza pagina del racconto
“La cavalla nera” (il primo della raccolta “75 racconti”), sul ritorno al paese
dei due personaggi della storia, Corrado Alvaro dà una precisa fenomenologia
sociale del “paese”, della vita di paese. Subito la curiosità: “Lo scalpiccio
degli zoccoli delle nostre bestie… annunziava il nostro arrivo riempiendo del
suo rumore l’abitato e dando subito colore di festa, di forestieri, d’imprevisto”.
Poi il sospetto: “Chi abita o frequenta luoghi come questi, prende le misure
necessarie: va dimesso per strada, evita di levare gli occhi sulle persone
pericolose, rincasa all’imbrunire”. E ancora: “In un villaggio siffatto gli
occhi sono tutto: parlano, pregano, promettono, minacciano, possono anche uccidere.
Uno si volta, e vede occhi nell’ombra delle case, occhi di smalto tersi e
inespressivi, occhi colore di latte dei
bambini stupiti, occhi attenti dietro una fratta. S’insegna alle bimbe di tenere
gli occhi bassi”. E per finirela “restanza”, il senso comunitario: “La notte,
mentre ci allontanavamo, il tepore umano di quell’abitato rendeva molle quel
buio fino a due miglia lontano”.
Più piccola la comunità, più isolata,
più forte l’appartenenza, esclusiva. Fino a quella sorta di incrostazione che Ernesto
De Martino rilevava in un saggio trascurato del 1964 su “Nuovi Argomenti”,
“Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche” – che dovrebbe dare da
pensare a Vito Teti, a proposito della sua nozione di “restanza”: “Nella misura
in cui gli oggetti si separano dalla rete di relazioni domestiche, dalle
memorie culturali latenti che li mantengono in ambiti ovvi…. si fa valere il
rischio di un loro caotico relazionarsi… in una vicenda inarrestabile di
assurde oicononie”. Gli oggetti, i gesti, le attitudini.
Se il nemico è la legge
Un ragazzo, uno delle
“vittime” dei tribunali di prevenzione con i quali si presume di combattere la mafia
(“colpiamola nei beni”), commenta la fine della giudice palermitana Saguto,
condannata dalla Cassazione per abuso
d’ufficio e corruzione: “Ha rovinato la vita di tante famiglie e ha rovinato la
sua”. Il commento più appropriato. Di una giustizia che può non essere corrotta
(la giudice condannata fieramente nega ogni addebito), ma sicuramente è violenta.
Soltanto violenta: confusa, imbrogliata, imbrogliona, ma intanto persecutrice.
Specie questa, quella delle potentissime sezioni Misure di Prevenzione. Che possono
disporre (“rovinare una famiglia”) senza giudizio e senza condanne – una pratica
assurda di cui non si parla, neanche dopo la denuncia documentata di Barbano,
giornalista di lungo corso e giurisperito, “L’Inganno”, un anno fa. Un atto
d’imperio. Un confino di polizia esteso ai beni dei sospettati, senza bisogno
di prove, per un semplice sospetto.
Un “sistema” balordo anche
dopo la sentenza della Cassazione contro Saguto. Nella quale la Procura di Caltanissetta,
che ha indagato e mandato a processo la giudice, di ruolo alla sezione Prevenzione di
Palermo, ha trovato gli estremi per la carcerazione immediata, della ex giudice
nonché del marito e altri suoi correi. Mentre lei può argomentare che la
sentenza della Cassazione, mezzo assolutoria e mezzo accusatoria, non contiene
elementi per procedere all’arresto.
L’accusa non è da poco: Saguto
ha affidato la gestione dei patrimoni messi provvisoriamente sotto sequestro ad
amici suoi e del marito. Che accusa è, si penserebbe, chi perde il tempo a
gestire cose non sue, e magari di persone violente, se non per un senso del
dovere, un senso civico? E invece no, perché i sequestri
preventivi sono un affarone. Per i curatori. Roba di cui niente resta, alla
fine della curatela, non per lo Stato, se si arriva a una condanna, non per i
malcapitati che fossero poi assolti: tutto è passato ad arricchire i curatori, con varie procedure, tutte peraltro note, esercitate pubblicamente.
Senza contare l’assurdità, nel quadro del contrasto all’illegalità,
di un tribunale “speciale”, extra legem,
prima che aperto alla corruzione. Che procede cioè per ipotesi di polizia. Ma prende
decisioni che, definite temporanee, sono di fatto decisive, di esproprio. I
giudici delle sezioni Prevenzione possono, senza dover
provare niente, sequestrare, confiscare e anche alienare i patrimoni di gente
anche onesta, a uzzo di voci e convinzioni, che spesso non è condannata – in alcuni casi nemmeno indagata – e perde tutto: quando il patrimonio viene
restituito è sempre azzerato di valore. E non è tutto: la giudice Saguto che
sostiene di non avere fatto nulla di male fa capire quanto la pratica sia
normale, che le confische servono a riempire le tasche di amministratori che il
tribunale di prevenzione nomina liberamente, tra amici e consoci.
Cronache della differenza: Sicilia
Nel “Posta e risposta” su “la Repubblica” un lettore può
elencare una lunga lista di “scrittrici donne e siciliane”: Stefania Auci,
Nadia Terranova, Cristina Cassar Scalia, Alessia Gazzola, Aurora Tamigio,
Lorenza Spampinato, Silvia Gasso, Catena Fiorello, Dacia Maraini, Simonetta
Agnello Hornby. Una lista a cui Merlo aggiunge Maria Attanasio. Tra i viventi.
E le Messina, Maria e Annie, o Livia de Stefani, nel finitimo tardo Novecento? O più in là la
siculo-pisana Curradi-“Adorno”, che ancora si rilegge. Le liste sono fatte per
allungarsi – si fa prima a dire “la donna del Sud”.
Il Tribunale di Catania, la
prima sezione civile, ha un “Gruppo diritti dei migranti”. Tutto di donne, con l’eccezione del giudice Capogruppo,
Escher. Tutte di Catania, con l’eccezione di Escher. Donne pure gli avvocati
che patrocinano i migranti allo sbarco. Nella città del mascolinismo di Brancati
un secolo fa, per quanto di ingravidabalconi – ancora negli anni del collegio, 1950-1960, le catanesi uscivano
sempre “chaperonate”, dalla mamma o dalla zia.
“L’Italia è piena di ricchezze poco valorizzate”, deve
annotare Carlo Pietrini, l’inventore di Slow Food una cinquantina d’anni fa. Mentre
si congratula per “il modello delle Langhe vincente nel mondo” – le Langhe che
ancora negli anni 1960 erano minacciate di spopolamento. Poi Petrini fa finta
di chiedersi: “Penso a un luogo meraviglioso e ancora compresso come la Sicilia”.
I vini la Sicilia li ha infine valorizzati quando i
vigneti sono passati ai veneti. È scomparsa perfino la mafia.
A Palermo i supermercati più cari d’Italia, trova
un’indagine di “Alrroconsumo” su 1,203 supermercati – chi fa la spesa a Palermo
spende mille euro in più all’anno per gli stessi prodotti di chi fa la spesa a
Vicenza, che è una delle città più ricche. C’è una ragione? No.
Si dice la “filiera lunga”, e cioè che le catene
nazionali si riforniscono lontano dall’isola e poi fanno pesare il trasporto. Niente
di tutto questo, la logistica sa annullare le differenze – si veda amazon. E pi
molte catene di supermercati sono isolani.
Si discute, da tempo e con calore, se usare la mafia
come gadget commerciale. Il panino del mafioso, l’anello, il distintivo, il
fazzoletto da collo, la coppola - una serie di oggetti di nessun valore che le
traghetto da e per Messina vendono con profitto. Se c’è chi ci spende dei
soldi, certo la cosa un brivido lo dà.
Si dimette il rettore dell’università di Messina
Cuzzocrea, dopo che l’amministrazione gli ha contestato le spese. Specie le “trasferte”,
quando partecipava ai concorsi ippici, da appassionato. Ma appare stupito più
che contrariato. Rinviando a un lontano scouting
per conto di una multinazionale del petrolio in Africa e Medio Oriente. Dove la
corruzione era (ed è) “normale”. In un anticipo di politicamente corretto non
si informava allora che ci volevano bustarelle e tangenti, ma che non c’era “il
senso del pubblico distinto dall’interesse privato”.
Della Sicilia questo non si potrebbe dire, Cuzzocrea o
no, non c’è bisogno di scouting politico:
la Sicilia non è Africa. È stata araba, è vero, ma per poco, molti anni fa – anche
se ne conserva, anche questo è vero, memoria grata. E allora? Il passato non
giustifica tutto, ma molto sì.
leuzzi@antiit.eu
Storia
angosciosa e lieve della cinquantenne col ragazzo Ganimede-Apollo, sciocco,
bello e destinale. Il secondo libro, “La fine di Chéri”, è un rientro all’ordine,
nella normalità del tempo, nemmeno i Ganimedi vi si sottraggono – Chéri è “bellezza
che ha tutto, e che perciò è ancora più infelice”. E finisce male, tra megere, in camere losche, da smobilitato trentenne, senza arte, sezza desiderio. Tanto spedito, stimolante, il primo racconto, altrettanto deprimente il secondo, un lungo atto di accusa contro la vecchiaia, intemperante.
Una
duplice accoppiata di Colette in tarda età. Che potrà così abbandonare il
music-hall. Per un successo, di pubblico e di stima (“Chéri” sorprese Gide e
commosse Proust), infine tutto suo - vent’anni dopo le “Claudine”, di cui l’allora
suo marito “Willy” le aveva sottratto la firma.
Un
successo all’epoca anche de scandale: Colette stessa, cinquantenne, dopo
l’uscita di “Chéri” sedusse il figlio diciassettenne, Bertrand de Jouvenel, del
suo secondo marito – ne nascerà, dopo una storia di cinque anni, il nerissimo “La fine di Chéri”.
Ma il brio della scrittura regge, non offuscato dallo scandalo – vero o costruito?
A proposito di Bertrand de Jouvenel, una delle
sue successive amanti, Martha Gellhorn, che sarà poi la terza moglie di Hemingway, unica giornalista femmina embedded nel D-Day, lo sbarco in Normandia, e si suiciderà non soffrendo la vecchiaia, lo trovava “sventato” – “non ha mai
capito quando era in presenza del pericolo”. In America, dove è stata
ostracizzata per puritanesimo (l’America vuole il sesso ma non ammette la
sensualità, i sensi), Colette viene ora letta in plurime edizioni, specie di
questo breve ciclo di “Chéri”, per il radicamento nella fisicità: fiori, piante,
muscoli, pelle, ombre, lucori, odori, sapori, e anche gli ardori, ma
sottotraccia. Qui è anche molto di più: una testimonianza di un certo tipo di femminilità, passiva e acquisitrice. Di Parigi e delle pratiche di vita, prima e dopo la Grande Guerra. Dei cibi. Dei modelli di abbigliamento. Dei tessuti - seta, mohair, alpaca, gabardin, batista. Dei cibi e delle bevande. Senza stancare.
Colette,
Chéri – La fine di Chéri, Adelphi, pp.
281 € 12
spock
La verità è che la verità non piace?
Ci sarà la (una) verità
nell’universo, ma chi lo sa?
“To be is to act”,
John Banville – essere è agire/recitare?
È vero quanto avviene?
O quanto si pensa sia avvenuto?
E chi non fa la storia tacendo, immobile – storia è anche
ritenzione?
spock@antiit.eu
Si può dire il centenario
Kissinger l’ultimo madarino della Cina, della grande politica. Che non ne condivide l’amara previsione di una guerra
con gli Stati Uniti “in cinque-dieci anni stando l’attuale tendenza”. Ma crede
realizzabile il suo auspicio che un nuovo “equilibrio di potenza” sia negoziato
e raggiunto per l’applicazione militare dell’intelligenza artificiale.
La proposta di Kissinger nell’ultima
sua voluminosa pubblicazione, ora ribadita in un saggio, e di un paio di altri accademici americani della
politica a lui vicini, di utilizzare le applicazioni dell’intelligenza
artificiale per la “restaurazione dell’equilibrio”, attraverso un lungimirante
negoziato, in Cina non è caduta nel vuoto. Non se ne parla in sede
internazionale, in attesa che anche in America l’idea si faccia strada, ma se
ne dibatte nei media cinesi.
Essere stati antifascisti, ostracizzati,
carcerati, esuli non è stato una dote nella Repubblica, e anzi li ha salvati,
tuttora li salva, a stento – qualcuno se
ne ricorda il nome. Erano anticomunisti, come erano necessitati a farlo dalla
stessa coscienza della libertà, e non si poteva esserlo, questo li ha esiliati
in patria. Ai margini, quando non al dileggio, all’aggressione verbale. E pure
si trattava di persone di peso, per ogni aspetto, di integritàù civile oltre
che di cultura e intelligenza, soprattutto politica: Salvemini, Chiaromonte, Silone,
Pannunzio, Ernesto R ossi, Lionello Venturi, Garosci, Rosario Romeo. Che pure
vantavano l’ombrello di Croce. Altove si sarebbero detti “maestri del
pensiero”, nelI’Italia repubblicana furono giusto tollerati, ma ai margini, e
spesso insultati. Anche dal Migliore, e senza dubbio il più colto dei suoi, il capo
dei Comunisti Togliatti. E quando Togliatti non ci fu più, gli eredi operarono
come se non ci fossero. Fino a Berlinguer che ne decretò l’estinzione, sotto
l’ombrello delle “due culture”, le uniche esistenti a suo incontrovertibile
giuidizio, anzi pensabili e auspicabili
in Italia: la comunista e la “popolare”, ossia democristiana.
Sembra medio evo ma era ieri.
Con Scalfari, già collaboratore di Pannunzio ed Ernesto Rossi, a guidare la crociata
dopo Berlinguer, col suo gruppo editoriale attorno alla corazzata “la Repubblica”.
Teodori fa un affettuoso epicedio
di questi uomini italiani dimenticati. Ma pià doloroso di tutto è questo, che Teodori
trascura, che le due culture furono imposte dall’ultima progenie, si penserebbe,
di questa nobile lignée di pensiero: da Eugenio Scalfari, da “la Repubblica” e “l’Espresso”.
Quando li diede in comodato al Pci di Berlinguer, “per una copia in più”. Un (piccolo, micragnoso) procedimento
faustiano. Di uno che non credeva al Pci. E che non salvò il Pci – e alla fine
neanche il suo ex impero editoriale, che ne è rimasto prigioniero, e sta sul
mercato ai margini (si vende con difficoltà). Senza beneficio per il pensiero pensante, per l’intelligenza politica,
che ha schiacciato sui Grillo, Conte, Schlein – Meloni figura la più e saputa colta in
questo aeropago.
Massimo
Teodori, Antitotalitari d’Italia,
Rubbettino, pp. 120 € 15
Si riduce il peso del Giappone, in
primo luogo, e poi della Ue nell’economia mondiale negli ultimi anni. È il dato
che più colpisce dell’evoluzione registrata dal rapporto di Bruxelles “The 2022
EU Industrial R&D Investment Scoreboard”. L’evoluzione è specialmente accelerata
a cavaliere del covid, nel quinquennio 2016-2021. L’atro dato di rilievo è la
conferma della crescita cinese, in posizioni tali da insidiare i primati Usa.
Nei settori Elettricità, Media e
Ict la Ue riduce la quota di vendite sul mercato mondiale di quasi cinque punti,
dal 18,9 al 14,3 per cento. Ancora di più ha ridotto al quota degli investimenti
in questi settori, dal dal 23 al 14,1 per cento. Gli Stati Uniti rimangono
stabili, sia come quota vendite sia come quota investimenti: 33-34 per cento e 30-27
per cento rispettivamente, per fatturato e per investimenti. Ma la Cina cresce
notevolmente: dal 9 al 21 per cento nelle vendite, e dal 6,5 al 26 per cento negli
investimenti. Il Giappone ha anch’esso ridotto le sue quote, come la Ue: dal 16,6
al11,8 per le vendite, dal15,5 al 10,5 per gli investimenti.
Si ridimensiona anche il ruolo delle
aziende europee nel mercato mondiale. Le prime 2.500 aziende europee pesavano
per il 26,6 per cento del commercio mondiale nel 2016 e per il 21,6 nel 2021.
Analogamente per gli investimenti: la loro quota è scesa dal 23,7 al 19,8 per
cento. In riduzione anche le quote Usa: più rilevante negli inevestimenti, dal
27 per cento del totale mondiale al 21,4. Mentre si moltiplica la presenza
cinese, dall’11,5 al 24 per cento nelle vendite e dall’11,4 addirittura al 27
negli investimenti. Si riduce anche il ruolo del Giappone, ma meno che per la
Ue: dal 16,6 l 12,8 per le vendite, dal,15,5 al 13, 2 per gli investimenti.
La Ue manteneva le posizioni solo
nell’automotive – dove però la Cina sta
diventando il mercato dominante della “transizione”, sia come produzione, di auto
e batterie, sia come vendite. Nel quinquennio l’automotive Ue ha accresciuto la quota-mercato mondiale, dal 35,9 al
38,2 per cento. E ha ridotto di poco la quota investimenti, dal 26,1 al 24,9. Gli
Stati Uniti vedono ridotta la quota vendite, dal 16,6 al 13 per cento, ma in
crescita gli investimenti, dal 21,1 al
24,6 per cento (quota poi probabilmente accresciuta dalla politica protezionistica di Biden, di fortissime
incentivazioni ai produttori nazionali) . Marginale ancora la presenza della Cina,
7,8-11,4 la forchetta delle vendite, 4,5-9,6 quella degli investimenti. Sempre
elevate invece, quasi “europee”, le quote del Giappone: 29,5 e 26,1 per cento quelle delle vendite, ben
il 34,6 e poi il 33,6 quelle degli investimenti tecnologici.
Analizzata solo sotto l’aspetto
monetario, per dirla velleitaria (l’impossibile sostituzione del dollaro coem moneta
di pagamento), la conferenza dei Brics a Johanesburg ha invece esplicitato un
timore pratico: dell’“unilateralismo” occidentale, americano, simbolicamente contrassegnato
dal G 7. Il catalizzatore di questo sospetto è stato il congelamento delle
riserve valutarie e degli investimenti finanziari russi. Dello stato usso, e
dei priciali investitori russi.
È questo timore che ha spinto le
petromonarchie, Arabia Saudita, Emirati, forse anche Qatar, solidamente legati
all’Occidente, specie nelle posizioni finanziarie, ad affrettare l’adesione ai
Brics. Un’adesione non di facciata. Sotto l’egida di Pechino. Che da tempo
ammonisce contro “l’economia usata come arma”: la tecnologia, il commercio, la
finanza, la moneta.
In attesa della transizione verde,
il mercato internazionale delle fonti di energia viene a essere dominato dai
Brics. Sia come grandi consumatori -
India e Cina. Sia come grandi produttori -
Russia, Arabia Saudita, Emirati, Nigeria.
Il vertice Brics di Johannesburg
a settembre è stato visto e presentato come elitario, sul piano monetario, di
una moneta alternativa al dollaro. In realtà si configura come lo schieramento dominante
nel mercato delle fonti di energia.
Il Brics +, o Brics plus,
allargamento dei Brics, i paesi industriali che non si ritengono parte
dell’Occidente, essendo esclusi dal G 7, ha visto a Johannesburg la richiesta
di adesione dei principali produttori di petrolio e gas. Sotto l’egida della
Cina, del “multilateralismo inclusivo”
teorizzato da Pechino. E, per l’Iran e l’Arabia Saudita, anche della Russia - un
avvicinamento impensabile fino a ieri, tra i leader agguerriti degli opposti schieramenti
secolari islamici, sunniti e sciiti.
Di Iran, Arabia Saudita e Emirati
è prevista l’adesione il prossimo anno. La Nigeria, altro grande produttore di
petrolio e gas, non è candidata ufficialmente, ma è “interessata”.
In prospettiva, non è peraltro
detto che il predominio Brics sul mercato mondiale dell’energia si limiti alla
fase transitoria, fino all’energia verde: alcuni di questi paesi, Arabia Saudita
e Emirati soprattutto, investono molto anche sulle fonti di energia rinnovabili
– e la Cina, maggiore inquinatore, è anche di gran lunga il primo mercato della
mobilità elettrica.
Un
dramma shakespeariano sul noto fatto di cronaca, la vicenda di Patrizia
Reggiani, la sua ascesa in casa Gucci e la sua caduta, assassina del marito.
Con i due fratelli del miracolo Gucci, Rodolfo e Aldo, i loro figli variamente
inetti, Maurizio e Paolo, l’outsider Patrizia, “Elizabeth Taylor”, che le tenta
tutte per salvare l’impero. Fino a che perde anche lei il senno: il marito Maurizio,
che lei ha costruito, se la dimentica per una vecchia conoscenza delle vacanze
in Svizzera da figlio ricco, lei abbandonata e sola si rimette al giudizio
della fattucchiera, e la fattucchiera impone l’assassinio.
Una
grossa produzione, con un regista di capolavori, e una serie di primi attori.
Alcuni da Oscar, anche se poi il film non ne ha avuti. Lady Gaga soprattutto
nei panni della protagonista, sempre convincente, ragazza vamp, popolare tra i
camionisti, carrierista, moglie inventiva, madre, manager, moglie rifiutata, per
nessun motivo, di marito abulico, e vendicatrice-vittima. Jeremy Irons, Rodolfo,
che disereda il figlio perché sposa un’arrivista, e poi lo riaccoglie alla nascita
della nipotina, chiamata col nome dell’adorata moglie morta. Al Pacino, Aldo,
lo specialista del marketing che tutte le tenta per continuare quella che lui s’inventa
essere una dinastia – “noi veniamo dal Quattrocento”. Adam Driver in quelli di Maurizio, l’erede senza
progetto, che si fa fare dalla moglie Patrizia e poi la dimentica. Jared Leto
in quelli del cugino Paolo, tanto ambizioso quanto sciocco. In un intreccio di
debolezze, sotto il lucore del marchio, che fatalmente porta al carcere per
evasione fiscale, alle spese inconsiderate, ai debiti, al fallimento, all’assassinio.
Una
parabola, anche, del lusso, illusione e vuoto.
Un
filmone, di poca presa secondo auditel – è una delle serate meno seguite di Rai
1. Forse perché, volutamente, poco melodrammatico, quasi documentaristico. Un groviglio che Ridley Scott, come suole da qualche tempo, scioglie didascalico. Ma
va filato per due ore e mezza.
Ridley
Scott, The House of Gucci, Rai 1,
Raiplay
letterautore
Africa
–
È “Cencionia” in Gadda, 1937 (“Meditazione breve circa il dire e il fare”, poi
in “I viaggi, la morte”): “Ti fai un romanzo o favolone che sia, nel quale ti
fabbrichi un eroe diritto che piace molto alle femmine e le contenta molto: e
una poi la deruba, e, àrsole il pagliericcio, se ne va in Cencionia a cacciar
coccodrilli…”.
Altezza – In licenza a
Barcellona dopo un inverno in trincea a Huesca, nella guerra di Spagna, Orwell evita
un ritorno al fronte che gli sarebbe stato fatale (per come andarono poi le
cose) per un particolare: doveva aspettare che gli venissero confezionate le
scarpe nuove. E commenta (“Omaggio alla Catalogna”): “Tipico dettaglio che
decide sempre il destino” – “l’intero esercito spagnolo non era riuscito a
produrre un paio di stivali abbastanza grandi da adattarsi alla mia taglia”. Orwell
era di 1,83. La statura conta.
Ci
sono eccessi fra gli scrittori anche sula taglia, modesta o eccessiva. Charlote
Brontë era piccolina, 1,45. Così pure lo è Donna Tartt, 1,50 - che però vatna
“la stessa altezza di Lolita”. Di Emily Dickinson non si conosce, tra le tante
cose, neanche l’altezza (“Non conosciamo mai la nostra altezza” è una della sue
poesie più amate), ma sembra longilinea. Era basso pure Faulkner, 1,67 – che è
un’altezza media, ma gli valse l’esonero dal servizio militare.”. Sopra 1,80,
l’altezza di Kafka, che quindi era un longilineo, vengono Hemingway, 1,83, Hammett,
1,85, Conan Doyle, 1,88, Oscar Wilde, 1,91. Il più alto di tutti sarebbe Michael
Crichton, 2,10.
“Faussone” – L’elogio classico dell’operaio, o del
“lavoro italiano nel mondo”, il Faussone di Primo Levi, è il tema della seconda
parte del saggio di Gadda “Tecnica e poesia”, in “Nuova Antologia”, 1940, ora
in “I viaggi, la morte”, una decina di pagine: “Ho vissuto far gli uomini delle
macchine….”, in Belgio. Il suo “Faussone” non era piemontese ma toscano, di
Sesto Fiorentino, formato alla Pignone.
Gadda ha coltivato il disegno si un
romanzo del lavoro. Nello stesso saggio scrive: “I miei quaderni di studio per
un «romanzo sul lavoro italiano», 1922-24, sono pieni di improvvisi, note di
getto, di strappo, tutte trafugate dall’opera, dal cantiere,…. Venute al mio
quaderno senza speranza, tra il sudore degli anni e degli uomini poveri,
polverosi”.
Italiane
in America –
Sull’onda del successo di “Elena Ferrante”, le edizioni della “New York Review of
Books” hanno tradotto o ripubblicato numerose scrittrici italiane. Da ultimo
Amelia Rosselli. In aggiunta a Antonella Anedda. Con molta Elsa Morante, molta
Natalia Ginburg. Nel mezzo Fenoglio (“Un affare privato”), Morselli “Il
Comunista”, “Dissipatio H.G.”) (“ ) e Piumini.
In precedenza, le edizioni Nyrb, mainstream o letterarie, avevano in
catalogo Svevo, Gadda, molto Sciascia, Pasolini, tutto Tomasi di Lampedusa,
Malaparte, molto Pavese, Moravia (solo “Agostino”), Buzzati – Calvino è in
edizione Mariner, la casa specializzata in letteratura di Harper Collins.
Leopardi e Lichtenberg – Un parallelo quasi
obbligato, tanto avevano in comune, oltre la cifosi (e l’altezza: 1,41 per Leopardi,
poco di più per Lichtenberg). L’erudizione sterminata. Il pessimismo radicale.
Il diario quotidiano, non personale. La curiosità e l’attrazione per le natura.
Leopardi è grande poeta, Lichtenberg meno. Lichtenberg era grande scienziato –
fisico e naturalista - e notevole materialista (spinozista, “l’eretico dello
spirito tedesco” secondo il suo cultore Anacleto Verrecchia), Leopardi meno. E
tuttavia, ragionando per paralleli, per quello che sono utili, è forzato quello
tra Leopardi e Nietzsche, sarebbe naturale tra Leopardi e Lichtenberg.
Leopardi
era poeta d’animo, e per questo radicalmente differente. Ma tenne lo zibaldone
di pensieri vari come Lichtenberg ne aveva tenuto uno, altrettanto celebrato, di
decine di migliaia di pagine. Come lui risentiva la gobba come una menomazione.
E amava i dolci. Leopardi ha Silvia, “fiore purissimo, intatto, freschissimo”,
tra “i sedici e i diciotto anni”, Lichtenberg la dodicenne Maria Dorothea
Stechard, “Stechardin”, morta a diciassette.
Lichtenberg
non era di famiglia nobile, e non fu accudito dal babbo – era il diciassettesimo
e ultimo figlio di un pastore luterano. E visse fino a quasi sessant’anni. Ma
fu accudito da amici. E visse anche lui in tre posti: il paese natale, fuori Darmstadt,
Gotting e Gotha.
Era
noto Lichtenberg in Italia? Conosceva e praticava l’italiano, e dell’Italia molto
sapeva - Alessandro Volta ne aveva il culto. Ma la “fortuna di Lichtenberg” fuori
della Germania è una ricerca ancora da fare. Una lettura comparata dello
“Zibaldone” e dello “Scandaglio dell’anima” riscontrerebbe sicuramente molti echi.
Libertà –“A parole tutto
è concesso, nei fatti crescono censure e divieti dettati dalla cultura woke in
nome dell’inclusività - Slavoj Žižek, “La Lettura”, 15 ottobre: “In nome del
permissivismo si attivano tutte le limitazioni: politicamente corretto, woke,
cancel culture e così via…. A parole
siamo per l’inclusione, per la diversità, ma il risultato è una nuova forma di
terrore. Oggi, in nome dell’inclusione, escludiamo le persone più che mai, il
paradosso è che la cancel culture difende sempre la diversità, l’inclusione”.
Madre
–
È crudelmente (affettivamente) mancata a Leopardi e Rimbaud. E a Saba, che ha
profuso gli affetti sulla balia, la Peppa – anche quando la madre ha provato ad
allontanarlo dalla balia. Ha deluso Baudelaire, la sua prima donna. In parte
anche Proust, lo scrittore del “bacio materno”, delle “angosce dell’attesa di
questo bacio” – “la sua madre era la nonna materna” (Gadda su “Psicanalisi e
letteratura”, “La Rassegna d’Italia”, 1949, ora in “I viaggi, la morte”.
Pasticciaccio – “La
risciacquatura dei miei cenci è stata una fatica da non dire”, Gadda nelle note
sulla pubblicazione del romanzo, decisa all’improvviso da Garzanti nel 1953.
Soprattutto nel lavoro sul romanesco, con Mario Dell’Arco: “Nella primavera del
’55, indi nell’autunno del ’56 e nella primavera del ’57 «presi» (e ripresi)
«contatto» con Mario Dell’Arco, che conoscevo poeta e filologo: Antonio
Baldini, giudice benignamente severo del mio pessimo romanesco («Letteratura»,
26-31) me lo aveva nominato come pensabile e qualificato raddrizzatore del
romanesco medesimo. Dell’Arco mi assisté prontamente, generosamente: con una
lucidità, una pazienza di cui sento tutto il raro valore. Rivedemmo due volte
l’intero testo del volume. Frasi e battute romanesche: altre contaminate, fra
italiano e romanesco”.
Non
è tutto: “Per il napoletano mi soccorse Onofrio Galdieri, figlio del nobile poeta
Rocco Galdieri”. Per il molisano “qualche imbeccata ebbi anche da Alberto Maria
Cirese, il giovane e valoroso dialettologo molisano, figlio di Eugenio, il poeta”.
Psicanalisi - “La psicanalisi, in verità, può concorrere
allo smontaggio di un’idea-sintesi che noi ci formiamo di noi stessi, come
un’officina di riparazioni può smontare un’automobile. Anche un pupazzo può
essere smontato dalla psicanalisi. Questo non significa che la società umana
corra pericolo perché il pupazzo è stato psicanalizzato: la società è infelice perché
il pupazzo è pieno di segatura” - Carlo Emilio Gadda, “Psicanalisi e
letteratura”, in “La Rassegna d’Italia”, 1949, ora in “I Viaggi, la morte”,
Rodolfo Quadrelli – “la Repubblica” ripropone nell’inserto
“Robinson” il poeta e saggista milanese degli anni 1960, per la penna
autorevole di Filippo La Porta, “caustico e urticante, critco del Boom, alter
ego di Pasolini”. Negli anni Sessanta (tardi anni Sessanta-primi Settanta) Quadrelli
era bandito dalle librerie Feltrinelli, insieme con Quinzio, Zolla, e vari
altri autori. Non nominativamente, sulla base dei relativi editori – come è
narrato da Astolfo, “La gioia del giorno”, il romanzo di quegli anni: Le librerie Feltrinelli in via preventiva espurgano i libri degli
editori Adelphi, Rusconi, De Agostini, Rizzoli eccetto la Bur, titoli infidi. Sempre la
purificazione comincia dai libri. Dopo Cavour Feltrinelli pubblica Salvemini, è
al dodicesimo volume, Settore privato
di Léautaud, e come farlo, a letto e al mare. Non pubblica Cohn-Bendit: “Non
voglio libri di anarchici”, ha detto. Le impiegate in
casa editrice hanno ancora il grembiule, azzurro”.
Mr
Ripley –
Il personaggio di Patricia Highsmith è anche un’avviata azienda di entertainment, “Ripley’s Believe it or
Not”, creata da Robet Ripley nel 1919 – una rubrica giornalistica agli inizi, su
fatti strani o inconsueti, poi adattata per la radio, la televisione, molti fumetti,
una serie di musei, tra essi un parco a Orlando, in Florida, con oltre ottanta
attrazioni, vistato annualmente da oltre 12 milioni di persone. Priama dei
Peanuts, Schulz pubblicò con Ripley’s – protagonista della striscia Spike, “un
cane da caccia che mangia aghi, viti, chiodi, e lamette da barba”. Subito dopo
il lancio della prima serie, Ripley si prese un collaboratore, Norbert Pearlroth,
per le ricerche d’archivio: Pearlroth lavorò 52 anni nella New York Public
Library, dieci ore al giorno, sei giorni la settimana, per cercare fatti
curiosi.
Scrittore
–
È “un predicato verbale”, Gadda: “Ogni scrittore è un predicato verbale
(coordina) che manovra un complemento oggetto (il dato linguistico)”, “Le
belle lettere e i contributi espressivi delle tecniche”, in “Solaria”, maggio
1929, ora in “I viaggi, la morte” – “E questo complemento oggetto relutta, come
un serpentesco dragone…”.
Sinistra in Germania – Nel racconto
lungo “Nostalgia “ (nella raccolta “Il mare”), sull’impossibilità di amare, per
larga parte Alvaro rappresenta un salotto a Berlino, circa un secolo fa, qualche
anno dopo la Grande Guerra, frequentato da intellettuali, persone di molte esperienze,
con una conversazione dapprima dedicata all’Italia, alle differenze “nazionali”,
essendo il nuovo del salotto il giovane corrispondente italiano da Berlino (Alvaro
lo era), poi impegnata in una varia professione di sinistra politica, che evoca
molti comportamenti odierni, tra la Spd e la Linke, i socialdemocratici e
l’estrema sinistra socialista, e tra le formazioni socialiste e i Verdi – ma con
analogie anche fuori della Germania, dovunque una sinistra politica sia intellettualmente
forte. Su ogni argomento: “Non amavano tutti le stesse cose, ma erano d’accordo
invece nell’odiarne delle altre. L’odio, appunto, li unì; ognuno aveva su ogni
argomento la sua opinione personale che differiva un poco da quella dell’altro;
e ognuno teneva a distinguersi. Così, essendo tutti pacifisti, avevano differenti
opinioni sulla pace”. Tutti professandosi europeisti: “«Noi siamo Europei, Europei»,
diceva trionfalmente la donna socialdemocratica,
e pretendeva che tutti brindassimo”.
letterautore@antiit.eu
letterautore@antiit.eu
(questo sito
leggeva “Perdersi” in originale due anni fa, uno prima del Nobel, lamentando che fosse “probabilmente l’unico suo racconto non tradotto”, di
Annie Ernaux. Questa la recensione)
Una riscrittura. Di un diario. Di
un incanto, una possessione, una stregoneria. L’incapricciamento lungo tutto un anno per
un uomo più giovane, semisconosciuto. O l’amore carnale, di desiderio pieno.
Con un corpo, più che con una persona. Una malia, una magia. La libera sessualità infine guadagnata dalle donne, da una donna - non la promiscuità: il
piacere.
Una storia vera, o forse no, è un
esercizio di scrittura, “stai a vedere come ti sdogano il porno” - a fine millennio è stato in Francia una politica editoriale, assecondata da altri scrittori di gran nome, Houellebeq, Carrère. Ma il lettore
ne è a sua volta incantato - la verità della cosa, sia pure un
commerciale succès de scandale, passa in secondo piano. Annie
Ernaux prova a raccontare l’erotismo come lo si vive, riempiendo le attese e
gli incontri dei gesti e gli atti del sesso, e ci riesce: il sesso scritto qui
funziona, in questo che è probabilmente l’unico suo racconto non tradotto.
Nel 1989, mentre l’Urss crollava, ma il
lettore può non saperlo, non se ne dice niente, sapiente anti-climax, il
racconto lungo, dettagliato, del desiderio-bisogno di un rapporto sessuale che
la narratrice-autrice, trattandosi di un diario, avrebbe vissuto con
un russo non identificato, di cui sappiamo solo l’iniziale, S., alto, glabro, e
quindi magico a toccare, la pelle e le voglie di un ragazzo, l’interprete-spia,
come allora usava, incontrato in un viaggio in Urss a fine 1988, che poco dopo
emerge a Parigi, all’ambasciata, a non precisate attività culturali. Lei
cinquantenne, lui di una dozzina d’anni più giovane. Hanno fatto l’amore con
trasporto, con violenza, senza una parola, l’ultima notte che la narratrice ha
passato a Leningrado, ne riprendono la pratica a Parigi. A scadenze non fisse,
il giorno e l’ora all’umore di lui, ma ogni volta con trasporto pieno, di lui e
di lei, senza soste, pure in piedi per la fretta, sul pavimento, sul divano,
nello studio, di lei o di uno dei suoi due figli. E non si ride, si partecipa.
Ogni minuto lei vive, anche nella vita
ordinaria, sulla metro, a passeggio, al supermercato, nel pensiero di lui,
un’ossessione, dolce. Anche quando, cioè sempre, lui si fa desiderare – non c’è
modo per lei di attivare il rapporto, le cose succedono quando decide lui. Un
rapporto allora di dipendenza? No, nemmeno questo: è l’assoluto del desiderio,
ingovernabile. Forse troppo ben scritto per essere un racconto diaristico come
pretende, dal vivo. Ma il lettore non lo sa.
Questo “Se perdre”, perdersi,
titolaccio alla Yvonne Samson, è il rifacimento, dieci anni dopo, nel 2000, di
“Passione semplice”, la storia breve della stessa avventura scritta nel 1990, a
ridosso dei fatti (ma il film di Daniele Arbid sulla vicenda, “L’amante russo”,
“Passion simple” nell’originale francese, è sceneggiato su “Se perdre”, nei
limiti del visibile). Molto più lungo della prima versione, cinque-sei volte,
con molti dettagli e con molte riflessioni. E più nella cifra di Ernaux, della
storia vera, raccontata sui diari.
L’artificio è qui manifesto: non c’è
diario così esteso, per quanto la passione possa volersi ingombrante,
eccessiva. Ma l’effetto è sorprendente: è il solo racconto erotico, di potenza
a sua volta eccitante, che si possa probabilmente leggere in letteratura. Ed è
scritto da una donna – le “Sfumature” di mano femminile di qualche decennio
dopo, pur collocandosi per programma nel pornosoft, sono acqua
fresca.
Con S. (A. nella prima redazione) ha superato ogni limite, la narratrice
confessa nella prima redazione della vicenda, “Passione semplice”: “Grazie a
lui mi sono avvicinata al limite che mi separa dall’altro, al punto
d’immaginare talvolta di oltrepassarlo. Ho misurato il tempo altrimenti, con
tutto il mio corpo. Ho scoperto che si può essere capaci come dire di tutto”.
Chi è S., “addetto culturale” senza
cultura? Ma lui, che non parla mai, mezza frase la dice: “Lavoro nella
sicurezza. Cose importanti, di uomini importanti. È complicato”. Comunque non
interessa: è un corpo, agile, alto, muscoloso e a pelle, col quale lei fa
l’amore senza riguardi, anche se non è bello, usa slip russi ridicoli, che si
sfilacciano, e non si toglie i calzini, notazione rituale (ma in “Passione
semplice” al rito della rivestizione dice che se li era tolti – “Lo guardavo
abbottonare la camicia, infilare i calzini…”). E non ha nome. Un destino più
che un uomo. O il sogno di un desiderio: la narrazione degli incontri, delle
attese, del contatto fisico immediato, degli amplessi concitati è inframezzata,
sottolineata, prolungata dai sogni – la narratrice na fa due e tre per notte.
“Questa derealizzzione conferita dall’iniziale”, S., avverte l’autrice nella
nota che precede la pubblicazione del “diario”, “mi sembra corrispondere a ciò
che quell’uomo è stato per me: una figura dell’assoluto, di ciò che suscita
il terrore senza nome”.
Ernaux ha insegnato per molti anni le
letterature, e si sente. Ma la lettura è possessiva anch’essa, ipnotizzante.
Annie
Ernaux, Perdersi, L’Orma, pp. 252 €
21
“Siamo alla vigilia di decisioni per
sostenere la ripresa europea”, la ripresa economica, “incluso il lavoro in
corso per la riforma del patto di stabilità. Spero che l’accordo finale,
incentivando livelli di debito sostenibili, permetta anche di perseguire
investimenti favorevoli alla crescita” - Janet Yellen, ministro del Tesoro
americano, ospite ieri del’Eurogruppo, il consiglio europeo informale dei paesi
dell’euro sulle questioni monetarie.
Un
monito non da poco, anche perché Yellen viene dalla presidenza della banca centrale
americana, il sistema della Federal Reserve, quindi sa di che parla. Confinato
in Italia nelle brevi, mentre è, tragicamente, una grande verità buttata nella
palude che da qualche anno è la politica europea. Ridotta alle tattiche mercantilistiche
(nazionalistiche) di Francia e Germania, dei Sarkozy, gli Hollande, lo stesso
Macron, e della cancelliera Merkel, che ha ridotto la Germania da grande
potenza in petto a paese di secondo e terz’ordine (nell’economia, nella guerra, nella globalizzazione,
nella stessa Europa).
Yellen
riporta alla memoria il ministro del Tesoro di Obama nei primi anni 2010, Geithner.
Quello che per primo salvò l’euro, prima di Draghi, opponendosi allo
strangolamento dell’Italia
divisato da Sarkozy con Merkel – con Merkel che, notoriamente, disprezzava
Sarkozy.
Gli
Stati Uniti conducono da decenni, dal crollo della Unione Sovietica, una politica di “contenimento” della temuta “Fortezza Europa”, ma non al punto da volerla esangue.
Il prezzo internazionale del gas
non aumenta da un anno, e anzi tende al ribasso. Ma l’Enel comunica un rincaro della fornitura di gas dall’1 gennaio 2024, nell’ “ambito territoriale A 5 –
Zona centro-sud (occidentale)”, del 28 per cento per chi ha solo la cucina a gas,
del 25 per cento per chi ha con la cucina una caldaia da riscaldamento/scaldacqua. Non c’è di meglio con altri operatori.
Il prezzo della “materia prima
gas” previsto da Enel è di 61 centesimi al metro cubo (tasse escluse), cioè quello
che già si paga. L’aumento è del “corrispettivo di commercializzazione e
vendita”, cioè di quanto il venditore di gas può guadagnare, e da una “quota
vendita al dettaglio”, che rincara la bolletta in proporzione all’aumento dei
consumi.
Perché la bolletta è progressiva?
La progressività delle tasse si giustifica col criterio costituzionale dell’uguaglianza.
Quella sui consumi è un regalo alla vendita?
Entrambi gli aumenti, del
“corrispettivo” e della “quota vendita”, sono definiti dall’Arera, Autorità di
Regolazione per Energia, Reti ed Ambiente. Un’Autorità pubblica che lavora per i
i privati, le industrie? L’inflazione imposta dal governo?
“Internet oggi sembra vuoto,
come un salone con l’eco, anche se è più affollato che mai…”. Su tutte le piattaforme.
Specie quelle giovanili: “Le piataforme a trazione soprattutto giovnile –
YouTube, TikTok e Twitch - funzionano come stazioni radio, con un creativo che
posta un video per milioni di followers;
quello che i followers hanno da dirsi
l’un l’altro non incide più, come usava sui vecchi Facebook o Twitter”. I social erano un posto di conversazione e
reciprovità, ora non più.
Le cause? “Poche reti social si sono prese l’open space internet, centralizzando e
omogeneizzando le nostre esperienze attraverso i loro opachi sistemi di analisi
dei contenuti”. Ma l’algoritmo funziona per accumulo e non per
diversificazione: “Rende popolari account e temi che già lo erano, imbricando o
chiudendo i meno favorite o meno aggressive”.
Un’altra causa può essere che “divertirsi
online era qualcosa che usava fare nelle ore vuote al lavoro, confinati davanti
al computer tutto il giorno”. Ora questo legame non è più stretto, col lavoro
da casa, gli orari su misura e altri mutamenti del lavoro.
Da tempo la rete è sotto esame,
come veicolo di false notizie (di propaganda), e piattaforma della parola ridotta a violenza. Habermas ha fatto in tempo a vedere l’opinione
pubblica o “sfera pubblica”, di cui aveva celebrato qualità e potere, derapare
verso l’inconsulto e il provocatorio, quando non lo sberleffo – verso la violenza
invece che verso il ragionamento (dibattito). La rete come una minaccia alla
democrazia - tema arduo, anzi contestabile. Qui invece se ne registra la
stanchezza, la debolezza.
Kyle Chaika, Why Internet isn’t fun anymore, “The
New Yorker”, free online
zeulig
Amore – La questione è sempre
l’amore non richiesto - in Shakespeare unrequited, anche irrequieto. Nel
1699 il teatro si inaugurò a Weimar con un’opera dal titolo “Il virtuoso Amore
contro l’insensato Desiderio”. E insomma, che cos’è amore? Certamente non è
disprezzo, o insofferenza. Nemmeno indifferenza.
Arte e felicità - “Ogni arte si fonda su un
certo grado di felicità”, statuisce Stendhal. Principio oscuro malgrado l’apparente
chiarezza. Da cui però trae la più grande
verità: “Allo stesso modo come da un
antro oscuro esce un gran fiume”.
Diritti – “Negli anni ’70-’80 la sessualità era molto più libera di adesso”, Arturo
Brachetti. L’ “età dei diritti” comprime le libertà - è una polizia.
Eterno ritorno –
Ha un senso, più che nelle visioni di Nietzsche, nel senso della storia di
Vico. Di un ritorno cioè non eterno e nel senso del medesimo, ma della durata,
della memoria, del ricordo, del passato.
Guerra
–
Nessuna guerra è mai stata senza fine. Ma dopo distruzioni, anche radicali.
È un intervallo di distruzioni.
Libertà
-
È divina – discende dal logos, da un lume. Dostoevskij diceva che se non c’è
Dio allora tutto è permesso, ma ha più ragione Lacan che dice il contrario, se non
c’è Dio allora tutto è proibito – la libertà è una caccia continua, di frodo,
da bracconieri, non un diritto della personalità.
Mito
–
Ce ne sono di vario tipo, naturalmente. Talvolta sono semplici narrazioni,
fantasiose, appaganti. D’intrattenimento o anche utili a capire verità
controverse o sfuggenti, o ingrate. Talaltra sono falsificazioni. E velano o
celano la verità. Quando non sono travisamenti, servono a distorcere i fatti
vissuti attraverso di essi. Uno, diffuso, è dell’amore materno.
I miti girano più o meno tutti attorno
alla forza, la dipendenza, l’odio, l’amore, il desiderio di prendersi cura di
qualcuno, o di ferire e d’infierire, esprimono o condensano sentimenti,
collegandoli al sesso e all’amore in tutte le sue forme, verginale, coniugale,
parentale, e alla nascita, alla vita, alla morte che ogni soggetto sperimenta.
Ma anche alla capacità avvincente, per quanto affabulatoria, del mito stesso,
questa è semplice verità di logica che troppo spesso si trascura. Si creano
così carestie e epidemie artificiali, si sono create in questa epoca di
psichismo dilagante, che tanti morbi propaga nel mentre che pretende di curare
e guarire.
Nietzsche – A rileggerlo è un visionario più che un pensatore – si apprezza solo in quanto
visionario, per lampi, non per ragionamenti. Un poeta.
Ma non al modo di Eraclito, cui in quanto “poeta” (e frammentario,
quasi epigrammatico) viene apparentato. Eraclito è logico, anche profondo.
Storia – “Storia, «bella trovata!», è il linguaggio” – “ogni elaborazione è
storia, come tutti m’insegnano, e storia, «bella trovata!», è il linguaggio.
Che è thesaurum d’una civiltà, d’una
coltura,d’una tradizione espressiva legata a innumeri fatti”.
È anche il futuro, lo modella, in piccola o grande parte –
grande, a meno di imprevisti.
L’immaginazione non differisce dalla memoria, come nota
Vico, e quindi, a meno di eventi imprevisti, in larga arte è predeterminata.
Il futuro ha la forma del passato perché è elaborato sulla
base dei ricordi.
Uguaglianza – Dovrebbe poter essere anche, cioè no, in primo luogo, morale. Ma come si
fa? E chi è il giudice, quale il codice o scala di valori, a quale fine?
Anche l’uguaglianza materiale è complicata. Fino a una
soglia minima dei mezzi? Fino al gradimento-soddifazione di sé? Su un’ordinata di
valori?
Verità – Si lega spesso alla storia. Quindi è anch’essa vagabonda?
È sempre transeunte. Specie nell’esegesi, dove più che
transeunte, legata al contesto storico, è volatile – è la miniera dell’ermeneutica.
“Mentire la verità” era divisa di Aragon, lo scrittore francese guardiano dell’ortodossia
sovietica. Nonché esercizio di Bulgarin coscienzioso, personaggio
semicomico di Tynianov, il romanziere russo dei poeti.
Non ha buona fama, Verità è il ministero di “1984”,
la bibbia dell’assolutismo.
Il papa Paolo VI
si era votato alla “servitù
della verità”, avendo, come voleva, “spinto il dubbio alle estreme conseguenze”.
Posizione
da ricercatore o da adolescente eterno? È dubbio che il dubbio conduca alla verità e alla fede. Il papa sarà stato l’Anticristo, l’arconte di Giovanni, ma un
demonio in agguato sarebbe perplesso, per quanto beffardo.
La verità è che la verità non piace, spesso.
Heid egger vi si sottrae - si direbbe da rabbino sofistico.
O Alla Ponzio Pilato, la macchietta del
romanesco, curioso e stanco, che in Giovanni, XVIII, 38 sospira: “Tì estìn
alètheia?”, che cos’è la verità.
Euclide
da Megara, a lungo co fuso con l’Euclide “euclideo”, il matematico rigoroso
(ancora Petrarca, classicista volenteroso, lo confonde), per via del Bene che identificava
con l’Essere o Uno, fondò una scuola
delle doppie contrastanti verità, il paradosso del bugiardo cretese, contro il
principio aristotelico del terzo escluso.
La nudità è vera – e bella
(anche se si può esibirla alla Biennale, per un generale digrignare di denti).
La verità vuol essere spoglia?
Viaggiare
– Irrequieta è la natura, che pure sembra
così stabile, perfino domestica,
casalinga. “Tanto li punge al cuore la natura\che la gente arde
di porsi in viaggio”, cantava Chaucer. Dall’incessantemente piccolo all’infinitamente grande, il mondo si
muove senza sosta. Viaggiano le stelle e la luce. L’8 maggio 1967 è arrivata
una nuova galassia, milioni di stelle. Una notte di febbraio del 1967 è stata
vista dalla terra l’esplosione di una stella avvenuta 174 milioni di anni
prima. Le
stelle, ha ragione Kant, ci liberano. Come i fiori, che fioriscono e muoiono.
Un viaggio vero è nell’incerto, l’ignoto. Ma
chi scappa di più? E dove? Si vendono i viaggi astrali per nessuna destinazione
in realtà, giusto una gita fuori porta – un weekend familiare, con le zie,
quando c’erano, e i nonni.
zeulig@antiit.eu
“Se consideriamo la gran parte
dei prezzi delle materie prime, da ottobre sono crollati”, cioè da un anno: “Un
calo dal 20 al 50 per cento. Ma non lo abbiamo visto nei prezzi comunicati dai
produttori” - chi parla è il Ceo di
Carrefour, il colosso francese della grande distribuzione: “I produttori hanno
scelto di proteggere i loro margini e perfino di aumentarli”. Non c’è nessuna
politica reale anti-inflazione, né in Italia né in E uropa: la speculazione è
libera.
L’inflazione è ufficialmente sottovalutata.
In Italia sarebbe stata del 5,3 per cento a settembre. Ma forse come dato
cumulativo, a settembre su agosto, non su settembre 2022: chiunque fa la spesa
sa che i prezzi del fruttivendolo sono raddoppiati. E che la spesa al
supermercato è aumentata del 50 per cento.
Come al mercato, vanno al raddoppio
anche le tariffe. Il caro-tariffe (acqua, rifiuti, elettricità, gas) è statuito dalle Autorità di controllo, che pure
sono agenzie pubbliche, create a difesa dei consumatori. Previa diffusione di
allarmi su questo o quel produttore di gas o di petrolio, che potrebbero
configurare un reato di procurato allarme – c’è a difesa del pubblico
ufficiale, perché non ci sarebbe per il consumatore.
Un ragazzo sconta la pena di un anno ai servizi sociali in una casa di riposo. Di
anziani soli, senza famiglia. È impreparato e molti equivoci ne nascono. Ma alla
fine “libererà” gli anziani dal direttore-profitattore. E una nuova vita avvierà
per loro, da bambino cresciuto in orfanotrofio: in una casa di riposo che è
anche orfanotrofio, dove piccoli e grandi compartiranno un po’ d’affetto.
Un racconto semplice, per una
vena narrativa tutta francese, della commedia brillante. Portata alla perfezione
in America negli anni Trenta e Quaranta,
ma da qualche tempo, dopo l’impero della Nouvelle
Vague intellettualista, alla base del “cinema francese”.
Non storie lamentose più o meno, ma storia d’invenzione, di necessità brillanti.
Veloci, e anche di budget piccoli e minimi – qui basta una coorte di caratteristi,
attorno a Depardieu, il più solitario di tutti.
Thomas Gilou, Il peggior lavoro della mia vita, Sky
Cinema
Il
problema è ora, prima che Israele cominci i bombardamenti a tappeto: evacuare
1,1 milioni di persone da Gaza Nord. Per dove? Fuori di Gaza c’è Israele. Senza
contare che si tratta in sostanza di un milione di homeless, gente che ha perduta terra e casa, ora israeliane. C’è da
dubitare della Bibbia.
Galli
della Loggia inveisce sul “Corriere della sera” contro il “postillatore” –
quello che dice: “Siamo inorriditi di fronte alla barbarie di Hamas, però
dobbiamo ricostruire storicamente il motivo per cui è nato Hamas”. Poi Cazzullo sullo stesso giornale fa la storia di Ashkelon, un borgo chiamato Majdal, popolato da arabi, che Ben Gurion
“fece deportare a Gaza” – “Ascalona fu ripopolata con ebrei in arrivo
soprattutto dallo Yemen, dal Nord Africa e anche dal Sud Africa. Ora ha più di
centomila abitanti”. La fa nella posta. E, certo, è un grosso exploit
demografico, anche immobiliaristico.
Si
aiuta di più Israele, nell’ora del bisogno, inneggiando, oppure “postillando”,
potrebbe essere uno dei “problemi di base” di questo sito. Netanyahu non è un
dittatorello, o un golpista dell’ultima ora, è uomo politico rispettabile, su
piazza da venticinque anni, quasi tutti in ruoli decisivi. Che ci faceva l’esercito
a Nablus, all’estremo Nord della Cisgiordania occupata, invece che al confine
con Gaza? Per costruire una nuova Ascalona – ma, certo, Netanyahu non è Ben
Gurion.
La
privatizzazione dell’Alfa Romeo? Prodi, chiamato in causa per averla “svenduta”
alla Fiat, quando era presidente dell’Iri, ricorda: “La Fiat non ha rispettato
gli accordi sottoscritti”. E cosa è successo? Niente. Funzionano le privatizzazioni
dove è rimasto un management nominato dallo Stato, dalla famigerata politica: Enel,
Eni, Poste, Leonardo, Fincantieri, eccetera. Uno sfacelo il privato privato,
Telecom, l’acciaio, eccetera.
Nelle
privatizzazioni hanno funzionato solo le banche – che erano quelle che
funzionavano peggio, in mano pubblica. E in modo perfino miracoloso: Intesa,
Unicredit e Popolari - mentre il Monte
dei Paschi, cocciutamente in mano politica, è variamente fallito.
Fa
senso Europa +, cioè Emma Bonino, intignata a spostare le sentenze balorde di Catania
dalla giudice Apostolico a chi l’ha fotografata alla manifestazione contro la
polizia. Che ne avrebbe detto Pannella, del potere della giustizia, della giustizia
politica?
Non
bisogna avere fatto grandi studi o ricerche per capire che la giustizia
politica è la negazione della giustizia.
“Il
processo alle «spie» è appena cominciato”, il processo ai servizi segreti
israeliani, “ma tra gli errori principali viene indicata la scelta di delegare
la sicurezza alla tecnologia, spostando molti reparti in Cisgiordania a difesa
dei coloni” – grandi paginate del “Corriere della sera” col suo specialista di intelligence
Olimpio. A difesa da che, da chi? Non è detto. A difesa dai palestinesi. Che
protestavano contro la costruzione di centinaia di case a Nablus, il punto
della Cisgiordania più lontano da Israele, e l’esproprio-evizione di 1.100
palestinesi nei primi otto mesi del 2023, secondo i dati Onu, da case e terreni. Curiosa
informazione, che non protegge Israele.
“Nel campo di Jabalia che conta 100 mila profughi
i rubinetti funzionano solo due ore al giorno”, “la Repubblica”. Profughi da che cosa? Boh.
Profughi da quanto? Boh. Un campo da 100 mila profughi è la città di Bolzano, o
Novara, o Ancona. Certo, senza le strade, né gli spazi verdi, un po’ di spazio
comunque.
La
piccola Ducati mette nell’angolo il gigante Honda. Trionfo italiano, eccetera. Solo
che Ducati non è più Ducati, solo nel nome, è Volkswagen. Fu venduta dai fondatori.
Un’industria senza futuro?
A
volte il problema non sono i capitali, è la “cultura” generale – l’impresa vuole
applicazione, metodo, costanza.
Singolare
a Santa Marinella. Dove i Carabinieri locali affossano un’indagine a carico di
un noto ristoratore diffondendo immagini del sindaco che lo ha denunciato per corruzione
in intimità con una signora. Singolare che i giudici che indagano sul malaffare,
ormai accertato, non indaghino questi Carabinieri. Singolare che le cronache
romane, ma anche nazionali, facciano pagine sul sindaco e il suo divano e non
sui Carabinieri del malaffare. È tutto (cattivo) giornalismo?
Si
distingue nel tentativo di spostare l’attenzione dai video della giudice Apostolico
contro Salvini al “dossieraggio”, a chi lo ha diffuso, il quotidiano “Domani”,
la pupilla degli occhi di Carlo De Benedetti, già editore del gruppo “la
Repubblica”, che ha portato dai fasti di primo giornale d’Italia al record di
prepensionamenti, a carico dell’Inpgi, l’istituto di previdenza dei
giornalisti, che così è fallito. Sarà De Benedetti l’untore del giornalismo
quando se ne farà la storia degli ultimi trent’anni?
Il
miglior racconto di Gadda è “il Gadda” medesimo, umori e malumori, e in questa
raccolta, azionata da lui stesso nel 1977, non si risparmia. “L’appellativo di
profeta, cioè vate”. “la retorica dei buoni sentimenti”, “barocco è il Gadda”,
“nel mio rococò”, “un tono teso di qualità narcisistica l’ho in uggia”, ma
bisogna capirlo, “caduto preda, ahi!, delle donne–educatrici” nella fanciullezza
– “la vanità non è femmina, è maschio”... Ce n’è ancora per oltre trecento
pagine.
C’è
una pointe, un’agudeza, uno sberleffo, un lamento a ogni pagina, a ogni capoverso, a ogni riga.
Come di conversatore arguto, chiuso, per misantropia?, con se stesso, di fronte
a un quaderno. Si parla del “Pasticciaccio”,
e anche del Belli, della “Celestina”, dell’“Amleto” al teatro Valle (Gassman
con Squarzina), di Baudelaire con Rimbaud (“I viaggi la morte” del titolo è la
lettura di “Le Voyage” di Baudelaire e del “Bateau-ivre” di Rimbaud), di Ensor,
di Moravia (“Agostino”). E anche, a lungo, di “Psicanalisi e letteratura”, e di
“Tecnica e poesia” – in breve, invece, di “Lingua letteraria e lingua
dell’uso”. Non mancano i lazzi, anzi.
Alla
lettura basta il ritratto, una paginetta o poco più, di Virgilio dal vivo, soldato,
marinaio, lettore (nel saggio “Psicanalisi e letteratura”). O il primissimo
“Faussone”, l’operaio mitico di Primo Levi, in poche, definitive, righe di
“Tecnica e poesia”: “Ho vissuto fra gli uomini delle macchine…”. Un “Baudelaire
d’annata”, al centro del saggio del 1927
su “Solaria” che dà il titolo al libro, fra le tante lettura di Baudelaire una
delle più avvincenti. Un Ensor a sorpresa, da improvvisato critico d’arte. Con
riconoscimento tempestivo di Sandro Penna, nel 1948 (“Il premio di poesia «Le
Grazie»”). E già nel 1950, benché sulla rivista “Paragone”, cioè indotto da Roberto
Longhi, parte in causa, scomplessato recensore della letteratura gay - con una
lista, en passant, lunga due pagine
di praticanti del culto, fra i politici e i letterati. Partendo dalla
recensione di Genet, “Diario del ladro”, un’anteprima per l’Italia, dove sarà
tradotto quattro anni più tardi – e anche per la Francia, Sartre ci arriva due
anni dopo. E lui stesso, l’ingegner Gadda? S’ubriaca col “romanzo di vivere in
due uomini” di Rimbaud: “Troppo sì, troppo… (bello). Lo dic’anch’io, si dice a
Firenze”. Nei “giovani sportivi” mirando al “pacco” di Pasolini, ben prima di
lui, “il loro cocò micromotorizzato, inguainato nel fondo dei blue-jeans”.
Con
molte annotazioni anche seriose. Sull’egoismo-narcisismo-egotismo. Spassose “scientifiche”
spiegazioni del mito di Eco e Narciso, “logaritmiche e geometriche”. O della “filosofia”
dell’Apocalisse ridotta a libello di Giovanni contro il suo persecutore
Domiziano. Sublime, come si suole dire, o sconcertante, il Gadda pedagogo del
saggio forse più ampio, sicuramente il più impegnato e dotto, “Emilio e
Narcisso” (“come lo chiama don Gabriele”), pubblicato nel primo e secondo numero
della rivista fiorentina “Ca Balà”, la prima serie, nel 1950. Come pure, tra i
lazzi, della nipiologia o scienza del lattante, come enunciata dal dottor
Ernesto Cacace di Capua: uno sfoggio di dottrina, da Ippocrate a Aulo Celso, a
Bagelardo da Fiume (non inventato), al Trunconio e al Sorano (id.), e più a
Jean-Paul (Richter ) e Jean-Jacques (Rousseau), compagni di merende, nonché, sorpresa, con l’osservazione
dal vero, di lattanti e pargoli.
È
la taccolta di prose brevi d’occasione come si suole dire: articoli di
giornale, elzeviri, opinioni, interviste, confessioni (“Come lavoro”),
recensioni, critiche, perfino qualche mostra. Ma sono distinzioni che non
vogliono dire nulla, Gadda non è scrittore “di servizio”, è ovunque lui, e
ovunque per qualche verso simpatico. Racconta o spiega come se borbottasse, e
questo fa della raccolta una sorta di conversazione, con l’amico Gadda che fa
tutte le parti, anche la nostra, interlocutore compreso o interlocutrice – con
la quale è sempre ossequioso.
La
riedizione Adelphi propone minime variazioni sulle precedenti Garzanti, ma si
avvale di una robustissima nota ai vari testi, un libro nel libro, di Mariarosa
Bricchi - per gli aficionados una miniera, soprattutto del laboratorio gaddiano, di usi linguistici, pratiche, tecniche.
Emilio
Gadda, I viaggi, la morte, Adelphi,
pp. 432 € 24