sabato 28 ottobre 2023
L’epoca del falso
Adrià, lo chef per eccellenza di questi decenni di foodmania, dice che non gli piace cucinare. Lo dice per avere un “ritorno di fiamma” – è da qualche tempo che non faceva più i titoli? Ma è in effetti una strana mania, quella del “gusto”: un mondo di pubblicità senza sostanza. Se nessuno più cucina in casa, solo surgelati, e nei ristoranti servono precotti.
Problemi di base femministi - 774
spock
Tutto ciò che è femminile è femminista?
Da quando?
“La verità non è femmina, è maschio”, Carlo Emilio Gadda?
“Per migliorare gli uomini bisognerebbe cominciare dalle
donne”, Platone?
“Gli uomini faranno sempre quello che piacerà alle donne:
se volete che divengano grandi e virtuosi, insegnate alle donne che cos’è la
grandezza d’animo e la virtù”, Rousseau?
“Sono sempre le ragazze che sanno che c’è un altrove”, John
Banville?
spock@antiit.eu
Debutto con Fellini
Agosto,
mese vuoto in città, si popola di figure ed eventi, eccezionali per essere ordinari.
La vecchia fiamma Rita nel ricordo, nella scena della separazione, a Parigi.
Cristina, giovanissima inserviente al caffè, compagna di avventure. L’adolescente
che si sente colpevole. L’amico poliziotto, violento, vittima di violenza. I
genitori in campagna dai genitori, dove il riemerge la conpagna d’infanzia –
che presto riscompare.
Una
narrativa frammentaria, d’immagini, figurine. Esercizi di narrazione, con l’aria
del vissuto, personale. Una serie di stacchi, in soggettiva, che pure rimandano
alla “Dolce vita” - alle persone e gli eventi semplici del film, attorno al
protagonista.
Una
“Dolce vita” minimal. Come la scrittura,
che gli amici dello scrittore vogliono “acida e straniante”. Il primo libro di
narrativa, trent’anni fa, di Carbone, fino ad allora filologo apprezzato,
ancorché giovane, specializzato alla Sorbona.
All’inizio
e alla fine due memorie grate della sua città, Reggio Calabria. Alla mano della
mamma sul lungomare, un volta che si riprodusse in cielo lo specchio miracoloso
della Fata Morgana. E il primo, intensissimo, innamoramento (segreto, non
dichiarato) al liceo – “una vecchia costruzione a un piano, squadrata”, che “aveva
resistito anche al terremoto”. Con una
nota di Albinati – sul cui esempio Carbone aveva scelto di insegnare nel carcere
di Rebibbia, rinunciando formalmente alla carriera universitaria.
Rocco
Carbone, Agosto, Rubbettino, pp.152
€ 15
venerdì 27 ottobre 2023
Miseria del giornalismo politico
È
ridicolo ma triste il balletto mediatico attorno allo “scandalo Striscia” o
“scandalo Giambruno”, il compagno di Meloni ora ripudiato. Se Marina Berlusconi,
o suo fratello Silvio jr., per interposto Ricci, editor di “Strisca la notizia”,
abbiano voluto insultare, indebolire, sputtanare il governo. Triste perché non
è un caso, l’informazione politica è da anni ridotta al gossip. Più triste ancora perché i politici ballano solo a questa
musica: quando i media pettegolano loro ci credono e si mobilitano. Il voto non
conta, il governo nemmeno, i fatti internazionali neanche a parlarne – la guerra?
c’è un guerra? e che vogliono?
Più
triste ancora che la stessa Meloni, che sembrava avere infine il piglio
dell’uomo (donna?) di Stato, una che conosce le carte sa trattare con i grande
del mondo, non fa resistenza (non si tiene privato il rivato) ma sembra
adagiata, anzi sdraiata sulle scemenze – triste, in lacrime, nervosa, come la
vogliono i i macinatori del gossip.
Miseria dell’informazione in guerra
Una nave cinese tranciò il
gasdotto del Baltico. I terroristi di Hamas sceneggiano in tv in Israele le loro
mattanze. Si ricostruiscono fotografie di bambini decapitati, dagli stessi.
Cosa ci dobbiamo bere? I morti sono duemila, no ventimila, no duecentomila.
Le “notizie di guerra” sono parte
della guerra, non si ripete mai abbastanza. Forse necessarie, comunque parte
del gioco. Ma non sono informazione.
Di informazione una guerra è
fonte inesauribile purtroppo, per mille aspetti. Ma solo si registra e si
diffonde, come informazione, la propaganda, le “notizie di guerra” – già bell’e
confezionate. Per pigrizia? Per preconcetto?
L’effetto è di diffondere
l’incertezza. Trascurandosi i fatti veri della guerra, e i loro possibili
sviluppi, si diffonde con l’incertezza la paura. E il (mini)militantismo che ci
invade, contro questo e contro quello.
Non c’è molto che ognuno possa
fare in una guerra, lontano da essa. Ma la guerra, anche se remota, e quelle in
atto non lo sono, ha riflessi comunque sulla nostra vita. Bisognerebbe sapere di
che si tratta.
Se c’è la scrittura femminile
“Is genre connected to gender?” è il tema. Intraducibile, per la distinta versione inglese di “genere”, come forma di comunicazione e genere letterario (genre) e come genere sessuale (gender). Ma tema semplice: il vecchio obsoleto quesito se c’è una “scrittura femminile”.
Serpell,
scrittrice zambiana che vive a New York e insegna inglese a Harvard, tende a
dire di no. Ma poi articola il suo saggio con una serie di esempi per il sì. A
partire dall’avvio, in cui si dichiara clocky,
confusa sul genere (letterario): “L’altro giorno ho imparato una parola nuova, clocky. Si applica a qualcuno che non è
riconosciuto per il suo sesso (scelto)”. E perché clocky sul genere letterario? Per avere appena letto anche un pezzo
di storia letteraria, sul debutto di George Eliot con le “Scene di vita
clericale”. Tre storie di pastori
anglicani pubblicate anonime sul “Blackwood’s Magazine” nel 1857, raccolte in
volume l’anno successivo dall’editore, William Blackwood, col nome dell’autore,
George Eliot. Blackwood ne mandò copia a importanti “britisth literati”, tra
essi Dickens. Dickens, che conosceva di persona il vero autore delle storie, Marian
Evans, vice-direttrice della “Westminster Review”, anche perché aveva dato
scandalo andando a convivere con un uomo sposato, non sapeva che scrivesse. Ma ringraziando
Blackwood dell’invio, non può fare a meno di dire: “Sarei fortemente portato, se
fossi lasciato al mio giudizio, a scrivere al detto autore come a una donna” –
concetto che ripete.
Dickens,
spiega Serpell, aveva scritto lui stesso “come una donna”, a capitoli alterni
di “Casa desolata”. Un lavoro che lo aveva “impegnato moltissimo”, spiegava a
un intervistare. Charlotte Brontë aveva criticato il risultato, ma Dickens ne
era fiero.
La
questione, nata nel Settecento, si è trascinata fino a non molti anni fa. Serpell
è per il no. Cita – prendendo il riferimento
da Elif Batuman, l’autrice di “Either\Or” - con disprezzo Hélène Cixous, che vuole
una scrittura al femminile. Fa grande caso di Mary Wollstonecraft e la sua
cerchia, al confronto con le divagazioni inutili che il marito Percy Shelley le
consigliava. E insomma, difende il piglio hommasse
anche per le donne. Ma fa anche grande caso del Turing Test, per determinare
se si può distinguere l’umano da un computer. “Basato su un gioco di
società, Imitation Game”, che si
basa sulla capacità di distinguere uomo da donna basandosi sulle risposte
scritte a certe domande – “gioco a cui lo stesso Turing può avere messo mano”.
Che non vuol dire niente, se non probabilmente che, Turing essendo gay, non
amava le donne, le voleva distinte – settant’anni fa non c’è il fronte unito
lgbtqia.
Namwali
Serpell, Such womanly touches, “The
New York Review of Books”, 2 novembre
giovedì 26 ottobre 2023
Letture - 535
letterautore
Apocalisse
–
Un libello contro l’imperatore Domiziano, che lo perseguitava, perseguitava l’evangelista
Giovanni? È ermeneutica gaddiana, del dialogo filosofico “L’egoista” – “Botteghe
Oscure”, 1954 (ora nella raccolta “I viaggi la morte”): il “santo barbone scribacchione,
che ai suoi novant’anni sonati aveva ancora tanta voglia di menar la penna, si
è “un po’ abbandonato ai suoi dadà”, e “non potendo sparare a Domiziano, gli ha
maledetto la porpora” – “dall’isolina ove Domiziano l’avea ristretto”.
Céline – “Quando ero
passato per Parigi per andare in Spagna” - ad arruolarsi: è Orwell che ne
scrive, alla fine di “Omaggio alla Catalogna” - “la città mi era sembrata in
decadenza e cupa, molto diversa dalla Parigi che avevo conosciuto otto anni
prima, quando la vita costava poco e di Hitler non si era ancora sentito parlare.
Metà dei bar che conoscevo erano stati chiusi per mancanza di clientela, e
tutti erano ossessionati dal costo eccessivo della vita e dalla paura della
guerra”. Era dicembre del 1936. Era la Parigi del Fronte Popolare. È in questo
clima che Céline si accinge alla redazione dei famigerati libelli. Il primo,
“Mea culpa”, antisovietico e anticomunista, è dello stesso 1936. Seguiranno,
nel 1937 e nel 1938, le “Bagattelle” e “La scuola dei cadaveri”, libelli contro
la guerra che si prepara oltre che antisemiti (la guerra che si prepara è opera
diabolica dei capitali, degli ebrei).
Critici
–
Gadda li vede “apotecari e carabinieri dell’immortalità”.
Dante - È drammaturgo, nei (tanti ) dialoghi. Gadda
lo nota a proposito del suo Belli, teatrale, alla fine del suo lungo studio del
poeta romano: “Questo è anche del Porta, è dei grandi dialettali in genere, è
di Dante drammaturgo: poiché il dialetto, non meno di certo dialogo di Dante, è
prima parlato o vissuto che non ponzato o scritto”.
Per lo stesso motivo il Gadda del “Pasticciaccio” allora non è drammaturgo.
Gadda
–
Un romantico. Così si dichiara, con la solita sovrabbondanza, lui stesso,
dovendo trattare del neorealismo. Questo l’incipit del saggio “Un’opinione sul
neo realismo” (nella raccolta “I viaggi la morte”): “Le mie naturali tendenze,
la mia infanzia, i miei sogni, le mie speranze, il mio disinganno sono stati, sono,
quelli di un romantico: di un romantico preso a calci dal destino, e dunque dalla realtà…”. Alla quale non vorrà
darla vinta, un’altra inventandosi nella scrittura?
Giornalisti – A proposito
del clima di sospetto che dominava nel suo albergo a Barcellona nella primavera
del 1937, durante la guerra di Spagna, i giorni dell’attacco ai “trockisti”, i
comunisti e i socialisti non sovietici, Orwell in “Omaggio alla Catalogna”
annota: “L’obeso agente russo metteva alle strette uno alla volta tutti i
rifugiati stranieri spiegando loro che tutta quella faccenda era un complotto
anarchico. Io lo osservavo con interesse, perché era la prima volta che vedevo una persona il cui mestiere era
quello di mentire, se si escludono i giornalisti”.0
Manzoni – Era tutto
Verri, figlio di Giovani e nipote di Pietro - non di Cesare Beccaria. Essendo Pietro
Verri l’amante di Teresa Blasco Beccaria, quando concepì Giulia, che poi sarà
la madre di Alessandro. E Alessandro lo
avrebbe anche saputo: se dalla madre Giulia Beccaria seppe che non era figlio
del marito Pietro Manzoni ma di Giovanni Verri, avrà saputo anche che suo nonno
era Pietro Verri e non Cesare Beccaria. Più che un’ipotesi, sarebbe una certezza,
almeno sul piano filologico. Che lo storico e bibliofilo Pier Carlo Masini
avrebbe accertato nel 1996, analizzando un manoscritto di cui era venuto in
possesso, “Memorie riservate manzoniane del dottor Innocenzo Ratti”. Un falso,
compilato su presunte confidenze di don Giulio Ratti, parroco di San Fedele,
cioè di Manzoni, al fratello notaio. In cui però Masini avrebbe trovato ipotesi
non del tutto avventate sugli ascendenti di Manzoni. Andrea Tomasetig ne riferisce
entusiasta sul “Sole 24 Ore Domenica” il 22 ottobre.
Neo realismo – Un rosario? Gadda, che lo soffriva, spiega perché nel volume “Il neorealismo”, curato da Carlo Bo per la Rai nel 1950: “Nella «poetica del neorealismo», quale mi si è rivelata da alcuni esempi, direi che ogni fatto, ogni quadro è (cioè riesce ad essere) nudo nocciolo, è (cioè riesce ad essere) grano di un rosario dove tutti i grani sono giustapposti ed eguali”. Standardizzato, ripetitivo. In effetti – curiosamente, è l’effetto alla rilettura di Pasolini, che pure voleva andare incidere la crosta.
Nipiol – Si ricorda
ancora una pubblicità Buitoni per i bambini, del Nipiol Buitoni, con un atleta
muscoloso di spalle che scolpiva o teneva un architrave. Gadda ne aveva derivato
una scienza. meglio, l’aveva diffusa, traendola dal
dimenticatoio, nel 1950, nell’impegnativo saggio “Emilio e Narcisso” (ora in “I
viaggi la morte”), pubblicato sul primo e secondo numero della rivista satirica
fiorentina “Ca Balà”, col titolo”Meditazione prima: sula rosta o ruota del
tacchino”. Che si apre su un lungo elogio semiserio della nipiologia, o scienza
del lattante, come branca distinta dalla pediatria, a opera del dottore Ernesto
Cacace, che a Capua fondò nel 1905 un suo proprio Istituto di Nipiologia, e nel
1915 lo trasferì a Napoli – con una specie di ordine laico di Visitatrici dell’Istituto
Nipioigienico di Capua (segue un excursus storico deLla materi, da Ippocrate a
Oribasio di Pergamo, che esiste, Bagelardo
da Fiume, Trunconio, Sorano, che
esistono, Jean Paul, “Levana”, e Rousseau, ammiratissimo, “Emilio”, trascritto
per lunghe pagine).
Parolacce – “Sono sacre”, Gadda dixit, “Arte del Belli”, 1945 (ora in “I viaggi la
morte”) – “beninteso… non meno di qualunque altra parola o virgola o accento
del testo”.
Peirce – Il fondatore
della semiotica, cui tanto Umberto Eco si vuole indebitato, fu un barbone? Nel
romanzo “Un’educazione amorosa”, John Banville lo ricorda così: “Il grande
pragmatista Charles Sanders Peirce dovette mendicare il pane e perfino, per
qualche tempo, visse per strada”.
Set – Quello cinematografico
è come una “Natività”? Il narratore di John Banville, del romanzo “Un’educazione
amorosa”, che impersona un attore di teatro in età, coinvolto nelle riprese di
un film, se lo dice alla fine: “Il set di un film a niente somiglia di più che
a una scena della Natività, quel piccolo spazio illuminato circondato dalle sue
fioche posizionate figurine”.
Viaggio – “I viaggi, che
sembravano via via poter appagare un desiderio inestinguibile, hanno rivelato
la gelida uniformità degli oceani e dei continenti” – C.E .Gadda, “I viaggi la
morte”. Gadda, che pure aveva viaggiato molto, era sedentario – aveva viaggiato
“per bisogno”: per lavoro, per la prigionia in guerra.
La vita attraverso la morte
L’eredità
culturale è, in fondo, parlare con la lingua dei morti. Il rapporto è
biunivoco, la morte è un passaggio: “Mentre è vero che parliamo col linguaggio
dei morti, è ugualmente vero che i morti parlano nelle e attraverso le voci dei
viventi. Ereditiamo le loro parole, così come prestiamo loro la voce”. Sulla base
di Vico, “La scienza nuova”, che Harrison dice “la fonte d’ispirazione di questo
studio”, e in subordine di Ernesto De Martino, con molti riferimenti letterari,
Omero, Virgilio, Dante, Milton, e la condivisione di temi e figure di
Ungaretti, Wallace Stevens, Marianne Moore, Rilke, ma soprattutto di Leopardi e
Petrarca, Harrison ricostruisce la rete interminata della vita attraverso la
morte. L’aldilà continua a dominare la nostra esistenza, credenti o no, la
cultura può dirsi anche un negoziato tra qui e là, presente e passato, tra scontri,
convivenze, cancellazioni.
Non
l’ennesima variazione sulla storia. Un’opera di filosofia letteraria – o
letteratura filosofica: esplora le forme in cui si manifestano i rituali del
dolore e del compianto. Specie nella tumulazione. La riflessione nasce da
questo aspetto, da Vico. La sepoltura segna l’inizio e dà la definizione di ciò
che chiamiamo umanità. L’umanità “non è una specie (Homo sapiens è una specie); è un modo di essere mortali e di di collegarsi
al morto. Essere umano significa soprattutto seppellire”. Il latino humanitas venendo da humando, seppellire – dalla radice indoeuropea
dghem, che è la base anche del greco khton, la terra.
Una
derivazione e un ingrandimento di “Foreste”, la prima incursione di Harrison nella
continuità. Autore successivamente di “Giardini. Riflessione sulla condizione
umana”, nel continuo rifacimento, quotidiano, dell’eden, l’idea primigenia di
innocenza. Già autore di una raccolta di racconti (divagazioni) “Roma, la
pioggia. A cosa serve la letteratura”. Agli studi filologici essendosi avviato su
Dante, soprattutto sulla “Vita Nova” – la sua prima pubblicazione, non
tradotta, è “The Body of Beatrice”.
Harrison
è professore di Letteratura Italiana alla Stanford University, del dipartimento
di Francese e Italiano – insignito per questo delle massime onorificenze, dalla
Francia.
Con
una postfazione di Andrea Zanzotto.
Robert
Pogue Harrison, Il dominio dei morti,
Fazi, pp. 238 € 19
mercoledì 25 ottobre 2023
Appalti, fisco, abusi (234)
“Regolarmente” manca dalla bolletta
del gas l’indicazione del Pcs del gas fornito, del potere calorico – manca
dalle bollette Enel e Acea, e presumibilmente di tutti gli operatori. È il
valore necessario per confrontare, insieme col prezzo per metro cubo, la validità
o convenienza dell’offerta dell’operatore . Un indicatore formalmente obbligato
dall’autorità di controllo, Arera (Autorità di Regolazione per Energia, Reti,
Ambiente), ma di fatto, evidentemente, no.
Il comune utente lo può vedere al
bollitore, o al forno a gas: quando il cibo che cuoceva in un’ora ha bisogno di
un’ora e dieci, o la pentola dell’acqua arriva a bollore, a una certa altezza
della fiamma, in dieci minuti invece che in nove o otto (anche dalla caldaia, quanto
l’attivazione del flusso di acqua calda impiega trenta secondi invece di venti,
o un minuto invece di 45 secondi). La variazione surrettizia del potere calorico
è un altro modo per caricare la bolletta: l’operatore paga di meno il gas
unitariamente, a metro cubo, e obbliga l’utente, che lo paga a prezzo pieno
(quello concordato), a consumarne di più.
L’ospedale Fatebenefratelli all’Isola
Tiberina, al centro di Roma, molto frequentato per ostetricia e diagnostica, fallito
sotto la gestione dell’ordine omonimo, corteggiato a lungo dal milanese gruppo
Rotelli, dichiarato dal papa “ospedale dei poveri” e confidato al Gemelli, fa ora
pagare visite e analisi già coperte dalle convenzioni col sistema sanitario, ed ha
aumentato del 50 per cento la visita specialistica.
Roma è in subbuglio per i tanti
cantieri aperti in vista del giubileo 2025, che deve aprire a dicembre 2024, tra
poco più di un anno – deviazioni, ingombri, code, parcheggi vietati. Ma non c’è
cantiere che non apra, con recinzioni, scassi, macchinari, e poi non resti
deserto per settimane e mesi. Gli appalti non vengono assegnati con un “fine
lavori”, come da legge. I controlli non si fanno, mai, in nessun luogo.
Pornosoft per signore
Un
numero da balera di spogliarello maschile, interrotto peraltro causa covid, viene
ripreso e portato all’apoteosi, dalla
periferia di Los Angeles al grande teatro di Londra, chiuso e riaperto per l’occasione,
per il piacere di una ricca divorziata in cerca di sensazioni forti. Per un solo
spettacolo, una serata da brividi, a inviti. O dell’atletismo come inganno
(arte) d’amore.
Il
terzo episodio di una serie sexy di successo, sulle piattaforme e anche in sala.
Con un interprete maschile molto atletico, Channing Tatum, che con “Magic Mike”
ha fatto una carriera, flessuoso ed esplicito in tutte le posizioni. E una
Selma Hayek che smette i panni della donna rancorosa in età per quelli della
donna in età sedotta, e non più abbandonata.
Un
comedy-drama come genere dichiarato, di fatto un pornosoft. Che si nobilita
chiamandosi danza, benché di mimica sessuale. E molto musicale - anche se
la musica non ha crediti nei titoli di coda.
Steven
Soderbegh, MagicMike, the last dance,
Sky Cinema
martedì 24 ottobre 2023
Secondi pensieri - 526
zeulig
Ermeneutica – È la “creazione”
del classico. Semplice. A partire dai testi sacri, figurarsi. Fino alle “edizioni
critiche” – l’opera quale la voleva l’autore. Se ne capisce la voga, in epoca
di postmoderno, e l’alta stima di cui gode – ben più delle opere su cui si
esercita.
Libertà – È palesemente
conculcata dai “diritti” di libertà. Sembra un paradosso, e lo è. Ma non senza
senso: la conculcano i diritti sotto forma di assolutismo, di terrorismo – di anatema
nella pratica dei vecchi panegiristi. Ma non quando sono singoli, o minoranze:
quando sono maggioranze opportuniste, di
conformisti. O quando diventano regole, una “legge della minoranza”.
Slavoj Žižek ne fa una questione morale, ma è una contraddizione
– “La Lettura”, 15 ottobre: “A parole tutto è concesso, nei fatti crescono
censure e divieti dettati dalla cultura woke in nome dell’inclusività” E: “In
nome del permissivismo si attivano tutte le limitazioni: politicamente
corretto, woke, cancel culture e così via…. A
parole siamo per l’inclusione, per la diversità, ma il risultato è una
nuova forma di terrore. Oggi, in nome dell’inclusione, escludiamo le persone
più che mai, il paradosso è che la cancel culture difende sempre la diversità,
l’inclusione”. Non è esatto: è un movimento di rivendicazione, che quindi è
intitolata, per difendersi, ad abbattere. Diverso è lo spirito woke, che invece
è censorio – una sorta di conformismo: è nato come movimento di contestazione,
ma è presto diventato, tra gli stessi contestatori, sinonimo di illiberale.
La chiave delle ambiguità degli ultimi movimenti(in teoria)
libertari è però nell’opportunismo dei media, dell’opinione pubblica. Il
movimento woke non ha più di quindici anni di vita, se prende il nome da una
canzone del 2008. Si è già imposto, e si è già avviato al declino, contestato
al suo interno. La cancel culture ha origini variamente dibattute ma non più in
là del 2014. E dunque? C’è una maniera americana di fare giornalismo – informazione,
opinione, dibattito. E non c’è altro giornalismo se non quello americano – gli altri
“ribattono”: copiano, riscrivono, rilanciano, gonfiano.
Machiavelli – Un “Anti-Machiavelli” è
opera di Federico II di Prussia, se mai ci fu regnante più “machiavellico” - era
anti-Machiavelli a tal punto che perfino uno spirito libero come l’arguto Lichtenberg
si esimeva dal menzionare il segretario fiorentino, pur parafrasandolo.
Carlo Emilio
Gadda in un saggio sull’“Amleto” di Shakespeare, parla di “componente antimachiavellica
del puritanesimo, dell’anglicanesimo, della riforma”. Della Riforma di Lutero,
monaco in armi? Dell’anglicanesimo di Enrico VIII, più mozzatesta che debosciato?
Del puritanesimo, i cu stermini non si sanzionano perché gli Stati Uniti che se
ne dichiararono eredi sono ancora i padroni del mondo.
Machiavelli è una
cattiva coscienza – una cartina di tornasole, di chi si colora di
anti-Machiavelli.
Mercato - Nello scambio ci si dà per un
prezzo, oppure gratis, come nel potlach: dipende dal grado di
soddisfazione. Dunque, il mercato moderno, il mercato, comporta un grado di
soddisfazione zero. Potrebbe essere teoria rivoluzionaria.
Natura – L’uomo è “naturale”,
ne è un composto, ma è un figlio degenere, vuole e sa come indirizzarla, anche
contrastarla. Con la medicina, con l’ingegneria, la chimica, la biologia, col
semplice aratro, e col pensiero astratto.
Si è fatto, Ferraris
l’ha fatto subito, un riesame della condanna della tecnologia di Heidegger dopo
il covid. Di uno che amava la “natura” nel senso di campagna-montagna per il
week-end, e nel senso di arcaismo – la vanga e il carrettiere, insieme col focolare,
la capanna e il costume che sono piuttosto ripari dalla natura. Che la tecnica
diceva una schiavitù. Sarebbe stato no wax, e sarebbe morto – uno dei candidati
a morte per natura. Per l’età. Ma è naturale la morte, come la nascita. E la
malattia. Contro la quale è giusto e buono fare resistenza. Da esseri naturali:
ha insita la sua negazione – l’insubordinazione, il matricidio.
Non è possibile
un complesso di Edipo in riguardo alla natura non essendoci triangolazione, ma
un matricidio sottoforma di Edipo sì.
Postmoderno – La cultura
come gioco, al meglio, o più probabilmente come restauro, evocazione, ripetizione,
imitazione, capacità manuale o intellettuale di rifare il già fatto, e più
complicato è il rilievo, il calco, il ricamo, più eccelso il risultato. Al meglio
è ermeneutica, senza il distacco che si pretende dall’ermeneuta, da attori e
non da commentatori. Come un arrangiamento in musica: c’è in musica il compositore,
e c’è, anche molto bravo, l’arrangiatore.
Storione
familiare - Il “romanzo familiare”,
deve precisare la Treccani, non è quello comunemente inteso, di saga familiare,
per lo più di fantasia, di nonni, zii e bisnonni, del nome, del “casato”, delle
origini. Il vezzo di raccontarsi la propria vita, cioè inventarsela, anche col
suggello della documentazione “rigorosa”, ora esercizio comune, universale e
prevalente, anzi unico, anche in conversazione, sempre più intesa come
esibizione di sé. È invece, per come introdotto e definito da Freud nel 1908,
il complesso di fantasie, consce e inconsce, che alcuni pazienti nevrotici avevano
sviluppato in età preadolescenziale, immaginandosi famiglie differenti,
castelli invece di appartamenti, e genitori nobili e potenti, ai quali probabilmente
i genitori che li attorniavano li avevano sottratti in qualche modo truffaldino.
Con, a seguire, immagini di liberazione: del young adult che si liberava e, attraverso varie peripezie, si ritrovava
in un qualche empireo, giardino, fattoria, castello. Era, in sostanza, una ribellione
infantile, nell’immaginazione: il rifiuto-cancellazione dei genitori, entrambi
o uno dei due, effetto delle delusioni inevitabili che padri e madri infliggono,
anche senza volerlo, ai figli, alla libera fantasia del bambino e del ragazzo. “È
dunque”, nelle sintesi che la Treccani fa di Freud, “un fattore positivo della
crescita, poiché stimola la creatività fantastica, sfida l’autorità dei
genitori, aiuta l’emancipazione e il distacco, favorisce la costruzione dell’identità
di genere maschile e femminile, orienta i desideri amorosi verso figura nuove,
fuori dalla trappola del pensiero edipico”. Comunque, un “genere” ubiquitario, predente e ricorrente
nelle letterature di ogni luogo e tempo, miti, leggende, favole.
Treccani, in
edizione evidentemente aggiornata all’ultimo trend, è pessimista sulla funzione terapeutica della storia familiare
oggi. Per le “dolorose e fallimentari ricerche dei veri genitori che così
spesso intraprendono, anche in età adulta, i figli adottati e di unioni
atipiche”. Ma non, di più e più numerose, per le ricostituzioni dell’infanzia,
così correnti nelle letteratura della memoria, e nei tinelli domestici, dopo
Proust, e nella autonarrazioni dilaganti, dai grandi romanzi alle “presenziate”
in tv, di personaggi anche minimi, e all’autodialogo, al parlare con se stessi,
che sempre più sostituisce la conversazione, uno scambio-confronto sempre meno
o non più praticato-bile?
Verità - La menzogna comincia con la vergogna, che è l’occultamento di ciò
che si ha. Liberandosi dalla vergogna ci si libera dalla menzogna. E una legge
se ne ricava.
Georg Brandes, il valorizzatore danese
di amico di Nietzsche, lo rimproverava nella sua prima lettera: “Lei è molto tedesco. Il suo spirito, di regola
così brillante, sembra venire meno quando la verità è nella sfumatura”. Ma non si tratta di pieghe,
anfratti, o sfumature: la verità è un esercizio di equilibrio sul filo. Con reti
di protezione, nessuno muore per sbaglio, ma difficile, sottile. E forse inutile
- è un’esibizione?
È un esercizio continuamente
in corso, per tutti, anche il problematico violento che anima questa stagione
di femminicidi.
zeulig@antiit.eu
Cronache dell’altro mondo – universitarie (247)
“L’università di Yale, con un patrimonio
di 40 miliardi di dollari, è il più grande proprietario terriero di New Haven in
Connecticut, dove un residente su quattro vive sotto il livello federale di povertà.
La città è una città post-industriale manifatturiera con un’azienda d’istruzione
multimiliardaria piantata nel mezzo. E, poiché è un’azienda non-profit, non è nemmeno
richiesta di pagare le tasse fondiarie federali.
“Da oltre un decennio, due
sezioni dell’importante sindacato americano Unit Here, che rappresentano i meccanici,
commessi, camerieri, centralinisti, bibliotecari, e tecnici di laboratorio dell’università
governano il consiglio comunale”. Che si chiama Board of Alders, consiglio degli
Aldermen, i vecchi ufficiali dela corona britannica. “E avrebbero fatto pressioni
perché l’università contribuisca ai servizi con pagamenti volontari, in
sostituzione delle tasse cui non è tenuta”.
“Ora un terzo sindacato della stessa
centrale si è creato, fra insegnanti di corsi superiori”.
“Il Board of Alders si fa forte
quest’anno di un budget in passivo per 65 milioni di dollari”.
(“The New Yorker”)