Giuseppe Leuzzi
L’Istat ridimensiona infine,
dopo quattro decenni, la presa della malavita sull’economia nazionale: dei 192
miliardi di “economia sommersa” nel 2021, ultimo dato ricostruito, 18 miliardi
derivano da “attività illegali”. Trent’anni fa si attribuiva alle mafie un terzo,
se non la metà, dell’economia somemrsa o ilegale. Per creare un mito?
Uno studente fuori sede spende
in media in un anno 19 mila euro (alloggio, pasti, trasporti, tasse, materiale
didttic, salute) – poco meno di 17 mila in un ateneo del Centro. Poi si dice
che il Sud s’impoverisce, che alimenta l’economia dei “fuori sede”, da Roma in
su.
La sentenza-lezione della Cassazione alla sezione del Tribunale e alla corte d’Assise di
Palermo in materia di Stato-mafia non è ridicola, come sembra (in effetti, i
giudici bocciati delle sue istanze restano ai loro posti e anzi avranno fatto
carriera, per anzianità, “a cieli aperti” come usa in magistratura). Non lo
è perché fa capire come nei vent’anni dell’inchiesta e dei giudizi la mafia sia
rimasta intonsa a Palermo. Anzi, se non fosse per la cronaca quotidiana, non ci
sarebbe, la giustizia non se ne cura. Hanno solo arrestato Messina Denaro, ma
era uno di trenta e più anni fa – se non si è consegnato lui, per un ultimo
sberleffo.
Com’e(ra) ricco il Sud
Alessandro Gassman, nella
veste di ecologo, fa sul “Venerdì di Repubblica” il caso della seta a Catanzaro,
a proposito della Cooperativa Nido di Seta, messa su da Miriam Pugliese, Domenico
Vivino e Giovanna Bagnato: “Pochi sapranno che dal XIV al XVIII secolo Catanzaro
è stata una delle città europee più importanti nella produzione e tessitura della
seta. Una grande tradizione, che purtroppo nell’era dell’industrializzazione si
è via via perduta”. No, si è perduta con l’unità, definitivamente. Già intaccata
dalle ultime politiche doganali borboniche. Il medio svizzero Horace Rilliet la
descrive ben viva e produttiva a metà Ottocento, nel diario “Colonna mobile in
Calabria 1852”, un resoconto dettagliato e figurato, per imagini, del suo attraversamento
della Calabria nell’autunno del 1852, al seguito del re che visitava le province
con un “colonna mobile” - di soldati di tute le lingue, per lo più tedescofoni.
“La seta”, scrive alla
“Giornata XVI” (le pp. 179-180 dell’edizione Rubbettino), “una delle prime
fonti di ricchezza di questo paese, era stata così sfruttata dalle imposte
drurante il feudalesimo da esserne completamente schiacciata”. Ma anche
successivamene, abolito “l’antico feudlesimo”, dai “grandi proprietar”
assenteisti, che il loro interesse limitavano al prestito a strozzo ai
coltivatori, la seta era solo un cespite da tassare: “La seta cruda, ad
esempio, pagava un diritto che, per il modo in cui si percepiva, era
estremamente vessatorio e oneroso; la seta era pesata al momento in cui usciva
dalla filatura, cioè ancora imbevuta d’aqua, e quindi quasi al doppio del suo
peso reale”, e la tassa si pagava sulla seta bagnata.”C’erano anche altri
diritti”, continua Rilliet, “locali, feudali, reali, provinciali” sulla lavorazione
della seta. “Per esempio: il diritto di Bisignano prendeva 7 grani a libbra,
oltre il diritto provinciale, che ammontava a 42 grani e mezzo. Poi bisognava
aggiungere I diritti d’esportazione, da cui tuttavia una saggia legge del 1804
liberò l’industrtia sericola” – del 1804, cioè ancora di mano del re Borbone
Ferdinando IV, il regno diventerà napoleonico due anni dopo, anche I Borboni
sapevano quello che facevano. “D’allora questa industria”, continua Rilliet,
“ha preso uno sviluppo notevole e il regno fornisce attualmente un milione di
libbre di seta che fruttano tre milioni di ducati”. Una produzione “suscettibile
di grande aumento perché il gelso è ancora poco coltivato e anche completamente
sconociuto in molte località”. E perché
la coltura del gelso non si estende? Per la diffidenza del conatdino. E perché
il conatdino è diffidente? Perché non ha un patto di fiducia con il grande borghese
che lo finanzia, e gli propone il cambamento.
Ma non c’è solo la coltivazione:
“La Calabria possiede parecchie filande che, benché primitive, forniscono un’eccellente
seta per cucire”. Piccole e grandi. “Primitive” ma “a un livelo di perfezione simile a quello di
altri paesi, del Piemomte, della Lombardia, e i cui prodotti sono molto
ricercati. Tali sono le più belle filande di Reggio, Villa San Giovanni
(costruita sul modello di San Leucio, vicino Caserta), Cosenza e molte altre,
che hanno aumentato e migliorato di molto la loro produzione”.
L’industria della seta in Calabria,
è la conclusione del medico svizzero, è meno produttiva rispetto a Napoli, a San
Leucio, “ma ogni anno porta progresso e miglioramento e va detto che negli
ultimo venti anni gli utili sono quasi raddoppiati”.
È una storia molto raccontata,
ma sempre sorprendente, quelle del Sud che avrebbe potuto essere e non è staao.
Per esempio industriale - anche della grande industria a Napoli e dintorni, che
era anche il primo porto europeo dell’Asia, la “porta d’Europa”. La ferriere di Mongiana,
per esempio, per restare al Rilliet, altro caso che dovrebbe essere stranoto e
invece non lo è, “le cui numerose fabbriche di acciaio e d’artiglieria sono le
più importanti del regno”. La siderrugia di Mongiana era pubblica, si potevan
senz’altro modernizzare, adattare alle tecniche in evoluzione di produzione e
di mercato, ammesso che gli imprenditori-gestori locali no ci riuscisero, ma
non si è fatto.
Un secolo prima, poco meno,
nel 1770, lo scrittore e naturalista scozzese Patrick Brydone si meravigliava
della ricchezza delle colture in Sicilia: “Ci stupimmo a vedere come erano
ricchi I raccolti, molto più abbondanti che in Inghilterra e nelle Fiandre, dove
il buon terreno è curato con tutte le arti”. Ma qui senza beneficio per
ilcoltivatore: “Qui il misero contadino ce la fa appena a solcare il suolo, e
mietere col cuore grosso la messe più abbondante. A che pro gli viene largita?”,
la natura è genersoa? “Soltanto per gravare come un peso morto sulle sue
braccia. Quando non va persa del tutto, dato che l’esportazione è proibita a
coloro che non possono pagare al sovrano un prezzo esorbitante”. E commenta:
“Che differenza tra la Sicilia”, ubertosa, “e la piccola selvaggia Svizzera!” –
che il viaggiatore aveva appena visitato. Analoga considerazione farà anche lo
svizzero Rilliet, sempre domandandosi perché tanta ricchezza producesse tanta
povertà: “Il paesaggio che attraversiamo è un soggetto serio, perché alla vista
della fertilità e dell’abbondanza che vi regnano, ci si domanda da dove può
venire questa indolenza degli abitanti, questa mancanza di spirito d’impresa, questo
abbandono di ogni attività e commercio presso un popolo che nei tempi antichi
della Magna Grecia produceva anti capolavori, contava tanti filosofi importanti,
e aveva una cultura e una civiltà d’avanguardia”. Non per denegerazione,
arguiva il medico: “Gli abitanti di questa provincia si distingono per la loro
forza fisica, la loro forma slanciata ed elegante, i lineamenti belli e
regolari così come per la finezza del loro spirito e della loro intelligenza”.
E si rispondeva: hanno pesato la decadenza e le guerre, contro i barbari, tra “greci”,
contro gli arabi e poi i normanni, gli angioini, gli svevi. “Il risultato per
questo popolo”, è l’analisi del medico svizero, “fu una diffidenza incurabile per
tutto ciò che gli veniva da fuori e quindi la distruzione di ogni
comunicazione, di ogni commercio e scambio di idee. In seguito allo spopolamento
dle paese, immense distese di terreno furono abbandonate e trascurate. Questi stessi
terreni inondati dai fiumi generarono febbri e malattie pestilenziali….”.
Lo spopolamento in realtà è
costante da alcuni secoli, quindi andrebbe indagato (re-indagato) più a fondo. Ma
da qualche tempo, si può dire già da dopo l’unità, l’aggiornamento fu costante
e per certi aspetti febbrile, l’adeguamento ai canoni di produzione e d’immagine.
Ma fu un aggiornamento non fecondo, non riproduttivo. Si emigra e si copia, ci
si adatta e non si costruisce, o poco, troppo poco. Sul passato, e sulla
mentalità?, ha gravato la feudalità, un millennio e più di regime feudale, remoto
e vessatorio, di diritti e non di doveri, che ebbe il suo acme nei primi secoli
del secondo millennio, tra Normanni, Angioini e Svevi, ma perdurò sotto i regni
di Aragoma e di Spagna. Tra Sette e Ottocento, tra Filangieri e i francesi a
Napoli, la feudalità fu cancellata, ma perdurava negli istituti del fedecommesso,
il sistema diffusissimo per secoli per cui si
compravano e si vendevano fondi, sulla carta, fra proprietari assenteisti (un
abbozzo di riesame ne tentavamo su questo sito in più occasioni qualche anno
fa, in particolare
http://www.antiit.com/2009/12/sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-51.html
http://www.antiit.com/2011/09/sud-del-sud-il-sud-visto-da-sotto-100.html)
La Calabria restava affidata ai contadini
poveri, indebitati col padrone lontano, che se sapeva qualcosa erano solo i
confini dei possedimenti che aveva acquistato e il numero dei “fuochi”, delle
famiglie che gli dovevano ogni anno qualcosa.
Nostos, richiamo ancestrale
C’è una personalità dei
luoghi. Invasiva anche, intromettente. Molti ne risentono gli efetti, tra gli
emigrati, anche per scelta, che conservano l’mmagine, tra i tanti luoghi dove
possono essere transitati o finiti, di quello dove sono nati e cresciuti, e
spesso ci ritornano anche, anche a costo di un delusione – che è inevitabile, e
però si rimargina. Helen Barolini, la scrittrice americana che prese il nome
del marito, Antonio Barolini, lo scrittore vicentino che fu corripondente di
“Epoca” e “La Stampa” a New York, di suo Helen Mollica, morta a marzo di 98
anni, di nonni calabresi, lo spiega nel romanzo “Umbertina”. Tina, la pronipote
di Umbertina, bisnonna emigrata quasi un secolo prima negli Stati Uniti, dove
ha creato una famiglia prospera, malgrado il carattere ruvido e l’ignoranza, ha
deciso di andare a vedere il luogo dove Umbertina è nata. E ne resta delusa,
ovviamente, ma insieme attratta, da una forza che non si spiega: “Sempre più si
sentiva un’intrusa in quell luogo in rovina come il monastero della valle di
sotto. E a cosa le serviva inseguire Umbertina? si domandò. La sua venuta a
Castagna era stata motivata più dal desiderio di perdersi che da quello di
trovare Umbertina. Cosa l’accomunava ai tuguri impoveriti di questo luogo…,
all’isolamento e all’arretratezza? Ora lei era il prodotto di un’istruzione.
Non c’era via di ritorno. Infatti il messaggio di Umbertina era: partite,
prendete uan direzione, andate vanti seNza più voltarvi. Eppure Tina era lì perché nessun messaggio
riusciva a sopraffare il suo sentimento di dover essere lì. Si sentiva legata a
questo posto da una sorta di necessità ancestrale…”.
La bellezza è
leghista
Le ragazze a Palermo sono libere in famiglia e in
società, nota ancora Brydone nel 1770, con meraviglia.
E si sposano “giovanissime, spesso riescono a vedere la quinta o sesta
generazione”.
Brydone non depreca la costumanza: “In generale sono
vivaci e simpatiche; in molte parti d’Italia sarebbero considera te attraenti.
Un napoletano o un romano senz’altro sarebbero di questa opinione”. Non invece
al Nord: “Un piemontese invece le direbbe molto ordinarie (e allo stesso modo
la penserebbe la maggior parte degli inglesi)”.
La
bellezza Brydone trova “regionale”, localizzata: “Ricordo che dopo aver fatto
il giro della Savoia e del basso Vallese ogni donna che incontravamo in
Svizzera ci sembrava un angelo”. Lo stesso accade in Germania, aggiunge, e
chiede retoricamente al (finto) corrispondente cui indirizza le sue impressioni: “Ti sarà facile ricordare
che incredibile differenza ci sia tra una bellezza di Milano e una di Torino,
nonostante che queste due località siano così vicine”.
Cronache della
differenza: Napoli
“Un paradiso abitato da demoni” è copyright di Mary
Shelley. Croce, nella sua dottissima ricerca (ottimamente sintetizzata su wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Un_paradiso_abitato_da_diavoli)
ne trova traccia già nel Cinquecento, ma Mary
Shelley ne sarebbe stata il veicolo di maggiore diffusione.
Gli Shelley abitarono Napoli nell’inverno 1818-1819.
L’avevano eletta loro residenza italiana, ma la lasciarono dopo tre mesi,
durante i quali erano vissuti in isolamento – avevano ricevuto solo un medico,
dicono i biografi. Lasciarono Napoli su un tema “napoletano”: una bambina
comprata fatta passare per loro figlia, di Mary oppure della sua sorella
Jane\Claire che li accompagnava. La bambina moirrà di pochi mesi, ma intanto
gli Shelley erano stati denunciati da una coppia di domestici, Paolo ed Elisa,
che avevano licenziato perché si erano sposati.
A Napoli Percy Bysse Shelley dedicherà un’ode, nell’entusiasmo
per i moti liberali del 1820-1821.
Al solito semiserio, Gadda ne celebra una gloria
dimenticata, Ernesto Cacace (nella raccolta di saggi “I Viaggi, la Morte”), l’inventore
della nipiologia, o scienza del lattante, come distinta dalla pediatria. Nipiol è per i più la linea dolciaria per l’infanzia
della Buitoni (ora Heinz). Ma la nipiologia esiste: è, dice la Treccani,
“ lo studio integrale del lattante da tutti
i punti di vista: biologico, psicologico, antropologico, clinico, igienico”.
“Il nuovo oro di Napoli” è a Scampia – “Corriere della
sera”: “L’università Federico II vi trasferisce la nuova sede.” Fare bene si può,
anche rapidamente – cambiare. Specialmente contro il crimine, a Scampia come a
Caivano: basta agire.
“ I napoletani, come i Greci, detestano i forestieri”,
annota Alvaro, “Quasi una vita”, durante il soggiorno a Napoli nel 1947, dal 7
marzo al 15 luglio, alla direzione del giornale “Il Risorgimento”, di proprietà
di Achille Lauro (che presto rimprovererà ad Alvaro un “accentuato orientamento
di sinistra”): “Temono di essere offesi con le grossolanità di cui soltanto
Napoli può giudicare la portata, perché sono maestri in materia”.
“Il vero presente per i napoletani è il passato”,
annota ancora Alvaro della tavolata che lo festeggia dopo le dimissioni dal
“Risorgimento”. “A proposito del quale”,
annota ancora, cioè del giornale, “un
collaboratore mi diceva ironicamente: «L’Europa a Napoli!». E un altro: «Se
Picasso fosse a Napoli, non gli faremmo decorare neppure un bar»”. Ma a Napoli,
commenta Alvaro,”gli scrittori e gli artisti credono di essere al centro”.
Ancora
di Napoli Alvaro registra questa cosa vista: “Un tale toglie l’asfalto da una
strada, e lo carica su un carretto per venderlo poco oltre. C’è qualcuno
attorno che protesta. Altri lo difende dicendo: “Tanto, non è roba nostra”.
Al seguito
di Ferdinando II che nell’autunno del 1852 faceva una ricognizione dei possedimenti
nella Calabria Citeriore, il medico svizzero Horace Rilliet nota (“Colonna
mobile in Calabria”, XVII giornata, 13ottobre) “nella retroguardia…un esercito
di venditori di commestibili e di rinfreschi”: un’“orda di uomini e donne
semivestiti, che ci hanno seguiti da Napoli, a piedi nudi, dormendo sul primo
albero che trovano e non avendo altro bagaglio che un barilotto o un paniere;
gli uni vendono caffè, altri vino, pane, lardo o molto semplicemente acqua” (gli
acquaioli fanno gli affari migliori”).
leuzzi@antiit.eu
Settembre
o della malinconia? Rivisto – questione di attenzione? di umore? – è un altro
film. Curioso, attraente, per la sua semplicità. Senza i dolorismi che erano sembrati
affiorare alla prima visione all’uscita.
Quattro-cinque
storie si intrecciano, di disattenzioni coniugali, o dell’amore come abitudine,
e di attenzioni giovanili timide. Che si compongono su un fondo di verità, e di
promesse di felicità. Una ragazza dell’Est prostituta col suo cliente, barone
della Psicologia abbandonato dalla moglie – uno sprovveduto, che si paga mezzora
di conversazione al mese. Una moglie e madre forse colpita da un tumore che per
il marito è un oggetto e per il figlio la donna delle pulizie. Un ragazzo
panettiere a cui la giovane dell’Est toglie il respiro. Una coppia di
ragazzetti che provano i gesti dell’amore. Due amiche che fanno uno, tanto si
vogliono bene – un rapporto tanto più affascinante, forse, perché evita le retoriche
dei “diritti” e del femminismo.
Il
racconto è aiutato da dialoghi parchi, senza sbavature (peccato che la copia
Rai 2 sia semi-intelligibile, poche parole restano del sonoro). Anche nella
disperazione, nella scoperta dell’inesistenza. E dalle immagini, altrettanto
semplici. Si direbbero di scuola: due facce il più spesso dialoganti. Però
significanti, in ogni taglio e sotto ogni illuminazione, per la scelta ben
caibrata dei visi, Bentivoglio, Ronchi (premiata per questo ai David come
miglior attrice del 2022), la cantante Thony, e i tanti debuttanti, specie
quelli che hanno molte pose, Tesa Litvan, la ragazza prostituta, e i ragazzetti
Margherita Rebeggiani e Luca Nizzoli, che recitano da veterani.
Soggettista
e sceneggiatrice, oltre che regista, Giulia Steigerwalt, già attrice di
Muccino, De Biasi, Fragnelli, si è consacrata al primo film col David di
Donatello.
Giulia
Steigerwalt, Settembre, Rai 2,
Raiplay
Le
stazioni di servizio fai-da-te in autostrada impegnano la carta di credito per
l’ammontare massimo “autorizzato” del rifornimento, che poi addebitano, in
attesa di “contabilizzazione” (di addebito o stralcio definitivo), insieme col
costo esatto del rifornimento. La “contabilizzazione” può durare fino a venti giorni- durata che il gestore volentieri si prende con comodo - durante i quali la spesa massima “autorizzata” è
sottratta al plafond della carta di
credito. Due viaggi in autostrada andata e ritorno nelle due settimane, da Roma
a Milano per esempio, e viceversa, possono così impegnare 500-600 euro, non
spendibili.
Non
è il solo arbitrio dei gestori delle pompe, o dei gestori delle carte, Visa, Mastercard,
Poste, etc. Bisogna anche vigilare, perché (è successo) la spesa autorizzata
viene in qualche recesso “contabilizzata” a danno dell’utente, anche se non utilizzata,
e in quel caso il recupero del non speso è arduo.
È semplice arretratezza tecnica,
del sistema di pagamento? Ci sono interessi delle carte di credito (valuta)? delle
banche (id.)? Ma le banche e\o i circuiti di pagamento non ci rimettono,
riducendo la disponibilità di debito?
Gli esercenti, 800 mila quelli residui
secondo l’Istat, sono stati gravati, in occasione del rinnovo della lotteria degli
scontrini, di una tassa di 160 euro per l’uso, obbligatorio, del pos, del terminale
per le carte. La lotteria non si sa se funziona – è farraginosa. Ma ha dato un
gettito di un miliardo, più o meno. A nessuno “scopo” dichiarato e contrario
all’equità fiscale. Una imposizione – di un governo, si può aggiungere, votato
anche perché prometteva di non mettere “le mani in tasca”. Naturalmente la
tassa degli esercenti la pagano i consumatori, nel calderone “inflazione”.
A Roma i vigili urbani del Gruppo
XII, Monteverde, e del Gruppo I, Prati, non si vedono mai, nemmeno per caso, in
Via Carini o Fonteiana, o in via Cola di Rienzo. Dove si parcheggia in doppia fila,
da entrambi i lati, creando anche problemi ai mezzi pubblici. E cosa fanno nelle
sei ore di lavoro ? Escono a coppie, due ore. Per le vie più recondite dei due
quartieri. A dispensare multe. Sempre alte, il massimo possibile: non divieto
di sosta ma sosta sull’attraversamento pedonale, anche di centimetri, o in prossimità
d’incrocio. Dai novanta euro in su. Non molte, quattro o cinque – se la coppia
è affiatata ha anche il tempo di un caffè. In un certo senso si guadagnano la
giornata.
È anche invidiabile – ammirevole?
– la leggerezza con cui questi vigili dispensano il massimo possibile delle
multe per nessun reato. È possibile, si vede, che il denaro non abbia valore.
Un
racconto semplice, di una vita semplice, di tre vite semplici, marito, moglie,
figlia quindicenne. . Un mondo “normale”, di garbo e simpatia. Finché non arriva
l’infatuazione della figlia. Da parte di un ragazzo forse afflitto da turbe, cattive.
E violenze si scatenano. Un quadro di innocente domesticità che un primo amore “malato”
distrugge. Rifiutato, il ragazzo decide di vendcarsi. La decisione implica contro
vendette.
La
sintesi è di un film truculento. Ma è un film delicato e inquietante. Di buoni
sentimenti, buonissimi, gioiosi, pieni di luce, che degenerano in tormento, in
violenza. Non sul piano psicologico, di persone con proprie turbe, ma sociologico,
di modi di essere e di reagire, di rapportarsi. Un senso di morbosità,
distruttiva. Di cui De Matteo, il regista di “La bella gente”, ha fatto la sua cifra,
che inquieta invece di commuovere: facciamo il male per volere il bene? Ma lo racconta
come di un padre con una figlia adolescente, che teme le peggiori cose – qualsiasi
cosa possa capitare alla sua bella figlia è distruttivo. Soprattutto per la grazia
fresca della debuttante Greta Gasbarri, la figlia, che dà freschezza e sorriso
là dove ora le cronache si fanno immaginare la violenza in agguato, solo in città,
o con le amiche, in discoteca, la notte, l’alba.
Ivano
De Matteo, Mia, Sky Cinema
zeulig
Bigottismo –
È laico – puritano. Aprendo il diario “Quasi una vita” nel 1937, lo scrittore Alvaro
lo nota a proposito dell’Italia: “La morale laica è stata introdotto in Italia,
e forse non soltanto in Italia, dal liberalismo e dal socialismo. Nel
cattolicesimo non c’era bigottismo, e vi si è insinuato da quando le fedi
laiche hanno operato nella società”.
Darwinismo sociale –
Quello storico, canonizzato da Herbert Spencer, è morto – è considerato morto,
sotto la spinta novecentesca della rivoluzione, del mutamento radicale,
dell’utopia sociale, della costruzione invece dell’evoluzione. Ma di fatto persiste
e anzi s’impone, sotto la forma della psicologia, della psicoterapia. Resta
introiettata l’idea che per vivere bisogna lottare. E che bisogna lottare per moduli vincenti, ora detti
“corretti”. Per canoni, impositivi anche se mutevoli – impositivi per tutti nel
momento in cui vigono. Di apparenza fisica, o anche sostanza fisica, oltre che
di linguaggio e portamento. In famiglia, a scuola, in società (lavoro,
relazioni, comunicazione).
In
realtà la richiesta è di lottare per l’uniformità. Per dei canoni, che si vogliono
terapeutici o scientifici – sperimentati oltre che argomentati. Di fatto, trattandosi
di comportamenti, per il conformismo. A modi ideali che sono solo modi di
essere, mode, sistemi transeunti, di poteri flebili e labili – insinuanti e
dominanti su una debolezza di fondo, che il darwinismo psicologico ha indotto.
Ribaltando quella che si può dire la sostanza umana, la tradizione, la fede –
la cultura.
Darwinismo
sociale si vuole “il” progresso. E in teoria va in una col liberalismo, quindi
con l’individualismo. Ma verso l’inconsistenza – un adattamento minuto, costante,
distruttivo? E eterodiretto.
Falso –
Adrià, lo chef per eccellenza. Il prototipo
degli chef, di questi decenni di foodmania, dice alla fine che cucinare non gli piace. Lo dice per
un “ritorno di fiamma” sull’attualità, quindi sul suo business – è da qualche tempo che non faceva più i titoli. Ma è in
effetti una strana mania, quella del “gusto”, che si accoppia al fashion e al social (influencer promoter,
tiktoker…): un mondo di pubblicità senza sostanza. Se nessuno più cucina in
casa, e i ristoranti vendono precotti. Un’epoca del falso.
Viviamo
gioiosamente, in mezzo a guerre, inflazione, inverni demografici, migrazioni
violente. Il falso è il meno – o è il
tutto?
Fede – È immedesimazione,
un’appropriazione. È l’ipotesi che lo scrittore e naturalista scozzese Patrick
Brydone, libero pensatore professo, fa nel 1770, coinvolto, in quanto
viaggiatore curioso, nelle feste
religiose siciliane, in quelle semplici di paese, e nella fantasmagoria di Santa Rosalia a
Palermo, rilevando “l’ardore e l’affetto che animavano i volti dei fedeli”. Una
forma di amore, “una gioia perfettissima, che rassomiglia forse ai sentimenti
puri e delicati che si accompagnano a un amore devotissimo”. Che poi diventa un
cuore “corazzato e temprato fino a diventare impenetrabile ala fiamma della
filosofia”, della riflessione. Perché è parte di se stessi.
Brydone continua la
riflessione con un caso che gli aveva raccontato il celebre dottor Tissot,
svizzero, celebre come “principe dei medici e medico dei principi”, studioso
dell’onanismo e dell’epilessia: “Ricordo che il dottor Tissot mi disse di avere
avuto un paziente che morì di amore per Cristo, letteralmente, e anche negli
ultimi momenti sembrava godere di una felicità infinita”.
Una fede, questa
“forma di venerazione personale, che ha
bisogno di esprimersi materialmente, nei gesti, nelle parole, “di un oggetto su
cui concentrarsi coi sensi”. Del resto, concludeva, anche “gli scrittori sacri…
spesso rappresentano Dio sotto forme materiali”.
Filosofia tedesca – Georg Christoph Lichtenberg,
professore di Fisica a Gottinga, l’università dei “primati”, e uomo di mondo, poteva
concludere precocemente, attorno al 1780, in uno degli aforismi per cui è
rimasto famoso: “Appena si comincia e vedere tutto nel tutto si diventa in
genere oscuri”. Il barone fisico sapeva già che ci sarebbe stata la “filosofia
tedesca” per un secolo e mezzo e oltre, dal trio dello Stift di Tubinga a
Heidegger, intraducibile per essere inafferrabile.
Il barone però
era indulgente: della lingua del Tutto diceva che “si comincia cioè a parlare
la lingua degli angeli”. Messianica? Un mormorio?
Spinoza – Del filosofo della natura naturans Flaubert, che molto lo aveva letto e amato, scriveva nel
novembre 1879: “Questo ateo è stato,
secondo me, il più religioso degli uomini, poiché non ammetteva che Dio”.
Anche Goethe ne
aveva scritto a Jacobi in termini analoghi: “Vorrei, quanto a me, fargli
credito del nome di theissimus e christianissimus”.
Viaggio – È un “volo poetico”, perlomeno nell’armamentario
della poesia simbolista. È riflessione di
Carlo Emilio Gadda, scrittore farfallone, nel saggio “I viaggi la morte”, una
delle sue prime pubblicazioni, sulla rivista “Solaria” nel 1927 (ore nel volume
dallo stesso titolo): “Il viaggio, rivissuto o immaginato come fine a se
stesso, conferisce alla vita una tonalità ariostesca o disetica, così come fa
nei riguardi della poesia la «migrazione estetica» del simbolista, insofferente
di ogni adagiamento realistico dell’espressione”.
Con esiti metafisici: “Viaggiatori e simbolisti amano
adibire l’esperienza a catalogo per la serie indefinita delle differenziazioni
spaziali; e poi che, così praticando, la loro aisthesis si rivolge con
preferenza a questa serie spaziale, essi ne accentuano intensamente il motivo
lirico più alto, cioè la sua sognata infinità. Essi vorrebbero rifiutarsi di credere
che, come ci è dato vivere un breve tempo (scongiuri), così ci è dato
percorrere un breve spazio: auspicano perciò al loro protagonista una sorta di
immortalità spaziale, un al di là topografico ove abbia corso la esperienza
ulteriore, infinita”.
Ma questo è della poesia non solo simbolista. È della
creatività in generale. Di cui il “viaggio”, alla maniera di Baudelaire, del
“Bateau ivre” di Rimbaud, è motivazionalmente non meno di chi comunque parte non obbligato, per sua curiosità.
zeulig@antiit.eu
Un
titolo non camilleriano per l’ultimo episodio ancora “sironiano” della serie. Ma
non fa niemte: all’ennesima riproposta la serie tiene ancora le posizioni, lo
spettacolo che sempre gli spettatori preferiscono - anche se con una platea ora
ridotta, da due spettatori su cinque a uno su cinque. Che sia l’ultimo episodio
diretto da Alberto Sironi – poi “completato” da Zingaretti (per i dialoghi di raccordo
delle varie scene) – questo invece si vede.
Questo
curioso passaggio a quattro mani, per la morte di Sironi – oscurata da quella
di Camilleri due settimane rima - conferma la prima impressione: i “Montalbano”
in tv sono certamente basati sui personaggi e le trovate di Camilleri, ma sono
opera di Sironi. Tutto ciò che fa il successo duraturo della serie è opera del regista,
qualsiasi lettore di Camilleri vede la differenza: gli interni per un qualche
motivo sempre affascinanti, gli esterni leggiadri, da favola, e i personaggi
(le facce, il fisico, la dizione). Scelti uno per uno, con caratterizzazioni per
qualche verso interessanti, mai scontate - scelti nella grande tribù dei
teatranti siciliani. In linea con la migliore tradizione dei film seriali in TV, quella inglese, dei Poirot, Miss Marple, Barnaby, Morse, etc., che si continua a rivedere con gusto, in repliche interminabili.
Sironi-Zingaretti,
Salvo amato, Livia mia, Rai 1
spock
All’inizio era Hamas?
Se vuoi la pace fai la guerra?
A ogni azione corrisponde sempre una reazione uguale e contraria, Newton?.
“Zerocalcare neppure si rende conto di somigliare ad
Hamas”, Francesco Merlo?
Zerocalcare è un cretino, l’eroe di tante pagine e
supplementi del giornale di Merlo?
Ma la guerra è una partita di calcio, che si tifa e dopo
due ore finisce?
È la guerra tutta fake
news, propaganda – conta il tifo?
spock@antiit.eu
Dopo
quello sui migranti dalla Nigeria a “Roma”, via Niger, compreso il traffico di
prostitute, documentato un paio d’anni fa dalla stessa rivista, un altro
documento che non abbiamo mai letto nelle pur sovraeccitate cronache della
disperazione dei media italiani – nessuno si avventura in Africa, che pre non dista molto. Il traffico
di migranti dall’East Africa, qui dall’Eritrea e l’Etiopia attraverso il Sudan
e la Libia verso l’Italia - un reportage di otto mesi di inchiesta. Quella parte di esso, la più remunerativa,
organizzata da un Kidane, un piccolo malvivente eritreo senza mestiere che
poco alla volta è diventato un ras della tratta, avidissimo (molto organizzato
in tutte le tappe della traversata, a ognuna rincarando la psta, e con le
famiglie a casa) e brutale. Da Dubai, dove ora banchetta. Con
un’organizzazione che dire mafia è poco.
Curioso
cha la parte iniziale del reportage sembra il soggetto del film di Garrone, “Io,
capitano”, sulle avventure di due giovani amici per la pelle, solo eritrei
invece che senegalesi. Nelle stesse
tratte, gli stessi luoghi in Libia, gli stessi maltrattamenti, con la sola
sostituzione del Sudan al Niger, la tappa degli orrori intermedia. In Libia luoghi e personaggi, anche le scene, sono gli stessi. Garrone conosceva la storia di Kidane. Non ne aveva bisogno, la storia è quella, da venti e più anni ormai.
Ed
Caesar, The Kingpin who kidnapped
migrants for ransom, “The New Yorker”, free online
Era un guerra, si è potuto dire
subito, il 7 ottobre, non un atto di terrorismo. E ora è chiaro che Israele l’ha
perduta, una certa Israele.
Con Hamas e senza ci sarà uno Stato
palestinese. E questo Stato sarà in Cisgiordania, con mezza Gerusalemme (uno
spicchio, quello che la superfetazione israeliana ha lasciato agli arabi). La
colonizzazione – l’annessione di fatto – portata avanti da Netanyahu nei suoi
venticinque anni di governo andava contro le risoluzioni dell’Onu, e avrà ora
problemi con gli Stati Uniti – con la politica americana di riconquista della
sussidiarietà araba, dopo la confrontation
mitigata degli anni di Obama (di Hillary Clinton) e di Trump.
Sul piano militare non c’è solo l’attacco
a sorpresa del 7 ottobre e la catastrofe del Mossad, l’orgoglio d’Israele, del
sionismo nel mondo - e la intelligence
per antonomasia di miriadi di romanzi. C’è il disagio di aviazione e mezzi
corazzati a combattere un fronte inesistente, solo civili ammassati, peraltro
profughi, cacciati da Israele. A distruggere cioè, ma senza conquistare.
Con la colonizzazione va in crisi
anche l’Israele confessionale e razzista che vi si è accompagnata nel
Millennio? Non necessariamente – e questo spiega il mancato cambiamento
politico a Tel Aviv dopo il 7 ottobre: la divisione, oggi, favorirebbe questa
“nuova Israele”.
Non ha lasciato buona traccia
all’Ivass, che a lungo ha presieduto: troppe porte girevoli tra l’istituto di
sorveglianza delle assicurazioni e le assicurazioni stesse, e comunque l’assicurazione
“ha sempre ragione”, l’assicurato se ne “faccia ragione”. Ma in Banca d’Italia
è stato un altro, già da vice-direttore, quindi da una dozzina d’anni: interventista,
e diretto.
Si ricorda da ultimo per le critiche
alle politiche anti-inflazione della Banca centrale europea, del tipo “buttare
il bambino con l’acqua sporca”, dentro e fuori del consiglio ristretto (Comitato
esecutivo) di cui era membro. Ma lo è stato già in più occasioni da vice-direttore
generale – scuola Draghi, si direbbe, tutto l’opposto del governatore uscente
Visco. Ed è quello con più esperienza di mondo, e che più ha spiegato, e con
precisione, l’ìnspiegato dei media italiani nell’era Draghi alla Bce: dai
salvataggi bancari al famoso bail-in,
agli stress test, curiosamente
modulati a Francoforte su criteri diversi a seconda della nazionalità delle
banche.
Con un terzo degli aiuti tedeschi
alle banche “avremmo avuto un surplus di 77 miliardi”, irruppe sardonico quando
Eurostat tardivamente (molto tardivamente) ha reso noto l’ordine di grandezza
dei salvataggi pubblici, cioè nazionali (i deprecati “aiuti di Stato”) delle
banche dopo il 2008.
Il 20 ottobre 2015 alla
Commissione Finanze della Camera dettagliava: “Le inefficienze nelle ordinarie procedure
di gestione dei dissesti bancari… negli anni scorsi hanno costretto numerosi
paesi, sia in Europa sia a livello globale, a destinare risorse pubbliche
ingenti in favore di banche in difficoltà. Voglio sottolineare che l’Italia non
è tra quei paesi, nonostante l’evoluzione assai sfavorevole della nostra
economia negli anni scorsi. In base ai dati pubblicati sia dall’istituto di
statistica europeo (Eurostat) sia dalla Bce, da noi gli interventi pubblici sul
mercato del credito non hanno generato costi per lo Stato, ma un flusso, pur
contenuto, di ricavi netti positivi sotto forma di interessi e commissioni. Al
contrario, in molti paesi esteri gli interventi dello Stato a sostegno del
sistema bancario hanno determinato per la finanza pubblica e per i cittadini
oneri assai cospicui, pari al 5,0 per cento del pil in Spagna, al 5,5 nei Paesi
Bassi, all’8,2 in Germania, a oltre il 22 in Grecia e in Irlanda. Il volume dei
trasferimenti in favore delle banche è stato assai elevato anche negli Stati Uniti
e nel Regno Unito. A titolo di esempio, è possibile calcolare che se in Italia
fossero stati effettuati interventi in rapporto al pil pari a quelli della
Germania, l’onere a carico delle nostre finanze pubbliche sarebbe ammontato a
130 miliardi di euro”. Cifra paperoniana.
E così era stato. Le banche europee si
sono salvate con robuste iniezioni di capitale pubblico. Quelle tedesche si
sono salvate come quelle anglo-americane, con nazionalizzazioni mascherate. Con
soldi pubblici cioè regalati alle banche private. Contro ogni divieto di aiuti
di Stato. Che per l’occasione “Bruxelles” si è dimenticata di applicare – senza
contare l’uso dei fondi europei, molto maggiore.
Gli interventi pubblici si sono avuti in
questo ordine per dimensione: Germania 250 miliardi, Spagna 60, Irlanda 50,
Olanda 50, Grecia 40, Belgio 19, Austria 19, Portogallo 18. L’Italia viene
ultima con 4 miliardi.
L’intervento di Panetta in
Commissione alla Camera era al
seminario sull’applicazione delle nuove normative in caso di crisi bancarie: per
primi pagano azionisti e correntisti – il cosiddetto bail-in. La misura, imputata alla Bri, a Basilea, era invece della
Bce di Draghi – che è stata discriminatoria, questo si dimentica – e acclamata
al Parlamento europeo e nei media italiani come giusta misura anti-capitalista.
Bene, solo l’Italia ha applicato il bail-in,
rovinando qualche milione di risparmiatori, senza salvare le banche - le banche
del Centro-Italia, Mps incluso, e le le venete. Ma Panetta aveva ben avvertito:
“Non sanno di che si sta parlando”.
Il 2015 è anche l’anno degli stress test bancari, gestiti
dalla Bce sempre di Mario Draghi, anche se la titolare era una piccola francese
paratedesca, di nome Nouy. Stress test discriminatori,
soprattutto per Unicredit e Mps.
Fu un esercizio dichiaratamente anti-italiano, al
punto che il 2 febbraio Panetta non esitò a denunciarlo: “Il disegno dello stress test europeo aveva
caratteristiche che svantaggiavano le banche italiane. Lo abbiamo messo agli
atti in Bce durante la preparazione dell’esercizio”. Peggio: “Non si può
pensare di risolvere i problemi aumentando in modo continuo, indiscriminato ed
eccessivo i requisiti di capitale, frenando ancora l’offerta di credito”.
Tenendo le banche cioè, alcune banche, le banche italiane, sempre sulla corda,
magari col solito ritornello delle “riforme”.
“Indiscriminato” ed
“eccessivo”, che sembrano parole forti, invece non dicevano tutto. E cioè che
non si tratta di un errore di metodo ma di uno strumento di attacco alle banche
italiane. Per il business delle merger &
acquisitions probabilmente, non per altro. Profumo e Viola, allora a
capo di Mps, non erano ancora tornati da Francoforte a Siena, dopo le
ramanzine, e non avevano riferito in consiglio e al management Mps, che
“Londra” sapeva già tutto e apprestava l’attacco alla banca. Quando non bastò,
in estate, la Bce si espose a silurare pubblicamente il Monte dei Paschi.
Impensabile, se non fosse avvenuto: non s’è mai visto una banca centrale che dica al mondo che una
banca – peraltro in discrete condizioni – è al fallimento. La Bce l’ha fatto.
Agli stress test di fine
2015 Deutsche Bank poté beneficiare di una plusvalenza di 4 miliardi di euro
per una cessione che dopo dieci mesi ancora non aveva completato. Sembra
fantascienza ma è quello che è accaduto. Mentre altre banche non hanno potuto
contabilizzare plusvalenze già incassate. Perché l’iter non era stato
perfezionato formalmente.
Ma non c’è solo la Bce di Draghi. Panetta è un governatore che
potrebbe anche dire che il re è nudo, giacché lo è. “Un paese dove il recupero dei crediti
richiede fino a quindici anni”, è altra sua considerazione ribadita, più
cattiva che disperata. Ma forse, questa, nemmeno cattiva: tutti sanno, da molti
anni, che fino a 200 mila euro di credito è meglio non fare causa, bisogna
accontentarsi del poco che entra. Per favorire gli affari?
(fine)
Un
“manuale” per diventare fascisti? Ovvio che l’assunto è ironico. Senonché
questa riedizione (questo sito ha già recensito il volumetto all’uscita: http://www.antiit.com/2018/11/la-ricerca-del-fascismo-che-non-ce.html) porta in copertina una vignetta di Biani che dice: “Fascista è chi il fascista
fa”. Che è inquietante – inquietante dare lezioni, sarcastiche, di fascismo.
Michela
Murgia, Istruzioni per diventare
fascisti, “la Repubblica”, pp. 101 €9,90
Non ha lasciato buona traccia
all’Ivass, che ha presieduto: troppe porte girevoli tra l’istituto di
sorveglianza delle assicurazioni e le assicurazioni stesse, e comunque l’assicurazione
“ha sempre ragione”, l’assicurato se ne “faccia ragione”. Ma in Banca d’Italia
è stato un altro, già da vice-direttore, quindi da una dozzina d’anni: interventista,
e diretto.
Si ricorda da ultimo per le
critiche alle politiche restrittive della Banca centrale europea, del cui consiglio
ristretto (Comitato esecutivo) era membro. Ma lo è stato già in più occasioni da
vice-direttore generale – scuola Draghi, si direbbe, tutto l’opposto del
governatore uscente Visco. Ed è quello con più esperienza
di mondo, e quello che più ha spiegato, e con precisione, l’ìnspiegato dei media
italiani, dai salvataggi bancari al famoso bail-in,
agli stress test, curiosamente modulati
a Francoforte su criteri diversi a seconda della nazionalità delle banche.
(continua)
Esaurita la spinta della
liberalizzazione del lavoro, le leggi Hartz del 2004-2005, la Germania ritorna
il “malato d’Europa”. Non propriamente. Non ha i cinque milioni di disoccuapti
d’inizio millennio. E va in recessione ufficialmente per la debolezza dei
consumi e dei servizi. Ma di fatto è in ristagno anche come fabbrica. E la
debolezza dei consumi è da correlarsi alla liberalizzazione del lavoro, al ristagno-debolezza
del reddito medio.
Pesa sulla Germania anche la
guerra in Ucraina. Che ha bloccato il rapporto speciale con la Russia, di cui
la Germania era il partner maggiore – rapporto che non potrà più essere
ristabilito nel futuro prevedibile. E ha indebolito l’Est europeo oltre che la
stessa Ucraina, di cui la Germania era ed è sempre il primo partner.
Un privilegio curiosamente
svanito è pure il mercantilismo del quindicennio Merkel. Che la Germania poté esercitare liberamente su Bruxelles, e su Francoforte (negli anni di Draghi).
Sulle politiche di bilancio e sugli aiuti pubblici (all’industria, alle banche),
mentre si imponevano vincoli più stringenti ad altri paesi, tra essi l’Italia.
Perfino gli stress test bancari erano
laschi per le banche tedesche e specialmente arcigni per quelle italiane,
Unicredit, Mps. Senza contare gli attacchi polemici sul debito e sulle banche
italiane - un abominio nelle politiche monetarie, che vogliono riservatezza -
del presidente merkeliano della Bundesbank, il suo giovane d’ufficio
Weidmann.
Non si ricorda ma è esistito
prima del covid un controllo tedesco delle banche, dopo l’introduzione del bail-in. Un meccanismo adottato ufficialmente
dalla Bri, a Basilea, ma di fatto a Francoforte, alla Bce di Draghi: le banche in
crisi si finanziano a spese degli azionisti, degli obbligazionisti, e dei correntisti
con più di 100 mila euro di liquidità.
Il bail-in, voluto dala Bundesbank di Merkel, fu imposto alle banche centro-italiane, Mps compreso, e alle banche
venete. Mentre Nordbank in Germania, e altre banche statali, venivano salvate
dal governo Merkel, coi proibitisismi “aiuti di Stato”.
Per controllare che (in Italia)
venisse applicato il bail-in
Bruxelles creò una Commissione europea di risoluzione, cui demandare i
fallimenti e i bail-in. Sotto la
presidenza di Elke König, manager merkeliana dei mercati finanziari –
presiedeva la Consob tedesca.
Il
racconto della disattenzione, dell’amato-per-sempre. Che pure a lei deve tutto,
la ricchezza e la posizione. Ogni episodio un nuovo dolore. Fino al rifiuto
della nuova gravidanza, fortuita ma da lei presa come il segno di una
rinascita. Dopodiché scatta la rivolta. A tutto campo, femmine contro maschi, a
buon diritto – “quasi tutte le donne
sono ferite di guerra, in un modo o nell’altro”. E una lunga vendetta, anche
molto cattiva. Con esagerazioni di ogni tipo, anche un omcidio “a fin di bene”.
Läckberg
si scatena, non ci sono tabù, tutto è permesso. Tanto più che la mano è
leggera, veloce. Con molti tributi anche ai fedeli lettori latini, in Italia
(prosecco, ragù bolognese – Läckberg è anche cuoca – e tutto il made in Italy
del lusso) e Spagna (il “cava” preferito).
L’abbandono
è progressivo. Accentuato dall’intermissione del ricordo, sotto forma di vecchio
diario, della ragazza che fu, vittima di un padre ubriacone e manesco. Da qui
l’attaccamento al marito, l’innamorato-per-sempre. La vendetta è veloce,
vertiginosa. Acccrescono la tristezza gli intermezzi di sesso, ogni paio di
pagine, in ogni luogo (anche al cinema, a Stoccolma) e in tutte le posizioni,
con chiunque. Azionato da lei, per desiderio o per disperazione.
Questo
è curioso. È un modo per dare corda allo stereotipo latino della svedese? È un
eccesso probabilmente editoriale: prima del covid andava molto il tentativo di
sdoganare il porno in letteratura, il sesso esplicito, per sé, alla Edmund
White. In parallelo col boom del cibo,
dell’alimentazione, della dieta, che ricorre anche qui: le calorie, i
grassi, i gonfiori, e celluliti, il botulino - Läckberg nelle sue tante
attività è anche chef riconosciuta, autrice di libri di cucina di culto.
Il
primo dei romanzi del ciclo “Faye”, la protagonista, fortunata e sfortunata.
Con molte eresie del “modello svedese”: appartmenti da 450 mq, ville al mare da
670 mq, “con spiaggia sabbiosa e pontili privati”. Con molte aperture ai
lettori latini. Italiani: tutti, più o meno, i marchi, più il prosecco e gli
spaghetti alla bolognese – “insuperabili” quelli di Faye. E spagnoli: la gita
d’obbligo a Barcellona, il “cava”. Più che una scrittrice, un marchio, molto
produttivo: Läckberg, cinquant’anno l’anno prossimo, quattro figli e alcuni
mariti, è attiva nella finanza e nella gioielleria, autrice di mezza dozzina di
serie giallo-noir, di canzoni di successo, di libri di ricette, editrice
musicale, presentatrice televisiva, sceneggiatrice.
Camilla
Läckberg, La gabbia dorata,
Marsilio, pp. 410 € 5.90
Il
ministro israeliano che voleva l’atomica su Gaza viene dimissionato per le
proteste dei familiari degli ostaggi di Hamas. Non per altri motivi?
Israele
ha l’atomica?
Corrado
Passera rievoca con Bricco sul “Sole 24 Ore” quando Ciampi, ministro del Tesoro,
lo chiamò a gestire le Poste: “Non c’era un bilancio vero e proprio. L’azienda
era in mano alla «vecchia» Cisl e ai politici di turno. E l’allora Pds cercava
spazi al suo interno. I capi del sindacato mi presentarono quello che loro
stessi chiamarono «il foglietto», cioè un elenco di nomi da promuovere. Io lo
feci cadere nel cestino. Si imbufalirono e dichiararono trenta giorni di
sciopero. Non appena misi mano alle forniture , cominciarono le lettere con
minacce di morte, con allegate pallottole”. Succedeva nel 1997.
“Si
sdegna Edith Bruck: “Sui migranti ho cambiato idea: non possiamo accogliere
quelli che odiano gli ebrei”. Cioè il 90 pe cento, o giù di lì, dei migranti?
L’immigrazione è un fatto, stabile, non passeggero. Andrebbe ragionata.
Inflazione
e tassi alti – durevoli, si preannuncia un ciclo nuovo, del denaro caro: si
penserebbero le banche in difficoltà, meno attività, minori utili. E invece
Intesa dopo Unicredit preannuncia il bilancio migliore di molti anni. Si
penserebbe la banca, la banca moderna, anticiclica, che agevola il credito in tempi difficili, eccetera. E
invece è la banca di sempre: più alti gli interessi, meglio mi sento – gli
insoluti? qualcuno pagherà.
Putin
revoca la ratifica del trattato 1996 per la messa al bando degli esperimenti
nucleari. Solo la Russia lo aveva ratificato, gli Stati Uniti no. E nemmeno la
Cina.
310
milioni del bilancio pubblico aspettano dal 2019 di essere utilizzati da
imprese e Comuni per l’efficientamento energetico, per la riduzione dei consumi
e dell’inquinamento da fonti d energia. Ne è stato utilizzato un centesimo,
meno di tre milioni, 2,9. La transizione c’è, ma verso cosa?
Cazzullo
deve rassicurare i lettori de “Corriere della sera”: i Palestinesi sono umani,
nei “campi profughi” non c’è solo odio , c’è anche “cultura e speranza”.
Provincialismo, sotto i buoni sentimenti. È la superiorità dei poveri, di spirito.
Era quello che ci diceva dei “boveri negri” in Sud Africa sessanta e cinquant’anni
fa: sono buoni da mangiare.
Ma
perché i Palestinesi stanno nei campi profughi? Boh.
Il
“Corriere della sera” ricorda anche il capitano Orde Wingate , il solito eroe
della propaganda di guerra britannica, che “insegnò agli ebrei a combattere i
palestinesi”, e Israele onora con vie, piazze e centri sportivi. Mentre non era
un eroe ma solo un sergente di ferro e un razzista: odiava gli arabi - lavorò
per Israele in odio agli arabi.
Si
sbeffeggia Soumahoro parlamentare di sinistra e di estrema sinistra, sindacalista
dei lavoratori africani, che nei suoi “centri di accoglienza” li sfruttava. Ma
era sociologo del lavoro, sindacalista di Base, e scrittore esimio - si
ricordano suoi interventi molto ben argomentati e scritti anche sul “Sole 24
Ore”. Forse va ricordato che l’Africa è matriarcale, l’uomo in Africa è solo un
fuco: non si riesce a credere a un Soumahoro, sociologo, navigato, vittima di
moglie e suocera, ma l’Africa è delle donne.
Andava
di corsa il Procuratore Chiné della legge del calcio ed è inciampato: il giudice
sportivo gli ha
bocciato la squalifica. Semplicemente, guardando la televisione. Di un
giocatore della Juventus – lui
è procuratore anti-Juventus. Il “sistema” balla? La banda si direbbe alla
frutta, dopo avere escluso
l’Italia da due Mondiali (impensabile), e ora mettendo a rischio anche
l’Europeo (con la Macedonia
del Nord, di nuovo…). Ma come fa una gestione così fallimentare a tenersi in
piedi, solo
perché Galliani e Lotito lo vogliono (Gravina è un cache-sex)? Come funziona il calcio?
Capita
una serata di martedì vuota di sbattere su un talk-show, il più venerando dei
salotti politici, “Di martedi”, dopo molti
anni, dai tempi di Crozza, e di trovarlo immutato. Tale e quale come era. Vari salotti, tutti della sinistra, pariolina,
tutti compresi della propria superiorità, che sorridono benigni, mentre Floris
si incarica di fargli vincere i duelli senza duellare, togliendo e dando la
parola, cambiando brusco tema se le cose si mettono male. Ed è un programma di
successo. C’è una sinistra che non la finisce di congratularsi con se stessa.
Il
direttore belga, francofono, dell’università Europea di Fiesole non vuole che
sia più pronunciata la parola Natale – si può dire “Festa di fine anno” oppure
“Festa d’inverno”. È curioso che la massoneria sia ancora anti-cristiana – il
Belgio francofono è massone. L’unica differenza è che una volta veniva ritenuta
d’influenza ebraica, ora invece islamica. Cosa è cambiato, i soldi della penisola
arabica pesano di più?
L’ascesa
all’Etna, dichiara in apertura Vittorio Frosini, il fine filosofo del diritto
che il volume ha voluto riedito, noto collaboratore per decenni dell’“Espresso”
in materia saggistica, catanese appassionato, è un tornante nella sensibilità e
nella letteratura. “Di uno dei più suggestivi miti letterari del romanticismo”,
l’ascesa alla “linea di confine tra il mondo infuocato degli inferi e la
celestiale verginità degli aerei spazi”. Di due miti, a quello dell’Etna
accompagnandosi quello della Sicilia, “terra di vulcani, di passioni ardenti,
di straordinari contrasti: un mito, si può ben dire, che dura tuttora”.
Un
viaggio meravigliato attraverso la Sicilia del 1770, malgrado le scomodità di
ogni genere, muli, pagliericci e guardie-briganti. Di interesse, a questo
proposito, pure per la “storia” della mafia: le guardie armate di cui i
referenti locali dei viaggiatori inglesi li dotavano, per i lunghi e
accidentati percorsi a dorso di mulo, massoni di condizione elevata come i
viaggiatori con le commendatizie, erano per lo più briganti convinti a passare
a servizio, minacciosi d’aspetto e dai modi brutali, specie coi contadini e con
ogni altro provveditore del necessario ai viaggiatori – dei grassatori.
Da
Malta solo due lettere su trentotto. Precise e simpatetiche, per il popolino,
arabizzato, e per le fortificazioni. In linea coi disegni britannici all’epoca
sul Mediterraneo. Ma Malta era pur sempre governata dai cavalieri papali, di
cui tocca a Brydone in qualche modo parlare, tanto più che sono con lui
ospitali.
Alcune
lettere, di carattere più naturalistico-scientifico, Frosini riassume in poche
righe. Tra queste purtroppo anche la lettera XI, sull’elettricità: con l’idea
di un parafulmine, allora la grande novità scientifica, sulla testa delle dame,
sulle acconciature montuose. Lichtenberg, che ha letto Brydone all’uscita,
propone in uno dei suoi pensieri sparsi, D 511, di applicarlo alle dame, ma alle
parti basse: “Un parafulmine per la loro…. sarebbe meglio” (“Lichtenberg si
diverte spesso a mettere in relazione l’elettricità e il sesso”, nota il suo
traduttore Anacleto Verrecchia).
Il
racconto di viaggio forse più interessante fra i tanti del Grand Tour, che è
forse l’unico non ristampato. Di uno scrittore scozzese rinomato per la
letteratura di viaggio, e anche come naturalista, membro della Royal Society
britannica delle Scienze. Che fu a Napoli e in Sicilia come
accompagnatore-istitutore di un giovane nobile, il diciassettenne William
Fullerton. Questa edizione, l’unica del dopoguerra, voluta e curata da Frosini,
con moltissime illustrazioni d’epoca, risale al 1968. Fu giustamente famosa
subito, alla prima uscita, in concorrenza col contemporaneo “Viaggio attraverso
la Sicilia e la Magna Grecia” del barone tedesco von Riedesel, pubblicato nel
1770, e due anni dopo già tradotto in francese e in inglese. Il libro di
Brydone, in forma di lettere che via inviava a un immaginario amico londinese,
il cavaliere William Beckford (il vero William Beckford, l’autore di “Vathek”,
era nato appena dieci anni prima del viaggio, nel 1860), uscì a Londra lo
stesso anno della traduzione di von Riedesel, 1772, seguito subito da una
decina di ristampe, e dalla traduzione in tedesco nel 1774 e in francese nel
1775. Solo in italiano non fu tradotto: la prima traduzione è del 1901, a
Messina, la città di cui, dopo Palermo, Brydone fa le più grandi meraviglie.
Singolare
destino del libro, e dello stesso Brydone. Al tempo di questa riedizione, 1968,
di Brydone non si sapeva più nulla, ignorato perfino dalla “Encyclopedia
Britannica”.
Era
noto invece, rileva Frosini, in Italia. Per esempio a Ippolito Pindemonte, che
nel 1779 fece l’ascesa dell’Etna come consigliava Brydone, allo spuntare del
sole. O a D.H.Lawrence, “nei versi immaginosi dell’ode Purple Anemones, ispiratagli da un visita fatta in quei luoghi
durante il suo soggiorno in Sicilia nel 1920”. Swinbrune, che fu a Palermo qualche
anno dopo Brydone, a dicembre 1777, trovò la nobiltà palermitana impermalosita
dal trattamento che aveva avuto da Brydone – l’epopea gattopardesca dei gelati
nasce con Brydone. Ma in Sicilia soprattutto diventò un secolo dopo, nota
ancora Frosini, benché non tradotto (Brydone si meraviglia dei tanti palermitani,
anche non giovani, che parlavano l’inglese: la tappa a Palermo, di cui fu
entusiasta. dice facilitata dal fatto di potere parlare quasi sempre in
inglese), un autore di riferimento per gli “storici dell’isola, da Isidoro La
Lumia a Giuseppe Pitré”, specie per il dettagliatissimo quadro della capitale -
“ha ispirato le loro rievocazioni della vita a Palermo sulla fine del
Settecento… fonte di curiose notizie sulle costumanze della nobiltà
dell’epoca”.
Ma
curiose, si direbbe, per non essere scontate. Come la sua anamnesi di quella
che sarà la mafia, la malvivenza dentro il potere. La libertà delle ragazze,
anche colte, sempre disinvolte, in famiglia e in società. La fede-passione religiosa,
locale, popolare. La conoscenza, appunto,diffusa dell’inglese. L’uso, da
Brydone apprezzatissimo, della “conversazione”: si fa salotto per “conversare”,
e con sollecitudine per tenere compagnia a chi non può muoversi, per infermità
o altro inconveniente.
Molte
le notazioni sorprendenti. Già a Malta, la notte del 29 ottobre 1957, come oggi
in Toscana, una tempesta di acqua e vento “decapitò” l’isola, tetti, mura,
palazzi interi, per “un nuvolone nero che man mano che si avvicinava cambiava
di colore, finché divenne come una massa di fuoco mescolata a fumo nero”, con
“un frastuono spaventoso” - una nave inglese, la prima colpita, “fu fatta a
pezzi in un istante”, etc. ,una tempesta di acqua e vento. È qui la prima
storia di Colapesce, , poi stabilizzata da Croce nelle leggende napoletane. E
la prima del cielo a specchio della terra – del fenomeno ottico poi noto come Fata
Morgana. Con la pesca dei coralli, del pesce spada, del tonno (le tonnare).
Ad
Agrigento, poi prototipo dell’abusivismo distruttivo, si accede per un viale di
agavi americane di due metri, fiorite. E a proposito della Gabrieli, la
cantante (più nota come Gabrielli, Caterina), bravissima e capricciosissima, un
picco trattati sulla voce,: l’apertura della glottide, l’elasticità delle fibre
della gola – senza mai far notare che doveva aver e sui quarant’anni o più.
Tra
le lettere omesse il confronto fra la Sicilia di Omero e quella di Virgilio.
Patrick
Brydone, Viaggio in Sicilia e a Malta –
1770, Longanesi, pp. 29. ril. ill. pp.vv.