sabato 18 novembre 2023
Il debito della Germania e quello dell’Italia, che senso ha
Il ministro tedesco dell’Economia Lindner non vuole un patto di stabilità flessibile, perché preoccupato dal debito italiano. Frena quindi sulla definizione del nuova patto di stabilità, che pure va varato a giorni. Mentre in contemporanea la Corte costituzionale tedesca lo sanziona per aver postato illegalmente 60 miliardi di spesa in debito in “veicoli fuori bilancio”.
Lo sciopero di Landini, che senso ha
Le agenzie di valutazione
confermano il rating dell’Italia e migliorano
l’outlook. Ma “la Repubblica”, il
“Corriere della sera”, un po’ anche “Il Sole 24 Ore”, con ben due specialisti, mantengono le riserve. Che senso ha?
“Guerra dei numerri sullo
sciopero” - “la Repubblica”, “Corriere della
sera”. Mentre si sa che l’adesione spontanea è stata bassissima, dove ognuno la
riscontra, a scuola, nei trasporti. Che senso ha?
Alla manifestazione per lo
sciopero Cgil e Uil, a Piazza del Popolo a Roma, “il leader Cgil Landini attacca sul
premierato”. Uno sciopero contro il premierato, che senso ha?
Il momento culminante della
manifestazione Cgil-Uil a Piazza del Popolo a Roma è stato quando ha voluto parlare
la studentessa Claudia Caporusso, dell’associazione universitaria Sapienza
Futura: fischi e contestazioni. Organizzati dal Pd romano, covo da sempre minaccioso.
La vita rinasce nell'agape
Un
racconto in stato di grazia: la vita povera, orgogliosa (di pregiudizi) e miserevole,
di un mondo senza futuro, alla periferia
di una città deindustrializzata (Durham, Nord-Est estremo delI’Inghilterra, al confine
con la Scozia invece fiorente), di case dall’entrata stretta per difendersi dal
freddo, unico punto d’incontro il pub per la solita birra quotidiana, tra i
compagni e le conversazioni di sempre, si rianima per la collocazione nelle
case disabitate di profughi dalla Siria, donne per lo più con i figli – i mariti
essendo stati uccisi o carcerati seviziati. Dopo la prima reazione di rifiuto, con
le note argomentazioni, la smorta periferia trapassa all’accettazione. Ma, di più,
a un senso ritrovato di comunità. Di umanità.
In
stato di grazia Loach, che considera il film la sua ultima fatica, avviandosi verso
i novant’anni. Grazie al lavoro del “suo” sceneggiatore di sempre, Paul Laverty,
vent’anni di meno. E ai protagonisti che si è scelto, il corpulento Dave Turner,
e la debuttante Ebla Mari, siriana drusa, attrice e regista al suo paese, convincente
ragazza siriana grazie agli occhi verdi e alle sopracciglia nere – gente di mestiere, venendo dal teatro, come usa nella cinematografia inglese, e non dal
Grande Fratello. A tratti perfino emozionante.
Il
miracolo si compie gradualmente, come per decorso naturale. Tra persone che più
non vivevano, da anni, da decenni, se non rimuginando il tempo che fu, e più
volentieri quello dei padri, del “buon tempo antico”. Su uno dei detti del
padre del protagonista, il Turner barista del pub “The old Oak”, “when you eat together you stick together”,
mangiare insieme per restare uniti - che è poi la agape del primo cristianesimo. La cucina è la cura di ogni dolore per le
madri siriane, anche della morte degli uomini lontani, e i locali finiscono per
(ri)scoprirne i benefici. Una iniezione di vita.
Il mono-ambiente, piccolo, comune, si presta alla compassione e alle complicità –
fa fede il film cult dello scrittore Auster, “Smoke”, del tabaccaio a Brooklyn. Ma qui un Loach senza più gli aculei del Diamat scopre - fa scoprire al suo pubblico, un
po’ perplesso – le passioni dentro il precetto (l’abitudine, l’ideologia,
l’inerzia mentale). E il culmine di questo senso ritrovato della comunità
(dell’umanità) proietta nella cattedrale di Durham, il “monumento costruito dai
Normanni, mille anni fa”. Che ingigantisce, maestoso. Senza le deprecazioni
d’uso, il lavoro schiavistico, lo sfruttamento, l’esibizione di ricchezza, optando
per l’elogio, dell’impegno di tanti, della determinazione, della santità del lavoro.
E impreziosisce in finale con una processione, evento “mediterraneo” ma non
fuori posto, simboleggiando l’unità, la comunità.
Ken
Loach, The old Oak
venerdì 17 novembre 2023
La popolazione europea cresce solo con l’immigrazione
Tutta l’Europa di Schengen, i 27
paesi Ue più Norvegia, Svizzera, Islanda e Liechtenstein, ha una popolazione naturale in contrazione. Alcuni hanno
una popolazione residente in calo anche al lordo dell’immigrazione, per prima l’Italia.
I paesi di immigrazione più
antica e stabilizzata registrano però una popolazione stabile in aumento, anche se lieve. Francia, Germania,
Svizzera, Belgio, Olanda, e da qualche anno anche la Norvegia, hano un “saldo naturale”
della popolazione positivo, anche se per numeri marginali, per effetto
dell’immigrazione stabilizzata.
La Gran Bretagna non è censita da
Eurostat in quanto al di fuori della Ue e di Schengen , ma è, in base ai suoni
dati censitari, il paese col più forte aumento demografico nel Millennio, dai
54 milioni del censimento 1991 ai 59 del Duemila, ai circa 68 milioni di oggi.
La Germania segreta di Heidegger, senza gli ebrei
Se
Heidegger era antisemita. Sì, lo era, ma spiritualmente, metafisicamente.
Aborriva inece il razzismo biologico, per molteplici dichiarazioni. Ebbe anche
amanti ebree, va aggiunto, cui rimase attaccato, per di più filosofe, quindi
anche l’antisemitismo metafisico potrebbe essere contestabile – ma è vero che
non leggeva le riflessioni delle amanti, nemmeno di Hannah Arendt lesse mai
niente.
L’ebraismo
(Judentum) Heidegger sanziona insieme con la
meccanizzazione (tecnologia) e con la denazionalizzazione (cosmopolitismo, mondialismo).
E non in sé, come fede o insieme di valori, ma come razza-non-razza, in quanto sprovvista
di domesticità, di luogo e destino comune, di patria o terra natia, e di un
sentito collettivo. Senz’altro è così che Heidegger la pensa. Ma questo
esaurisce il suo problema del Judentum,
che ha voluto riproporre nei “Quaderni neri”, gli appunti organizzati, che ha lasciato
pronti per la pubblicazione?
“Chi
siamo noi?” è quesito che lo accompagna dagli inizi, da prima ancora di “Essere
e tempo”, nota Escudero: “«Essere e tempo» descrive i modi di essere insieme
autentici e inautentici con cui ogni persona realizza la sua storia, identità e
individualità… Una delle parole-chiave nel regno del pensiero di Heidegger, non
sempre visibile, è il «Sé» nelle sue diverse modalità di essere io stesso, te
stesso, noi stessi, essi stessi e voi stessi”. Insomma, il “il sé possiede una
peculiare priorità ontologica”. Da qui il “chi siamo noi”. Che diventa con “Essere
e tempo”, e più ancora con i corsi del
1935 su Hölderlin, in una anche col sentito culturale nazionale, la ricerca del
germanesimo, del Deutschtum. Che
Heidegger svolge attorno al poeta sui temi della patria, della terra, del territorio,
del sangue. Con riferimenti alla nozione di “Germania segreta”, la Germania a
venire, un “luogo comune del romanticismo”, riproposto dopo la Grande Guerra
dal Circolo Stefan George – non solo Hölderlin, “tra gli altri Fichte,
Schiller, Herder, e Heine invocano la grande, misteriosa, nascosta e anonima
Germania a venire”.
Qesto
è indubbio. “Questa segreta Germania spirituale”, può rilevare Escudero, “è
citata apertamente in «L’università tedesca», un discoso del 1934 indirizzato
agli studenti stranieri”. Heidegger vi evoca una Germania in cui, a suo dire, “poeti
e pensatori cerarono un nuovo mondo spirituale nel quale la prevalenza della
natura e i poteri della storia erano ripensati e presentati in una forte unità
nell’essenza dell’assoluto” . Tre specie di grandi spiriti che operarono tra il
1770 e il 1830, sempre nelle parole di Heidegger: “1) La nuova poesia tedesca
(Klopstock, Herder, Goethe, Schiller e i Romantici); 2) la nuova filosofia
tedesca (Kant, Fichte, Schleiermacher, Schelling, Hegel); 3) la nuova politica
tedesca di statisti e soldati prussiani (Freiherr von Stein, Hardenberg,
Humboldt, Gneisenau, e Clausewitz)”.
L’impressione
è netta che, metafisica o non metafisica, Heidegger ce l’aveva con gli ebrei
perché erano i soli in Germania che facevano filosofia nei suoi anni – a cominciare
dal “padre” putativo rinnegato Husserl. I soli, che forse non leggeva anche se suoi
tifosi, ma di cui sapeva l’esistenza, di altra filosofia non degnandosi – solo di
qualche remoto greco classico (l’assenza
di altra filosofia contemporanea, o non tedesca, nella riflessione di Heidegger
è tema ancora vergine, anche se sterminato). Una spiega riduttiva, perfino
banale, ma altre non ce n’è. Per quanto i suoi allievi a distanza s’ingegnino,
non c’è una “metafisica ebraica” da cui Heidegger si distanzia, nei suoi
scritti non si vede e non c’è, mentre c’erano dei filosofi, ebrei di madre, che
gli davano fastidio, anche suoi allievi. In fondo, nei “Quaderni neri” lo dice quasi
esplicito, e anche altrove – dichiarato si direbbe per il suo modo aggrovigliato
di esprimersi: non vuole che altri, che sono quasi soltanto ebrei, s’intromettano,
nella questione dell’essere. Ci saranno stati degli ebrei che non gli erano simpatici,
ma il Judentum che lo ossessiona sono i tanti filosofi
tedeschi ebrei. La Germania “segreta” era tanto più idealizzata perché gli ebrei non s’intromettevano.
Jesùs
Adrián Escudero, “Who are We – the
Germans?” Heidegger on the Germans and
the Jewish People, Academia-edu
giovedì 16 novembre 2023
Letture - 537
letterautore
Corrado Alvaro – Progettava un poema
di diecimila versi, che non portò a termine (e di cui si sono perse le tracce
anche negli inediti?). Ne parla in un’intervista nel 1935, e in due lettere a
Valentino Bompiani, in qualità di editore, nel 1938 e nel 1939.
Autofiction - “Il più bel cielo stellato
ci appare vuoto, se visto attraverso un cannocchiale rovesciato”, Georg
Christoph Lichtenberg, D 469.
Dante – Su
“Dante e l’islam” stabiliva il giusto criterio Umberto Eco in un articolo
su “l’Espresso” il 18 dicembre
2014, un commento alla riedizione Luni della ricerca di Asìn
Palacios. Di cui molto apprezzava l’erudizione, e la “scrittura piacevole”. Eco
dà molto credito a Maria Corti, la filologa di Pavia “che molto si era battuta
per riconoscere la presenza di queste fonti mussulmane nell’opera di Dante”. Ma
dopo avere spiegato l’intrico di conoscenze in quei secoli, malgrado le guerre
tra cristiani e mussulmani. Ed elencato in dettaglio una serie di probabili altre
fonti – oltre quelle, compreso Brunetto Latini che di D ante era stato maestro,
che avevano tradotto o comunque mediato i acconti arabo-mussulmani. Una piccola
parte di “molte visioni medievali, dove si raccontava di visite ai regni dell’oltretomba.
Sono la “Vita di san Macario romano”, il
“Viaggio di tre santi monaci al paradiso terrestre”, la “Visione di Tugdalo”, “sino
alla leggenda del Pozzo di San Patrizio”.
Dio, patria, famiglia – È un
motto mazziniano. Laico – di sinistra?
Manzoni - Fu linguista, di
rara perspicacia, oltre che storico e moralista (filosofo) – e naturalmente
quello per cui è celebrato, poeta, drammaturgo (tragediografo), romanziere. Una
lettera da lui inviata l’11 luglio 1843 allo storico francese Jean-Joseph
Poujoulat che preparava una “Histoire de Saint Augustin”, da Poujoulat pubblicata
in appendice alla prima edizione del libro l’anno successivo, fa chiarezza con
sicuri criteri che “Cassiciacum”, il luogo lombardo dove Agostino si trasferì
con la famiglia da catecumeno cristiano, per prepararsi al battesimo, era l’odierno
Casciago, e non Cassago – come allora si
pretendeva, e si ancora si pretende. Contestato subito da un monsignore della
Biblioteca Ambrosiana, Luigi Braghi, Manzoni scomparve dalla riedizione dello
studio di Poujoulat. Ma la lettera resta –la recupera Gianni Santucci “La
Lettura” di domenica 12: “Difficile credere che la desinenza in ago…, alterazione naturale di acum, abbia potuto sostituirsi a iciacum, facendo sparire una sillaba di
suono così marcato”. Nel passaggio dal latino al volgare, argomenta Manzoni, ago sostituisce acum o agum, iacum o iagum, ma non erode la consonante precedente.
E fa gli esempi, di Biliagum diventata
Bellinzago e non Belago, di Ambrecianum
diventata Imbersago e non Imbrago. Da qui il percorso Cassiciacum-Cassiciago-Cassciago-Casciago:
“Non vi sarebbe stato altro mutamento che la semplice soppressione della i:
cosa abbastanza ordinaria nel milanese”.
Narcisismo - È sigillo dell’epoca,
Willy Pasini. “Diventeremo tutti fluidi?” chiede allo psicoterapeuta Candida
Morvillo sul “Corriere della sera”. Risposta: “Si va in questa direzione, che
non è fluidità ma narcisismo: oggi, conta il desiderio, che parte da Sè,
l’oggetto d’amore è intercambiabile”.
Piacere
–
Quello sessuale è solo naturale, conclude il fisico pensatore Lichtenberg: “La
rete divisoria tra piacere e peccato è così sottile che anche la corrente del lentissimo
sangue di un settantenne può infrangerla. E allora? La natura vuole allora ciò
che non vuole? O la ragione pensa ciò che non può pensare? Follia!” B 334.
“Se la natura non avesse voluto che la
testa desse retta alle esigenze del basso ventre, che bisogno avrebbe avuto di
collegare la testa con il basso ventre?” B323 – “questo, senza fare
propriamente ciò che si chiama peccato, avrebbe potuto satollarsi e accoppiarsi
a sazietà, mentre la testa, senza il corpo, sarebbe stata libera di costruire
sistemi, fare astrazioni e, senza vino e amore, cantare e chiacchierare.
Avvelenando i baci, la natura ha fatto molto peggio dei nemici che, in guerra,
avvelenano le frecce”.
Repubblica ideale – “Nella Repubblica dei dotti ognuno
vuole comandare: non vi sono capi e questo è male. Ogni generale deve per così
dire preparare il piano, montare la guardia, ramazzare e andare a prendere l’acqua.
Nessun vuol dare una mano all’altro”, G.F.Lichtenberg, “Lo scandaglio dell’anima”,
D 483.
Rubens – “Too much meat!” era il commento
anonimo sui muri esterni di una mostra a Anversa -qualche
decennio fa, del pittore ora celebrato a Roma e Mantova, oltre che a Genova -
troppa ciccia. Su”Robinson” Melania Mazzucco ne celebra la ricerca della bellezza
e della classicità, ma in fatto di figure femminili dipinge soprattutto poignets d’amour e celluliti.
Serie tv – Sono il nuovo romanzo popolare per Carlo Verdone, che esemplifica (nella
presentazione al libro di Mario Sesti, “Le 250 serie tv da non perdere”) citando
“I Soprano”, “Mad Men” o “Il trono di spade”, e li appaia a Dickens. Altrettanto
fluviali nell’esperienza “binge whatching”,
la visione di seguito delle serie, invece che a puntate. E James Gandolfini (“I
Soprano”), Michelle Dockery (“Donwnton Abbey”) o Vanessa Scalera (“Imma
Tataranni”), attori non specialmente identificati prima della serie, con essa di
colpo divenuti “una presenza familiare per chiunque”. Come i personaggi del “Copperfield”,
sottinteso, o del “Canto di Natale”.
Dumas naturalmente si può aggiungere all’elenco dei “seriali”
ottocenteschi, forse Salgari, il Victor Hugo dei “Miserabili”, l’Eugéne Sue dei
“Misteri di Parigi”. E ricordare che erano romanzi quasi tutti a puntate, seriali,
scritti appositamente per reggere il fondo pagina del quotidiano, legandosi
senza problemi per il lettore con la puntata precedente e con quella seguente.
Tutto, secondo Verdone, assommano le serie tv. Anche i
progetti incompiuti dei grandi registi del passato, “da Buñuel a Fellini, da
De Sica a Kubrik, da John Ford a Sergio Leone”, che “hanno sempre, in sordina,
lamentato le dimensioni limitate” del fil in sala, “quelle (quasi) due ore (o
poco più” di proiezioni. E le “forme e stili del racconto e del linguaggio
cinematografico che per certi versi appartenevano alla sua archeologia: il flashback…, il montaggio alternato…, il cliffhanger”. E la reinvenzione dei
titoli di testa. Un’ubriacatura.
Verdone non mette nella serialità-romanzo popolare il personaggio
eponimo del genere, lo Zingaretti-Montalbano, che è anche l’identificazione più
radicata: c’è un perché?
Suicidi – Nelle lettere e
le arti sono, possono essere, “performativi”, un fare dopo tanto immaginare e
scrivere? Leonetta Bentivoglio rivisita i suicidi di Anne Sexton, maga-strega
della poesia americana di metà Novecento e della sua “amica-rivale” Sylvia Plath,
giovane madre di famiglia e lady cooptata
dell’upper class britannica, entrambe
allieve di Robert Lowell, “fondatore della «poesia confessionale»”, come forme
di teatro: “Mentre Sylvia infilò la testa nel forno dopo aver preparato
accudenti tazze di latte caldo per i suoi bambini (suicidio da presepe domestico),
Anne, più provocante e diva, si spogliò nuda, indossò una pelliccia della
madre, brindò con un bicchiere di vodca, e si fece divorare dal monossido si carbonio in garage (suicidio
da femme fatale)” – “Anne Sexton, scandalosa strega”, “Robinson”, 12 novembre. Anne,
“scandalosa e promiscua”, alle lezioni da Lowell “si presentava ingioiellata,
impellicciata, truccatissima e ubriaca”.
letterautore@antiit.eu
Corsa all’eredità, per ridere, controvoglia
Una
commedia che dovrebbe essere brillante, sui nipoti che accorrono al capezzale
della zia ricca morente (Agel Musco ci provava novant’anni fa col suo primo
film parlato, “L’eredità dello zio buonanima”, col regista Amleto Palermi),
con trovate anche brillanti, con attori di mestiere e carisma (Kathleeen Turner, Toni
Collette, David Duchovny, Anna Fanis, che
viene svolta sottotono e quasi controvoglia. E non s ne può fare torto alla
sceneggiatura, è di mano dello stesso regista.
Una
produzione Sky, forse per il pubblico americano.
Dean
Craig, The Estate, Sky Cinema
mercoledì 15 novembre 2023
Secondi pensieri - 528
zeulig
Dialettica - Il triangolo
dialettico non è ridicolo: sponda, controsponda, carambola. Qui siamo e qui
restiamo.
Essere – È divenire, certo, è in progress.
Divenire,
cioè tutto scorre, ma da dove a dove? Da nessun inizio a nessuna fine - dal
nulla al nulla? È la macchina del vento. L’essere, certo, è il divenire, ma non
per questo più consistente, e nemmeno logico.
Ciò che non è è ciò di cui non si può
dire. Lo dice Wittgenstein ma lo sapeva gia Parmenide, in Platone. Questo è il
paradosso dei paradossi, per chi si di-letta di logica, che non ha mai
inventato nulla, nemmeno nel senso di tro-vato. L’origine ama nascondersi.
L’ignoranza, meglio nasconderla.
Marxismo
–
Era minato, ben prima del crollo del sovietismo, dagli stessi suoi seguaci ,
anche se eretici. La
filosofia della prassi di Gentile liberava il marxismo dalle incrostazioni,
naturalistiche, pa-leo materialiste, idealiste, e con Gramsci delineava il
marxismo migliore: la filosofia è
rivoluzione. Ma i risultati non hanno cessato di essere catastrofici, sia pure
sotto la specie fascista-sovietica: la filosofia del primato del divenire, o
della rivoluzione totale, si è rovesciata nel nichilismo.
Il nichilismo si imputa a Nietzsche ma il
poveretto non c’entra, impazzì per essersi battuto contro questo avvento per
lui chiarissimo. Heidegger semmai, che ne è l’esegeta, ne è anche testimone, se
non attore. Una filosofia che, aspettando la rivoluzione, non spiega la storia
è un errore o un trucco, non spiegandosi i totalitarismi se non come una parentesi.
Mentre una civiltà che al suo culmine stermina ebrei, zigani, kulaki e ogni
indifeso, deve far riflettere.
Anche perché, se il sovietismo si è dovuto
arrendere al mercato, al consumismo, il fascismo essenzialmente si è sconfitto,
per l’impazienza di Hitler. Dopo essere stato fenomeno mondiale, dice bene
Croce: “In tutto il mondo contemporaneo si è celebrato il Superuomo e il Duce”.
E dunque non si può liquidarlo. E non nel senso dell’irrompere nella storia dell’Anticristo,
il diavolo, il male assoluto, ma in senso storico: non è la barbarie dei pochi,
è la mostruosità di una cultura si vuole rivoluzionaria, radicalmente nuova,
antiborghese, irreligiosa, di massa. Alla fine del tempo non c’è la perfetta
società socialista, ma magnaccia e iene ridenti.
Nichilismo
-
Heidegger, intricandolo, l’annienta. Annienta il niente, dietro, sopra, sotto
di esso prospettando profondità e anzi abissi. Ma questa saracinesca tra l’io e
la vita, tra l’io e la verità, e la disarticolazione conseguente dell’io, hanno
radice filosofica? O non sono una vendetta della realtà sull’io factotum? Di
certo si radicano nel grasso. Il nichilismo viene con l’affluenza, là dove e
quando, per la prima volta nella storia, la borghesia ne è il motore, la creazione
della ricchezza. Il nichilismo è filosofia da sazietà. Quando la malattia e la
fame sono vinti, il filosofo e il poeta si guardano l’ombelico e si annoiano.
Pensano il pensiero del pensiero, la lingua della lingua, la poesia della
poesia. E gli gira la testa, se scopano si contano le pulsazioni. Si filosofa ora
nella brousse, negli Urali, e forse nel Gobi.
Il nichilismo è categoria reazionaria, l’abominio
dell’esistente, non innova, non libera, e non esplora. “Esser-là”
nell’esistenza, lo diceva Jean Paul per scherzo. Il
nichilismo d’autore suona falso. Per l’argomen-to da che pulpito la predica,
non del tutto volgare. Tale è la cura che la scrittura richiede, per creare, diffondere,
spiegare: non è roba da stanchi, o angosciati. Un professore universitario,
quali sono i filosofi oggi, ha poi impegni pratici doppi, con le fotocopiatrici
e le sessioni d’esame.
Si trova nelle pieghe più sorprendenti, per
esempio il nichilismo gesuita. O di Brecht, cresciuto dai gesuiti, figlio di
amministratore delegato, che ne mantiene il nichilismo radicale, nel furore
pedagogico.
Oggettivo – Il termine chiave del lessico marxiano, ora defunto ma dominante fino al
crollo del sovietismo, sta per “destinale”,
“destino”? Nella lettura del marxista Canfora nel ciclo di conferenze tematiche
“Le parole della storia” (sul tema “libertà”, dopo “Risorgimento” e “fascismo”),
tenuto a Bari, riprodotta sul “Corriere della sera”. Indica l’insieme dei “«condizionamenti»
che stanno alla base di decisioni apparentemente «libere»”. Questo già nella
classicità, quando l’articolazione della
società tra “liberi” e “schiavi”
consentiva ai privilegiati, pochi secondo alcune scuole,per esempio gli stoici,
di essere “liberi” – “da vincoli, condizionamenti, bisogni fittizi, ambizioni,
etc.”. Per questo la libertà è “una faticosa marcia”, “un processo perenne che
non avrà mai fine pur essendo ineludibile e necessario”. Un pessimismo o messianismo
che Marx avrebbe sicuramente avversato: la libertà è qui e ora, a ogni istante
in ogni avversità, oggettiva oppure no. In uno stesso paesaggio ma con approccio
diverso – di azione e non di riflessione, di riflessione per l’azione.
Verità - È “nelle sfumature”, spiega George Brandes a Nietzsche nella prima lettera
che gli scriveva: “Lei è molto
tedesco. Il suo spirito, di regola così brillante, sembra venire meno quando la
verità è nella sfumatura”.
Brandes, di nascita Cohen,
poi filologo anche italianista, e punto di riferimento dei letterati danesi primo
Novecento (“scoprì” Karen Blixen, ne valorizzò I raconti), veniva dalla
frequentazione di Kierkegaard, certo meno epigrammatico di Nietzsche.
Si può essere bugiardi e dire
la verità.
La verità è che non c’è la
verità.
zeulig@antiit.eu
Se ci vuole una “cultura del Sud” nell'Italia leghista
In
questo che si annuncia come un primo volume, le benemerite edizioni “Local
Genius. Giornale delle Identità Territoriali”, che hanno meritoriamente ripubblicato,
a larga diffusione, in volumi curati, l’“Ulisse
in Italia” di Armin W olf, le vere storie dei “Briganti di Calabria”, e “Il terremoto del 1783”, propone cinque
schede bibliografiche di personaggi calabresi della cultura, Pitagora,
Cassiodoro, Gioacchino da Fiore, Campanella e Telesio, di Antonela Iacobino, e
una ventina di schede di altri personaggi (ricompresi Campanella e Telesio) tratte
da altri autori. Una scelta varia, che va da Zenone al Tasso, al Bernini e allo
Spagnoletto (Juepe de Ribera).
Una
proposta curiosa, dacché non esiste una cultura “calabrese”, o “meridionale”, avulsa
da quella italiana ed europea. Se non come luogo di nascita, o di esercizio,
per qualche verso o tempo, della professione. È come se l’Italia vivesse sempre
sotto l’impronta leghista, del Lombardo-Veneto che quarant’anni fa provò a riformulare
l’unità sulla sola base del disprezzo del Sud. Sempre in trincea, a giustificarsi,
a dimostrare qualcosa, sempre in difesa.
È anche
vero che i personaggi di allora volteggiano ancora sopra la nostra testa. Tipo l’incredibile
Calderoli, oggi affabile ministro delle velenose autonomie regionali. Il leghismo
è un impeto calcolatore, molto – furbo e non passionale. E certo va contrastato
in ogni piega, non si sa mai, tanto è subdolo.
Antonella
Iacobino (a cura di), La Calabria e il
Sud. Grandi personaggi, Local Genius, pp. 274 € 10
martedì 14 novembre 2023
Problemi di base mortuari - 776
spock
Un malato terminale soffre meno se muore?
Chi non soffre meno se muore?
“Che una malattia sia inguaribile non vuol dire che la
persona non è curabile”, Eugenia Roccella?
S i vive più intensamente morendo?
Scompare, è scomparso, perché? i morti scompaiono?
Sono i porci che si mangiano i figli?
spock@antiit.eu