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Alla ricerca di un neofascismo, in immagine e non
Una ricerca puntigliosa del
materiale pubblicitario figurativo, manifesti soprattutto, locandine, tessere, cartoline, film-video
propagandistici, e ora siti web, del neofascismo italiano nelle sue tre
incarnazioni, Msi, Alleanza Nazionale, Fratelli d’Italia. Con la dovuta
precisazione che An e Fdi non si richiamano come il Msi al fascismo, ma niente
di più. E questo forse è il perché tanta applicazione lascia insoddisfatti, il limite
di questa strabiliante documentazione: Cheles, specialista iconografico, di visual studies, si adagia per la lettura
sulla polemica politica. Per cui è come se avesse fatto il lavoro per niente – i
fascisti sono fascisti, lo sapevamo.
Cheles si muove su uno spettro
amplissimo. Cita Propp e Walter Veltroni, Ernst Bloch e Jean-Marie Le Pen, il
creatore nel 1972 in Francia del suo fronte nazionalista con i “messaggi” di Almirante
e del Msi, il linguista Maurizio Dardano e Umberto Eco, tra i tanti. Ma
subito, al secondo §, sulle donne “sante e\o ribelli”, si fa aprire dalla
silloge delle citazioni, di Almirante, Ernst Bloch e Eco, una pista d’indagine
nuova e fruttuosa, di cui poi non tiene conto. Almirante elogia il femminismo
come “femminilità”. E. Bloch ammonisce che “quando due uomini fanno la stessa cosa, non fanno la stessa cosa” – la ripetizione
va riletta. Eco dà il tratto più illuminante: “Poiché ogni tecnica connota
un’ideologia, se tracciate in spray anche il fascio littorio, esso non mancherà
di avere un’aria vagamente underground e un profumo di marijuana”. Che vale
anche nell’altro senso: che c’è sotto la pennellata - il disegno, i colori, la
vignetta?
La traccia che Cheles s’impone
è quella del neofascismo, del fascismo in agguato. Non nostalgico, attivo. Anche
se non ha le squadracce, siede in Parlamento, e si attiene alle leggi. E detta
così, non c’è più storia: è tutta una rincorsa a vedere, dietro ogni “saluti
da…”, e “elettore, vai a votare”, Mussolini o chi per lui – c’è anche la favola
di qualcuno che voleva Mussolini santo…..Mentre una certa grafica,
messaggistica, coloristica, visto l’incredibile repertorio di immagini recuperate,
visive e verbali (la bibliografia prende venti pagine), avrebbe meritato un
appoccio meno scontato. La novità è che c’è una destra in Italia, da almeno
trent’anni (prima era nella Dc), e che non è fascista – non ne ha bisogno, le basta
il voto. Non ha manganelli e non minaccia. Non è nemmeno populista - non tanto
quanto la cosiddetta sinistra del “reddito di cittadinanza”, del “superbonus”,
delle “lenzuolate” liberistiche a favore dei monopoli (assicurazioni, grande
distribuzione, industriali delocalizzatori, grandi capitali). È una forma di
conservatorismo.
L’appiattimento politico sminuisce
il lavoro di documentazione, 230 reperti a colori. L’analisi dei messaggi
iconografici della destra postneofascista era più sviluppata quarant’anni fa, nella
prima anamnesi curata dall’editore milanese Mazzotta. Che l’iconografia
ambientava nel tempo, gli anni 1920-1930, tra Bauhaus e Novecento, in una rete
anche non fascista o antifascista. È la nostalgia di un modo d’essere e di rappresentarsi,
più che del fascismo - della forza, dell’oppressione? Per non dire dell’ultimo
Cazzullo, del “siano tutti antichi romani”. Come i repubblicanissimi americani
del resto, pieni di Campidogli – nei quali credono. Monumentalità e romanità
non sono “fasciste”.
Da studioso della comunicazione
visiva, è curioso che l’autore non ambienti la grafica neofascista negli anni
della nostalgia, nel modo di rappresentarsi allora. Specie sull’impianto futurista,
poi evoluto in Italia in Novecento. Con ampie e diversificate ambientazioni,
“rivoluzionarie” anche di sinistra, in Germania, in Russia. Con i tratti
espressivi – i bastoni, i colori piatti, i tagli geometrici. Nei monumenti e
nei dettagli.
Un’attrattiva, per dire, perdurante
dove meno ci se l’aspetterebbe: in Inghilterra. Peter Greenway, regista
progressista, ha sentito il bisogno di un film su Boullée, l’architetto settecentesco
delle cupole e dei pantheon, della monumentalità, “Il ventre dell’architetto”,
1987 - e lo ha fatto a Roma, non facendosi mancare niente della “nostalgia”, neanche la corruzione di
uso. La serie immortale, apparentemente, dei “Poirot” della britannica
Itv, fine Novecento, è tutta Novecento,
che è anche difficile incontrare in Inghilterra - a partire dalla sigla:
esterni, interni, costumi, arredamenti, fin nei dettagli, pavimenti, infissi,
mobili, soprammobili, utensili.
Il tema è stato dibattuto
da Susan Sontag nel 1975, per il revival di Leni Riefenstahl (nel saggio “Fascino fascista”,
ora in “Sotto il segno di Saturno”), che contestava, in maniera non risolutiva.
Il film di Riefenstahl, “Il trionfo della volontà”, 1935, sul congresso di
Norimberga del partito Nazista è di propaganda, spiega lungamente Sontag. E non
ce n’era bisogno: è un film commissionato dal partito Nazista, dal governo
nazista, da Hitler. Ma poi non si spiega – non sa spiegarsi, a parte il biasimo
– perché lo apprezzassero nel 1975 nella democraticissima San Francisco, una
volta levata la censura (quello su Norimberga come il successivo della stessa
regista sull’Olimpiade di Berlino). Le immagini sono multisenso. E la nostalgia ha molti versi - tagli: Eco, p.es., in una delle sue tante interviste ricorda che inevitabilmente si commuoveva imbattendosi in una pubblicazione fascista degli anni Trenta, perché erano la sua infanzia.
Luciano Cheles, Iconografia della destra, Viella, pp.
26 € 29
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