mercoledì 24 gennaio 2024

Alla ricerca di un neofascismo, in immagine e non

Una ricerca puntigliosa del materiale pubblicitario figurativo, manifesti soprattutto, locandine, tessere, cartoline, film-video propagandistici, e ora siti web, del neofascismo italiano nelle sue tre incarnazioni, Msi, Alleanza Nazionale, Fratelli d’Italia. Con la dovuta precisazione che An e Fdi non si richiamano come il Msi al fascismo, ma niente di più. E questo forse è il perché tanta applicazione lascia insoddisfatti, il limite di questa strabiliante documentazione: Cheles, specialista iconografico, di visual studies, si adagia per la lettura sulla polemica politica. Per cui è come se avesse fatto il lavoro per niente – i fascisti sono fascisti, lo sapevamo.
Cheles si muove su uno spettro amplissimo. Cita Propp e Walter Veltroni, Ernst Bloch e Jean-Marie Le Pen, il creatore nel 1972 in Francia del suo fronte nazionalista con i “messaggi” di Almirante e del Msi, il linguista Maurizio Dardano e Umberto Eco, tra i tanti. Ma subito, al secondo §, sulle donne “sante e\o ribelli”, si fa aprire dalla silloge delle citazioni, di Almirante, Ernst Bloch e Eco, una pista d’indagine nuova e fruttuosa, di cui poi non tiene conto. Almirante elogia il femminismo come “femminilità”. E. Bloch ammonisce che “quando due uomini fanno la stessa  cosa, non fanno la stessa cosa” – la ripetizione va riletta. Eco dà il tratto più illuminante: “Poiché ogni tecnica connota un’ideologia, se tracciate in spray anche il fascio littorio, esso non mancherà di avere un’aria vagamente underground e un profumo di marijuana”. Che vale anche nell’altro senso: che c’è sotto la pennellata - il disegno, i colori, la vignetta?
La traccia che Cheles s’impone è quella del neofascismo, del fascismo in agguato. Non nostalgico, attivo. Anche se non ha le squadracce, siede in Parlamento, e si attiene alle leggi. E detta così, non c’è più storia: è tutta una rincorsa a vedere, dietro ogni “saluti da…”, e “elettore, vai a votare”, Mussolini o chi per lui – c’è anche la favola di qualcuno che voleva Mussolini santo…..Mentre una certa grafica, messaggistica, coloristica, visto l’incredibile repertorio di immagini recuperate, visive e verbali (la bibliografia prende venti pagine), avrebbe meritato un appoccio meno scontato. La novità è che c’è una destra in Italia, da almeno trent’anni (prima era nella Dc), e che non è fascista – non ne ha bisogno, le basta il voto. Non ha manganelli e non minaccia. Non è nemmeno populista - non tanto quanto la cosiddetta sinistra del “reddito di cittadinanza”, del “superbonus”, delle “lenzuolate” liberistiche a favore dei monopoli (assicurazioni, grande distribuzione, industriali delocalizzatori, grandi capitali). È una forma di conservatorismo.
L’appiattimento politico sminuisce il lavoro di documentazione, 230 reperti a colori. L’analisi dei messaggi iconografici della destra postneofascista era più sviluppata quarant’anni fa, nella prima anamnesi curata dall’editore milanese Mazzotta. Che l’iconografia ambientava nel tempo, gli anni 1920-1930, tra Bauhaus e Novecento, in una rete anche non fascista o antifascista. È la nostalgia di un modo d’essere e di rappresentarsi, più che del fascismo - della forza, dell’oppressione? Per non dire dell’ultimo Cazzullo, del “siano tutti antichi romani”. Come i repubblicanissimi americani del resto, pieni di Campidogli – nei quali credono. Monumentalità e romanità non sono “fasciste”.    
Da studioso della comunicazione visiva, è curioso che l’autore non ambienti la grafica neofascista negli anni della nostalgia, nel modo di rappresentarsi allora. Specie sull’impianto futurista, poi evoluto in Italia in Novecento. Con ampie e diversificate ambientazioni, “rivoluzionarie” anche di sinistra, in Germania, in Russia. Con i tratti espressivi – i bastoni, i colori piatti, i tagli geometrici. Nei monumenti e nei dettagli.  
Un’attrattiva, per dire, perdurante dove meno ci se l’aspetterebbe: in Inghilterra. Peter Greenway, regista progressista, ha sentito il bisogno di un film su Boullée, l’architetto settecentesco delle cupole e dei pantheon, della monumentalità, “Il ventre dell’architetto”, 1987 - e lo ha fatto a Roma, non facendosi mancare niente  della “nostalgia”, neanche la corruzione di uso. La serie immortale, apparentemente, dei “Poirot” della britannica Itv, fine Novecento, è tutta Novecento, che è anche difficile incontrare in Inghilterra - a partire dalla sigla: esterni, interni, costumi, arredamenti, fin nei dettagli, pavimenti, infissi, mobili, soprammobili, utensili.  
Il tema è stato dibattuto da Susan Sontag nel 1975, per il revival di Leni Riefenstahl (nel saggio “Fascino fascista”, ora in “Sotto il segno di Saturno”), che contestava, in maniera non risolutiva. Il film di Riefenstahl, “Il trionfo della volontà”, 1935, sul congresso di Norimberga del partito Nazista è di propaganda, spiega lungamente Sontag. E non ce n’era bisogno: è un film commissionato dal partito Nazista, dal governo nazista, da Hitler. Ma poi non si spiega – non sa spiegarsi, a parte il biasimo – perché lo apprezzassero nel 1975 nella democraticissima San Francisco, una volta levata la censura (quello su Norimberga come il successivo della stessa regista sull’Olimpiade di Berlino). Le immagini sono multisenso. E la nostalgia ha molti versi - tagli: Eco, p.es., in una delle sue tante interviste ricorda che inevitabilmente si commuoveva imbattendosi in una pubblicazione fascista degli anni Trenta, perché erano la sua infanzia.
Luciano Cheles, Iconografia della destra, Viella, pp. 26
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