Il martirio di Ingeborg Bachmann
La storia di un delitto,
senza vittima e senza nemmeno assassino, mancando peraltro un giudizio e perfino
l’investigazione. Con una coda “in Egitto”, invereconda per la pudica vittima,
ma come dire in un deserrto, in una sorta di al di là.
Un martirio, dell’autrice
s’indovina, sicuramente del lettore. “Questo è un libro che parla di un delitto…”,
annotava l’autrice su uno dei fogli che veniva componendo, uno di quei delitti che
“sono tanto sublimi che quasi non riusciamo ad accorgercene e a comprenderli,
benché vengano commessi ogni giorno nel nostro ambiente, tra i nostri vicini di
casa”. “Sublimi” probabilmente nel senso di sottili, inavvertiti, senza
spargimento di sangue, se non come atti perfino altruistici, disinteressati. Il
riferimento è al matrimonio romano della stessa autrice, con Max Frisch, presto
infelice, tra reciproche accuse (Frisch ha dato la sua versione della crisi in “Il
mio nome sia Gantenbein”, anch’essa non esaltante - lei è sciatta, si alza
tardi, probabilmente non si lava….). “La tenebra egizia, di questo bisogna
darle atto, è perfetta”. E questo è tutto, l’ultima riga della voluminosa
pubblicazione.
Il racconto,
frammentario, è in realtà breve. In una precedente edizione, sempre Adelphi, 1990,
s’intitolava “Il caso Franza”, era cioè il racconto in sé – e veniva pubblicato
insieme con un un racconto complementare, “Requiem per Fanny Goldman”, per fare
un libro. In questa edizione (il tascabile di quella del 2009) è raddoppiato di volume. È il caso del “libro”
Franza, con molta filologia, di Luigi Reitani, che ne ha curato l’adattamento, e dei curatori dell’edizione critica originaria.
Indigesto quello, il
racconto in sé, la paranoia del rapporto di coppia, questo lo è al quadrato. E
per il pezzo più ripetuto, il viaggio turistico in Egitto, a potenza
insostenibile – Franza-Ingeborg ci tenta pure un’“orgia” di “amore arabo, o
amore greco”, di una “bianca” con tre arabi.
I materiali raccolti
come “Il caso Franza” sono tra i più rifiniti dei diecimila fogli lasciati
inediti da Ingeborg. Rivisto e riorganizzato dalla sua casa editrice, il
lascito è stato poi pubblicato nell’interezza nel 1995, col titolo funerario
“Todesarten”: cinque volumi, 2.900 pagine a stampa, di “modi di morire”. Per
dire quanto ha pesato sugli ultimi dieci anni di vita di Bachmann la relazione
infelice con Frisch. Ma Ingeborg è d’ingegno critico superiore: la sensazione è
che i filologi dovrebbero frugare meglio tra gli inediti.
Magari
l’Egitto è quello di Celan. In “In Aegypten”, la poesia del loro
amore, Paul Celan invitava Ingeborg a cercarlo laggiù, nel servaggio, da cui
lui, ebreo, non è mai uscito. Ma lei si immagina liberata con tre uomini nel
deserto, un’altra prigione, la prigione d’amore, un amore non corrisposto,
l’autoesilio. Anche se, si sa, nella compagnia redentrice di Adolf Opel,
finalmente un austriaco – Bachmann, che rifuggì sempre da rapporti con
austriaci, con Opel fece effettivamente il viaggio in Egitto. Questa lettura
sarebbe già qualcosa.
Ingeborg Bachmann, Il
libro Franza, Adelphi, pp. 379, € 14
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