La corsa al Congo
Tra fine Ottocento e
primo Novecento, nel mezzo della spartizione dell’Africa – lo “scramble for
Africa”, la corsa all’Africa - tra i paesi europei, grandi e piccoli,
sanzionata da un congresso a Berlino nel 1885, dell’Inghilterra, la Francia e
l’Olanda, vecchie potenze coloniali, con le nuove entranti Italia e Germania,
una insistente e vasta campagna politica e di pubblicistica fu avviata contro
il dominio belga del Congo. Il dominio era stato acquisito a titolo personale
dal re del Belgio Leopoldo II, come impresa commerciale, lo Stato Libero del
Congo, ma presto si era rivelato fruttuoso e anzi ricchissimo – sarà poi
annesso al Belgio, nel 1908, mettendo fine alla finzione indipendentista, tipo
Liberia, alla stregua degli altri domini coloniali europei. La ricchezza
insospettata, enorme, del Congo, fece l’invidia delle potenze, che reagirono
imputando al re Leopoldo, al Belgio, tutte le nefandezze coloniali: lo
sfruttamento minerario, la tratta del lavoro, anche minorile, la miseria
indotta, le malattie, violenze senza limiti, nemmeno di fantasia (gogna,
amputazioni, esecuzioni a bruciapelo, incendi – non sfruttamento sessuale,
questo era libero anche per i virtuosi, missionati compresi).
La campagna, avviata in
Inghilterra, si estese presto agli Stati Uniti. E durerà a lungo: ancora negli
anni 1930 diventerà subito famosa la denuncia di André Gide, “Viaggio al
Congo”. Come se al Congo le condizioni coloniali fossero peggiori che in
Rhodesia o in Guinea, e perfino in India, o al tempo delle concessioni, tra
Otto e Novecento, in Cina.
L’avvio della campagna
si fece a Londra sulla base dei ricordi di un
Mr. Glave, un giovanottone “che era stato per sei anni al servizio dello
Stato”, e per due, “fra il 1893 fino alla sua morte nel 1895”, fu in Congo, che
girò liberamente, in teoria come commerciante. Con “mucchi di mani amputate… di
uomini e donne, e anche di bambini piccoli”. I ricordi di Mr. Glave furono
suffragati lo steso anno 1895, il 18 novembre, da un missionario americano, Mr.
Murphy, sempre a Londra, sul “Times”. Sempre con mucchi di mani mozzate, di
bambini. Seguono testimonianze varie, tra
cui, in una riga, il capitano Baccari, inviato dal governo italiano, un
medico-farmacologo che ebbe il sospetto che lo volessero avvelenare – ma non fu
avvelenato, farà in tempo a diventare governatore della Cirenaica a fine 1922 (succedeva a Luigi Pintor, lo zio di Giaime, e di Luigi del gruppo del Manifesto).
Lo scandalo ufficiale fu
aperto nel 1904 con un Libro Bianco sull’Africa, compilato a Londra, contenente
un rapporto del console Roger Casement, di 62 pagine. Un rapporto pieno di
mutilazioni, inflitte per “estrarre più gomma”. Il Congo era una miniera a
cielo aperto, di ogni minerale pregiato, particolarità certo non ignota a
consoli, commercianti e esploratori, ma solo la lavorazione del caucciù era
denunciata: si giocava a carte coperte.
Roger Casement, console
a Boma, la città portuale sul fiume Congo, anche questo è istruttivo per la
vicenda, entrò nel servizio pubbico britannico dopo una lunga attività
commerciale, di una decina d’anni, nell’Africa nera: comprava (a poco) e
vendeva (a molto). Dopo la pubblicazione del “Rapporto sul Congo” sarà confinato
da Londra in Perù. Nel 1916, fautore dell’indipendenza dell’Irlanda, sarà
condannato per tradimento e impiccato.
Subito dopo la
pubblicazione del Rapporto Casement, i Comuni vararono una Commissione
parlamentare d’inchiesta. Una Congo Reform Association (Cra) fu quindi presto
creata, che dispiegò un’enorme attività contro il re belga e il Belgio, tra
missioni e missionari di ogni confessione, nelle chiese episcopali e battiste,
nei giornali in Gran Bretagna e in America, in conferenze, eventi, convegni, e
in una vasta pubblicistica di gran nome: Mark Twain, Anatole France, Conrad
(“Cuore di tenebra” sarà ambientato nel Congo). E Arthur Conan Doyle; nel 1909
intraprese questa denuncia, al culmine della stagione dell’imepgno civico e
politico – prima della stagione degli spiriti.
Il libello del creatore
di Sherlock Holmes è il meglio documentato, anche se non di prima mano – il
meglio argomentato. Con misura, e quindi con durezza condivisibile. Una lunga
introduzione di Giuseppe Motta, specialista di Relazioni Internazionali, mette
il pamphlet in prospettiva, nel contesto della generale
contestazione del Belgio. Mancando però, con ogni evidenza, l’essenzale: la
speciosità della questione, sollevata a Londra tipicamente, per sgravarsi delle
proprie colpe, e insieme per insidiare un ricco, ricchissimo, immensamente
ricco, bacino minerario caduto in mano al più piccolo dei re, e al più nuovo,
piccolo e debole paese europeo, in sé e nel quadro dell’imperialismo
condiviso.
L’incriminazione di
Leopoldo II prima e poi del Belgio nel Congo rientrava scopertamente in una
strategia intesa a recuperare influenza, se non domini, sulla parte più ricca
dell’Africa. L’espansione coloniale si era fatta a caso, su disegni militari, e
casualmente le aree africane più ricche di materie prime ricche, oro, diamanti,
etc., era rimasta fuori dai disegni anglo-francesi – come poi ancora, a fine
Ottocento, da quelli italo-tedeschi. Capitando in mani belghe nel Congo e,
nella colonia del Capo (poi Sud Africa), olandesi. Contro gli olandesi del Capo
Londra dovette fare guerra, due guerre negli ultini vent’anni dell’Ottocento,
per l’oro del Transvaal. Lo stesso Conan Doyle ritiene di doversi giustificare, alla fine dalle obiezioni: quella contro il Belgio è una campagna inglese, dei mercanti di Liverpool, dei protestanti contro i cattolici.
In Belgio il re Leopoldo
II rispose, dopo una prima resistenza, con una sua propria commissione
d’inchiesta. Apparteneva allo stesso casato dei reali inglesi,
Sassonia-Coburgo-Gotha, e si pensava protetto istituzionalmente, le critiche
attribuendo agli antischiavisti – tra i quali annoverava se stesso. La
commissione non poté non constatare le pratiche vessatorie in uso. Allora Leopoldo II aprì
la colonia gli interessi americani, dapprima, e successivamente anche
britannici. Infine istituzionalizzò il Congo come colonia del Belgio, non più
Stato libero suo possedimento personale. Le polemiche continuarono. Ma gli
investimenti pure, soprattutto poi americani, e il Congo sarà uno degli ultimi
paesi africani (se si eccettuano le colonie portoghesi) a ottenere
l’indipendenza, nel 1960.
Arthur Conan Doyle, Il crimine del Congo, Bordeaux, pp. 165
€ 14
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