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Una spia anti-sistema
Carabiniere-spia conclamato fin
dall’inizio della ferma, a 21 anni. Famoso e cbiacchierato per un incontro in
autostrada con Matteo Renzi, immortalato in una foto da una professoressa.
Prepensionato – a causa di questo incontro - a soli 61 anni (ma con 40 di
contributi, il presidente del consiglio Draghi ha fatto il calcolo giusto). In
realtà al centro di varie e vere avventure da servizi segrati, non la
conversazione all’aperto, fotografata dalla professoressa.
Questa pare sia autentica, la
professoressa, e abbia immortalato e diffuso l’incontro all’Autogrill in odio a
Renzi, da militante Pd, e non da collega concorrente di Mancini nei servizi
segreti – anche se lo conosceva, evidentemente. Ma Mancini è stato uomo
d’azione. Al centro del rapimento a Milano di Abu Omar, un egiziano oppositore
del regime in Egitto. E al centro delle intercettazioni Tim vent’anni fa.
Quello, cioè, tra i tanti funzionari dei servizi segreti, più implicato nei due
scandali, a cui sono seguiti due processi. Il primo finito in Corte
Costituzionale, con la pronuncia in favore dell’opponibilità del segreto di Stato
in sede penale. Il secondo finito, dopo tre anni di processi mediatici, anche
furenti, con la non procedibilità già in sede di giudizio preliminare, causa
segreto di Stato. Una spia vera, insomma, che non nega di avere fatto quello di
cui è stato accusato, ma lo ha fatto per ragioni superiori.
Da uno con questa esperienza
ci si sarebbe aspettato, dopo il pensionamento, un po’ di veleno. Un po’ alla
Mori e De Donno, gli ufficiali dei Carabinieri che alla pensione si sono tolte
qualche soddisfazione sui “veleni di Palermo”, la mafia dell’antimafia. Queste
memorie invece, benché prolisse, non ne mostrano. Solo, da vero Carabiniere, “nei
secoli fedele”, prospettano un ruolo e un’attività che non si penserebbe a
difesa dell’Italia. Paese spensierato, che si pensa senza nemici.
Mancini parte dall’antiterrorismo,
ventunenne brigadiere assegnato a Milano alla Sezione Speciale Anticrimine del
generale Dalla Chiesa. Operativo contro il gruppo Walter Alasia delle Br, quelli
che ammazzavano i dirigenti industriali, i cui componenti avrebbe contribuito
ad arrestare nella totalità. E contro Prima Linea, con la cattura personale del
capo, Sergio Segio. Dal 1984 attivo nel Sismi, il controspionaggio, con un suo
proprio sistema, “contrasto offensivo”, o giocare d’anticipo. Nei paesi dell’Est,
per smascherare spie sovietiche. In Medio Oriente, e in Africa. A Beirut la
neutralizzazione di un terrorista di Al-Qaeda in procinto di piazzare 400 kg.
di esplosivo nei pressi dell’ambasciata per farla saltare. Altrove nei tanti
problemi posti dai taglieggiamenti alle organizzazioni umanitarie italiane,
compresi i rapimenti a scopo di estorsione - organizzando reti clandestine
locali di informatori (in Africa, come in Afghanistan, costano poco).
Memorie di avventure. Che l’ex
spia vuole serie: “Sventare attentati e impedire conflitti” è il motto che
impone al lettore. E uno vorrebbe credergli. Le spie non sono simpatiche, quando
non sono cattive sono sbruffone - le tante spie-scrittori inglesi. Ma di fronte
alla giustizia alla milanese (Abu Omar, Tim-Telecom), e alle professoresse
democratiche, uno non può che tifare. Anche a cospetto delle burocrazie dei
servizi, tra Aise, Aisi e Dis, di cui non mette conto spiegare.
Marco Mancini, Le regole del gioco, Rizzoli, pp. 384, ril. € 19
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