lunedì 26 febbraio 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (552)

Giuseppe Leuzzi

Solo una multa su dieci s’incassa a Palermo, muta stradale, poco più, una multa e mezzo s’incassa a Napoli. Vigili incapaci? Multe pretestuose? “Buoncuore”?
Ma quella di fare cassa con le multe si direbbe la sola infamia di cui il Sud non si obera.

Con l’eccezione di Bari, che si colloca ai piani alti della classifica per multe stradali, per incasso totale se non pro capite, le città del Sud che fanno più multe sono quelle dello Stretto, Messina e Reggio Calabria. Le peggio amministrate. Ma appena si scende dalla macchina un multatore in agguato drizza le orecchie, sono ubiqui.
 
Sinner - colpirne uno per coprirne cento
Mentre si moltiplicavano, e si moltiplicano , le soffiate della Procura di Torino per azzannare gli Agnelli (quanti giorni risiedeva la vedova Agnelli in Italia, magari in clinica, e quanti in Svizzera?) Cazzullo apriva, sempre sul “Corriere della sera”, il fuoco su Jannik – non paga l’Irpef, risiede a Montecarlo. È così che la capitale (mondiale, secondo molti indici) dell’intrallazzo fiscale si fa capitale morale, scaricando “la spazzatura sui piani di sotto”, come Malaparte notava settant’anni fa, quando Milano era solo una fiera campionaria. La resilienza, si sa, è anzitutto fiscale.
Per smontare Cazzullo, Augias ha dovuto invitare nella sua trasmissione Lorenzo Bini Smaghi, un banchiere, ex direttivo della Bce, presidente di Société Générale, quarta grande banca francese, quindi spesso in Francia, e farlo parlare per mezzora, per spiegare quanti giorni Sinner passa a Montecarlo. Dove tutti i tennisti si allenano, con le loro équipes tecniche, e quindi risiedono. Non è bastato.
Colpirne uno per coprirne cento, mille, milioni. Chi ha detto che i lombardi non sono furbi, sono mercanti, sono furbissimi.
 
L’uomo della Provvidenza
Si ride di De Luca, un “personaggio” di Crozza, di “Striscia la notizia”, di qualsiasi battutista, in tv e fuori, mentre è stato un ottimo amministratore della Campania, per la parte sanità e  agroindustria, e da sindaco autore, praticamente da solo, del rifacimento di Salerno, letterale, ora nuovamente una piccola capitale. Dell’università-campus di Fisciano, del porto, del lungomare e della ora ricchissima economia dell’entroterra, dell’agroindustria di Battipaglia e Eboli, della cultura, come il  recupero della Certosa di Padula, la più grande d’Italia.
Con Moro già negli anni 1960 ogni città e ogni borgo della Puglia era servito da aree industriali e da tangenziali (complanari). E dopo Moro, negli anni 1980-1990 fu la volta del Salento, area semidepressa, a rifarsi, produttivamente (artigianato) e culturalmente (uso sapiente dei fondi italiani per i centri storici e di quelli europei per le “lingue tagliate”). Dapprima con Gennaro Acquaviva poi con D’Alema e Buttiglione, e la fregoli Poli Bortone.
La Calabria l’unica stagione di rinnovamento l’ha vissuta con Giacomo Mancini. Il leader socialista, che accortamente ha operato in sintonia con Riccardo Misasi e Emilio Colombo, pesi massimi della Dc. L’autostrada. L’università. L’aeroporto di Lamezia. Il porto di Gioia Tauro.  Soprattutto una programmazione urbanistica, che oggi fa grande la differenza fra la “sua” Calabria, il cosentino, dove le abitazioni sono perfino finite, si comincia dal tetto, e le strade pulite. Mentre il reggino, già naturalmente ricco e ricchissimo, è brutto, sporco e cattivo, ingovernabile - seppure nell’affluenza (una sorta di applicazione del paradosso di Mandeville, “vizi privati pubbliche virtù”: il reddito reale, quello esibito, vi è probabilmente il doppio, almeno, di quello statistico, mentre i servizi pubblici sono da Terzo mondo).t
In Basilicata tutto ha fatto Emilio Colombo. Ed è molto, moltissimo, anche se in pochi anni. Un hub energetico, tra petrolio e gas, e fino al sito per le scorie nucleari (Rotondella). Una rete Anas senza buche, e senza france. Un’agricoltura di primizie. Il recupero archeologico. L’università. Colombo ha fatto cioè anche quello che ora la Basilicata critica e rifiuta, ma può permetterselo da un posizione di vantaggio.
All’Abruzzo è bastato Gaspari, nemmeno un politico di primo piano nazionale, per uscire dal sottosviluppo (per arrivare a un reddito pro capite superiore alla media nazionale). È bastata l’autostrada: è bastato cioè legare l’Abruzzo economicamente, e anche socialmente (abitazioni contro occupazione), come una sorta di conurbazione, a Roma.
C’era una volta, nelle teorie dello sviluppo, il demarraggio – il salto dal sottosviluppo al circuito virtuoso dello sviluppo. Il momento in cui le risorse, minerarie, agricole, ambientali, finanziarie, tecniche, culturali, umane avviavano un accrescimento o miglioramento costante – un trend  positivo. Il caso più clamoroso è naturalmente la Cina, che ha compiuto il Grande Balzo non come lo aveva voluto Mao, imposto dall’alto, che fu un disastro, ma come lo ha progettato un personaggio diminutivo, una sorta di anti Mao, Deng Hsiao Ping. Che semplicemente mise insieme le quattro “modernizzazioni” – di agricoltura, cioè, industria, servizi, e in più la difesa.
L’Uomo della Provvidenza può quindi essere piccolo e riservato, non deve esibire la mascella. Deng poté agganciare il decollo, anche lui Uomo della Provvidenza, a maggior ragione che i nostri quattro, Moro, Mancini, Colombo, Gasparri, in virtù di un assetto statuale rigido, monocratico, e quindi di decisioni inappellabili – così come il Grande Balzo di Mao era stato, inappellabilmente, verso il disastro. Al Sud, in mancanza ovviamente di un regime cinese, le condizioni di mercato per il decollo non si possono realizzare, ormai è noto. Per problemi di capitalizzazione, di risorse, anche umane (anche umane, malgrado le nuove università), di infrastrutture, non si arriva al famoso fai-da-te, a processi autopropulsivi. Ci vuole una spinta, e una mano ferma.
 
Il mercato dell’antimafia
Fra le precondizioni che negano l’autopropulsione – il “decollo” economico – del Sud la prima è il racconto del Sud mafioso. Che è il vero leghismo, protettivo, a fin di bene, e solo meridionale, non c’è che dire, forma mentis, modo di essere, modo di agire. Un ingegnoso autoavvilupparsi di lacci e catene – questo sì meccanismo autopropulsivo.
C’è una cultura del Sud mafioso che è una spessa forma “industriale”, come oggi si dice, economica cioè, creatrice di carriere, fortune, ricchezze, che è l’antimafia. Come una grossa pagnotta lanciata al cane – quando ai cani si dava il pane. Un “mercato” che si regge sulla lotta alla mafia, che invece non fa. Le mafie dell’antimafia sembrano eterne. Mentre basterebbero i Carabinieri. Chi vive al Sud lo sa bene. Ma sa anche che non c’è rimedio – i Carabinieri sono militari, obbediscono.
Si può protestare ma è inutile. I tribunali sono del business. E l’informazione pure. Si può votare, perché no, votare e votare, e non succede nulla, anzi le mafie si moltiplicano. E allora è quasi meglio mangiare il gelato, e nemmeno votare, uno rischia di arrabbiarsi.

Quando la mafia era a Milano

Ci fu un tempo quando la mafia era a Milano, e veniva perseguita dai siciliani. Al cap. I dei “Promessi sposi” , subito dopo il lago di Como:
“Fino dall’otto aprile dell’anno 1583, l’Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d
Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranuova, Marchese d’Avola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio, e gran Contestabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitan Generale di Sua Maestà Cattolica in Italia, pienamente informato della intollerabile miseria in che è vivuta e vive questa Città di Milano, per cagione dei bravi e vagabondi, pubblica un bando contro di essi. Dichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi... i quali, essendo forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od avendolo, non lo fanno... ma, senza salario, o pur con esso, s’appoggiano a qualche cavaliere o gentiluomo, officiale o mercante... per fargli spalle e favore, o veramente, come si può presumere, per tendere insidie ad altri... A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese, intima la galera a’ renitenti, e dà a tutti gli ufiziali della giustizia le più stranamente ampie e indefinite facoltà, per l’esecuzione dell’ordine. Ma, nell’anno seguente, il 12 aprile, scorgendo il detto signore, che questa Città è tuttavia piena di detti bravi... tornati a vivere come prima vivevano, non punto mutato il costume loro, né scemato il numero, dà fuori un’altra grida, ancor più vigorosa e notabile”.

Ce n’erano 60 mila in Lombardia, secondo lo storico Ripamonti, lo storico di Manzoni. Cifra sicuramete esagerata. Ma perché facevano paura. Don Abbondio diventa “don Abbondio” a causa loro. I due che incontra, spavaldi e impuniti, non sono spaventapasseri: “Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sull’omero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un enorme ciuffo: due lunghi mustacchi arricciati in punta: una cintura lucida di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere, cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori d’un taschino degli ampi e gonfi calzoni, uno spadone, con una gran guardia traforata a lamine d’ottone, congegnate come in cifra, forbite e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de’ bravi”.
Le “grida”, poi, com’è noto, si succedono fino al 1636, almeno fino al 1636, quindi per oltre mezzo secolo, a nessun effetto. Ma  a opera di funzionari – governatori non più siciliani.
 
La povertà in Calabria
Una serie commovente. Di foto commissionate dall’Unesco nel 1950. Nel quadro di una campagna contro l’analfabetismo. A David Seymour, il fotografo ebreo polacco David “Chim” Szymin, diventato famoso nella guerra di Spagna, arruolato dagli Stati Uniti nel 1940 come fotografo di guerra, creatore nel 1947 dell’agenzia fotografica Magnum, con Robert Capa e Henri Cartier-Bresson.
Ogni foto un racconto. Il ragazzo con la carta geografica dell’Europa mangiata dai topi. La maestra in controluce sulla soglia di un’aula piccola e stretta, con i bambini, il pennino in mano, curvi sul banco.  Mani rugose di vecchi a scuola, anche loro alle prese col pennino.  Ragazzi a modo di Saucci, sorella e fratelli. Bambine ordinatissime, applicatissime, ragazzi arruffati, cenciosi, banchi semirotti, scuole monolocali, con la grande porta che la maestra preferisce, per gli odori?, buie, fredde, tutte le classi in una, come nelle scuole rurali. Il maestro Antonio Janni sulla Vespa senza fanale, sotto la pioggia nella strada sterrata, che un paio di ragazzi spingono sperando che si metta in moto. E donne affardellate di carichi voluminosissimi di fascine in campagna, l’occupazione delle terre, l’unico scampolo di cielo nella processione. In una geografia nota: Bagaladi, Roggiano Gravina, Saucci, toponimo che più non esiste (vicino Bagaladi), San Nicolò da Crissa, San Marco Argentano.
È persino inimmaginabile, che ci fosse tanta povertà. Ma, avendola vista, anche se non vissuta in tanta estrema indigenza, in ambito rurale, c’è solo da testimoniare la verità delle foto.

leuzzi@antiit.eu

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