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Dell’infanzia amorevole, e felice
In
una con “Il Fantasma”, racconto ancora più profuso, dove Amore e Morte
dialogano e duellano tra marce nuziali, tazze di porcellana e servi astuti, il racconto del
“Monaciello”, lo spirito impertinente di ogni buona casa napoletana, cattivo ma
buono. La nonna vecchissima nella lontana Libia ne rivive la memoria col
nipotino, come di un’epoca fatata da bambina nell’isola felice della sua lunga
vita quale fu la casa paterna a Napoli, sul mare, di Santa Lucia. Il racconto
delle prime inquietudini d’amore, che redime passo passo, con l’innocenza e la
devozione, l’impulso anarchico, e distruttivo, dello spiritello (prigioniero) di casa.
Due
delle prime prove di Anna Maria Ortese, dopo “Angelici dolori”, con cui nel
1937 aveva debuttato, poco più che ventenne e autodidatta, patrocinata da
Bontempelli. Nel 1940, ospite a Venezia di Paola Masino, compagna di Bontempelli,
scrive e pubblica i due racconti, “Il Monaciello” su “Ateneo Veneto” nel 1940,
“Il fantasma” su”Nove Maggio” l’anno successivo.
Due
divagazioni, in puro stile da fiaba romantica, un po’ gotica, alla E.T.A.
Hoffmann, che forse la allontanano dai lutti drammatici che la inseguivano, in
una vita da sradicata, ogni pochi mesi una città e un mondo diversi. La seconda, affastellata, è irrisolta: Ariel, il Grande Amore, si rivela il mondo e i Parenti - la famiglia - battono la Morte, ma è il Fantasma il potere salvifico della musica? Di una
scrittura però sempre viva in ogni virgola, come fosse un dono del cielo.
Notevole che la bellezza
eterea del “Fantasma”, che “non avrà avuto più di quindici anni”, fosse
divinata nel 1941, su una rivista del Guf, come “una vergine ebrea, tale era la
bianca e soave bellezza di quel volto”.
Anna Maria Ortese, Il Monaciello di Napoli, Adelphi, 119 €
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