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Il lettore nel bosco – o il Grande Conversatore Eco
“Ci sono due modi per passeggiare
in un bosco. Nel primo modo ci si muove per tentare una o molte strade (per
uscirne al più presto, o per riuscire a raggiungere la casa della Nonna, o di
Pollicino, o di Hansel e Gretel); nel secondo modo ci si muove per capire come
sia fatto il bosco, e perché certi sentieri siano accessibili e altri no.
Ugualmemte ci sono due modi per percorrere un testo narrativo”. No, per il
bosco ce ne sono tre: ci vanno le famiglie per il picnic, all’ombra, sub tegmine fagi, anche del pino irsuto,
meglio se accanto a una sorgente. Per esperienza, un altro se ne conosce:
nascondersi all’implacabile osservatore aereo nelle estenuanti marce alla
bonifica del campo di esercitazioni a fuoco sotto la naja, affardellati,
sudati, assetati – la foresta di Robin Hood, per intendersi, che Eco snobba. Né
ci sono due modi, solo due modi, per “percorrere un testo narrativo” –
assolutamente non i suoi due irsuti modi. Ma Eco è un affabulatore. Anche
quando fa filosofia – qui la fa della scrittura, e della lettura. Non fa opera
di verità, la smaschera –questo sito ha potuto dirlo uno “stripper della
verità”, “filosofo non costruttivo ma de-struttivo”.
Ma sa narrare la filosofia, per quanto fallace, e questo ne fa il segno,
bastante per il lettore, che può leggerlo come un conversatore amabile, un
narratore, seppure di cose astruse. Perché, poi, ci sono anche quelli che nel
bosco si nascondono a fin di bene, gente per bene, o ci vivono, anche solo per
amore di solitudine. E sono i più, come i lettori di libri.
Inutile insistere – lo stesso
Eco a un certo punto se lo dice: “In un bosco si passeggia”, anche “senza
meta”. Il bosco di Eco è una metafora per il testo narrativo – di cui anche è
stato detto che è “il fratello carnale della Storia”.
Eco conversativo più
del solito. Il volume è delle Norton Lectures da lui tenute a Harvard nel 1993,
conferenze–seminario aperte al pubblico anche non universitario. Che correda di
grafici, diapositive, schemi, per portarci ad apprezzare la lettura che stiamo
facendo, abbiamo fatto, faremo. Se – poiché - ne siamo appassionati. Per mille
aspetti che potremo configurare: perché il testo è conciso (elogio della
rapidità), o perché è profuso (elogio dell’indugio), perché è verosimile, o
perché è inverosimile.
Moderno, sofista, spiritoso,
simpatico, il Grande Conversatore Eco prende per mano il suo uditorio, che lo
segue come mesmerizzato. Solo che, poi, poco ne resta. Qui disseziona “Sylvie”,
il racconto di Nerval, che ha letto a vent’anni e poi mai abbandonato, per
l’andirivieni frenetic, temporale e
spaziale. E la “Narrativa di Arthur Gordon Pym”, per i vari tranelli, da
autore al lettore, che Poe vi sottende. Molto è sul “bosco del tempo” – ma non
Proust, come verrebbe d’immaginare: sempre Nerval, “Sylvie”. Con divertenti, naturalmente
istruttive, riletture, oltre che di “Sylvie” e di “Arthur Gordon Pym”, dei
“Promessi sposi”, la “Divina Commedia”, la “Metamorfosi” di Kafka, Flaubert.
Con beffardi rinvii a Achille
Campanile – alla logica illogica del racconto. A fronte delle tassonomie di
Genette. E al “Pendolo di Foucault” per alcune controverità – il percorso che
fa un personaggio, p.es., a piedi. Senza trascurare i Rosacroce e la
massoneria, l’abate Barruel, i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”. Insomma,
senza dirlo, un po’ New Age – quella cultura degli anni 1970-1980 che si
trascura mentre è tutta l’Eco narratore.
Umberto Eco, Sei passeggiate nei boschi narrativi,
La Nave di Teseo, pp. 190 € 13
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