L’Occidente è privato
L’Occidente è privato,
privatissimo. Patrimoniale, di Stati cioè che sono proprietà privata, nella
terminologia di Max Weber, l’ultimo studioso degli Stati – dopo di lui, ormai è
un secolo, dello Stato non si tratta più. Una categoria che si pensava estinta
col feudo e invece prospera e domina.
La categoria maxweberiana si
potrebbe estendere oggi perfino agli Stati Uniti, che pure sono lo Stato probabilmente
più democratico al mondo: finanziamento delle campagne elettorali, direttamente
e al coperto di fondazioni, strapotere dei social network, peso politico
schiacciante degli interessi costituiti, funzione pubblica limitata alla sola gestione
dell’attivo fiscale (percentualmente più oneroso per i meno abbienti). Ma non è
contendibile se solo si riflette al peso che hanno nell’Occidente le cosiddette
petromonarchie del Golfo: Emirati Arabi Uniti (Abu Dhabi e Dubai sopra tutt’e
sette), Qatar, Arabia Saudita, con Kuwait, Bahrein e Oman sullo sfondo. Arbitri
dei conflitti: tra Israele e Palestinesi, in Libano, nel mar Rosso, in Sudan,
in Etiopia, in Libia, pro e contro il terrorismo islamico. Finanziatori delle
capitali occidentali propriamente dette, direttamente (investimenti) e indirettamente
(prestiti, titoli del debito pubblico). Gestori di tutti i principali show-room occidentali: tornei sportivi,
expo, megaconferenze (clima, povertà, tecnologia).
Erano principati molto chiusi e
arretrati ancora quarant’anni fa, dieci dopo essere diventati ricchi e ricchissimi
con la crisi del petrolio 1973. Ancora nel 1975 il re saudita Feisal veniva
ucciso a palazzo, reo di moderate innovazioni - la prima scuola per femmine, due
classi con insegnanti ciechi, e la televisione, dove si recitava e commentava il
Corano. Oggi all’avanguardia della modernizzazione: edilizia monumentale,
desalinazione, idroponica, energie alternative. Ma sono stati padronali: di
proprietà familiare, per diritto di conquista, recente, più che dinastico, e di
natura e organizzazione tribale. Niente Parlamenti, niente governi eletti, gli
Stati arabi del Golfo sono un caso unico in tutto il mondo. Tutti più o meno
praticanti la sharia, la legge
islamica, soprattutto per quanto concerne la condizione femminile, nel
matrimonio e fuori casa.
Non c’è opinione, non c’è
politica, non c’è libertà, se non di guadagnare. D’accordo col potere. L’attuale
reggente saudita, Mohamed bin Salman, mise agli arresti domiciliari senza problemi
sei anni fa per “corruzione” un gruppo di cugini che volevano allargarsi politicamente
dopo essersi arricchiti - tra essi Al Walid ben Talal, che aveva investito
anche in Mediaset. E la cosa è finita lì.
Particolarmente interessante il caso
dell’Arabia Saudita. Un paese di nomadi. Cresciuto rapidamente dopo il 1973 a
40 milioni di abitanti. Dove il lavoro è svolto dagli immigrati, fra i 5 e i 6
milioni. Creato un secolo fa, tra il 1926 e il 1927, da un capo tribù,
Abdelaziz al Saud, a coronamento di una serie di vittorie sui rivali nell’allora
Heggiaz, e di una serie di matrimoni nelle famiglie rivali più importanti,
specie i Sudeiri – ventidue matrimoni sono stati censiti. Nel 1945 era già in
grado di dialogare cn Roosevelt, e con Churchill. Dalla morte nel 1953 di
Abdelaziz il regno è stato sempre
gestito dai suoi figli – l’ultimo è quello regnante, Salman.
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