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Ma che fa il papa
Lascia perplessi il papa che
viaggia serafico, malgrado le difficoltà ambulatorie, tra la condanna di una
guerra, accento appena intristito, la carezza gioiosa ai bambini che lo
festeggiano con le famiglie, le conversazioni distese con chi capita, malgrado
i dolori, anche con Fazio, a lungo, ogni tanto in tv, mentre si propone di “scuotere
le coscienze”. Sembra la macchietta del vecchio prete, quello dei sacramenti,
cui non gliene “poteva frega’ de meno” – o anche “Sudamerica, Sudamerica…”..
In diplomazia si può salvarlo, c’è
una scelta errata, tecnicamente, del ruolo del Vaticano e dei messaggi. Come si
fa ad arrivare alla “mediazione” di un cardinale giulivo, che non sa nulla e a
cui nulla viene richiesto, da nessuno dei contendenti, e nemmeno dai loro proxies? A meno che non sia lui stesso a
decidere modalità e messaggi. Mentre non si è mai attivato alla protezione dei cristiani
a Gerusalemme e in Cisgiordania. Così come altrove nel mondo. Nonché delle chiese,
bruciate o minate, e delle vite dei cristiani, che a migliaia ogni anno vengono
uccisi, specie in area mussulmana, in Asia e in Africa, e perfino in Turchia.
Con un’assurda paciosa giocondità
aggirandosi fra trappole perfino grottesche, da beffa dichiarata. Come quella
che narra oggi Filippo Di Giacomo su un settimanale del giornale “Repubblica”,
quindi filo-papalino benché laico dichiarato. Di quando, ospite del governo massone
di Trudeau in Canada, si fece abbindolare da una donnetta che si spacciava per
antropologa e assicurava di avere trovato fuori di una scuola cattolica “i resti
sepolti di 215 bambini indigeni”. Che semplicemente non c’erano. Il papa chiese
scusa, e da allora “96 chiese in Canada sono state date alle fiamme o profanate”.
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