Ombre - 795
Il
“Controluce” di Graziani sul “Sole 24 Ore” mette a confronto la settimana di
bilanci e previsioni delle banche italiane (oggi Unicredit, domani Intesa,
etc.), che si annuncia tutta positiva, con i flop nelle attese, e in Borsa, di
altre grandi banche europee i giorni scorsi – la francese Bnp, specialmente, e
l’olandese Ing. Le banche che sono state
osteggiate, con durezza, a Bruxelles dalla direzione Concorrenza, della (non) inflessibile
Vestager, e a Francoforte dalla Vigilanza Bce. E non si sa il perché.
Due
colonne di contumelie di Leonetta Bentivoglio, solitamente garbata, su “le
Repubblica”, contro Beatrice Venezi sul podio di un’orchestra sinfonica. Perché
contestata, sullo stesso giornale, “dagli orchestrali” della Filarmonica di
Palermo. Senza mai essere andata a vederla - cita stroncature altrui. Rimproverandole
di non essere Karajan, e nemmeno Thielemann – né di aver mai diretto a Bayreuth
(in quanto di destra?). Fondamentale, per Bentivoglio, la stroncatura di
Piersanti, il musicista di “Montalbano”, Nanni Moretti e Gianni Amelio. L’odio è
un sistema di echi.
Né
Bentivoglio né “la Repubblica” ricordano – giornalismo elementare – che Venezi
è stata contestata da tre orchestrali – anzi d a uno, un flautista, a nome di
altri due. Che le “prime parti” si sono dissociate dai tre. E così il presidente
della Fondazione e il direttore artistico del Politeama – che non sono di
destra . E che l’orchestra aveva appena “defenestrato” il direttore artistico
Gianna Fratta – la moglie di Piero Pelù, anche lei pianista e direttore come
Venezi – e il sovrintendente Di Mauro.
“Aspettando
il Giubileo i cantieri aperti sono seimilasettecento”. Dovrebbe essere una
buona notizia e invece accascia. Seimilasettecento? Questi “eventi” sono una
sagra della corruzione – si sa, si vede perfino. Diffusa, condivisa, e per
questo non denunciata – nessun anonimo alla Procura della Repubblica. Roma certo è fortunata, il giubileo non glielo
ruba nessuno – poi ci sono le Expo, le Olimpiadi, i Mondiali, le occasioni sono
infinite.
“Non
conta il marchio, conta dove l’auto si fabbrica”. Scopre infine l’acqua calda
il segretario della Cisl. Non si chiede però ancora come e perché l’Italia, che
produceva tre milioni di automobili, ora non arrivi a 700 mila l’anno – e che
le macchine “italiane” si facciano in Polonia o in Serbia. E perché fra tutte
le fabbriche ex Fiat l’unica a pieno volume sia Pomigliano, dove i lavoratori sconfissero
il referendum anti-fabbrica di Landini.
Quanti
delitti, quando si farà la storia del sindacalismo italiano. Ci furono anni,
gli anni 1970, in cui alla Fiat di Torino si faceva di tutto, cucina, vendita
di abbigliamento, manicure, snack, si conversava, si fumava, e ogni tanto si
fissava un bullone. Ci volle la marcia dei 40 mila per riportare la fabbrica al
lavoro – lì, per la marcia, ci volle anche il grande statista Berlinguer, che
incitava gli operai a prendersi la fabbrica, nel 1980.
La
Spagna, negli stessi anni abbandonata dalla Fiat come mercato di terz’ordine, marciò
spedita verso i tre milioni di auto l’anno, con grandi marchi come Ford e
Volkswagen. Con un governo socialista.
L’Italia
è ora il paese europeo che fabbrica meno auto. Come l’Inghilterra, che già
negli anni 1960 Ford lamentava pubblicamente scelta d’investimento sbagliata,
invece della Germania, tra pause pipì, pause snack, pause sigaretta, e conversazione.
Un tempo non remoto ai box dei Gran Premi si parlava italiano,
prevalentemente, e inglese.1
Stellantis è la vendita del gruppo Fiat da parte della
Famiglia Agnelli, che non sapeva o non voleva più gestirlo. Con grossi
dividendi. Ma non per i lavoratori, e nemmeno per gli azionisti, quelli che non
hanno la residenza olandese, e quindi devono pagare cedolare doppia. Il gruppo non
è simpatico – e non gliene frega.
Nessuno che ricordi, allo spettacolo in tribunale a
Budapest della maestra milanese carcerata per violenza le “traduzioni” analoghe a Milano di “Mani
Pulite” con gli imputati che non “collaboravano” (non denunciavano altri), per
esempio quella famosa di Renzo Carra, mite democristiano, neppure ladro.
Farebbe rigaggio, e anche colore. O un qualsiasi processo americano, dove
l’imputato è alla gogna, anche in tuta arancione, e i ferri sono pesanti e
rumorosi. È un giornalismo di memoria cortissima, istantanea. O ci sono mostri
solo a Budapest?
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