skip to main |
skip to sidebar
Più ridicolo di Mussolini è il racconto di Mussolini
Si conclude a mezz’aria la
superproduzione Rai sulla “lunga notte del fascismo”, il 25 luglio1943. Tra scene
vere e una drammaturgia sfocata, dispersiva. Tra le prima il tripudio di Roma
alla notizia della “caduta del fascismo”, roba da non credere ma vera secondo
ogni testimonianza. Il bieco capo dell’Ovra, la polizia politica, Armando
Giglio, un assassino, già famigerato a Bologna, che sibila a Dino Grandi dopo
la caduta di Mussolini: “Noi siamo lo Stato!”, e ha ragione: rimane in carica
con Badoglio, e dopo la guerra non sarà condannato, ma pensionato. La “perdita”
dei Savoia – e dell’Italia - sotto l’influenza nefasta di Acquarone, il ministro della Real Casa.
Una narrazione monotona,
malgrado la drammaticità degli eventi. E la spiegazione è forse che non si riesce
a raccontare Mussolini, il fascismo, se non in chiave ironica, macchiettistica.
Mussolini furbo e scimunito. I suoi federali pure – fra tutti si eccettua solo Grandi, su cui la serie è modellata. I Savoia pure, sono sempre una
macchietta. Vittorio Emanuele III è messo a sedere su una ridicola poltrona
rossa laccata in mezzo a una stanza vuota - la stanza del trono? E tiene una
pistola a tamburo nel cassettino, la carica, e se la mette in tasca quando riceve
in udienza Mussolini defenestrato – per il quale ha già provveduto un cellulare con
i Carabinieri sulla porta carraia, in forma di ambulanza.
Peccato. È sulla “lunga notte”
che l’Italia ha evitato, malgrado le magagne successive del re e di Badoglio,
il destino della Germania: la distruzione delle città e le campagne, e la fame
per molti anni dopo la guerra – riammessa nel novero delle nazioni ben prima di
De Gasperi a Parigi.
Del fascismo pure, oltre che
di storia propriamente detta, documentata, ci sono narrazioni più leggibili, sceneggiate,
di Monelli, Montanelli, Bertoldi. Per esempio su Ciano, su Edda, sul “duca” imprenditore
Acquarone, l’anima nera di Vittorio Emanuele III. Ma non c’è scampo, le
macchiette fanno premio. Più ridicolo di Mussolini – ma non lo era – è il
racconto di Mussolini.
Giacomo Campiotti, La lunga notte
Nessun commento:
Posta un commento