zeulig
Dio – Quello di Platone (del dialogo
sull’origine del linguaggio, “Cratilo”) è il più moderno – attuale,
contemporaneo: Diòs come forma
genitiva di Zeus, che ne esprime l’attività fondamentale, quella di essere dì òn zen, colui attraverso il quale
viene data la vita.
Divenire – È sfuggente –
è il non-essere (la nientificazione dell’essere). Nella forma di Eraclito , il panta rei per cui tutto cambia, continuativamente. E, più conseguente, in
quella di Cratilo: nel movimento-cambiamento si annulla ogni consistenza. Nel suo
paradosso quello di Eraclito sembra un attardarsi, un indugiare: non solo non
ci si può immergere due volte nello stesso fiume, ma neppure una sola volta, l’acqua
che bagna la punta nel piede non è quella che bagnerà il tallone. Vivendo nel
divenire non si può neanche parlare: nel momento in cui si nominano le cose queste già sono
altro. Paradossale, ma dà un senso all’essere.
Fascismo – L’urfascismo di Eco, di Murgia non esce dalla categoria del “fascismo
eterno” di Croce. Marcello Veneziani, da destra (in “Destra e sinistra”, a cura
di Domenico De Masi), lo dice invece “una deviazione dell’ideologia moderna”,
“un capitolo interno alla modernità”. Nel senso che già Del Noce ha enucleato,
inserendo “il fascismo all’interno del più generale processo di
secolarizzazione, e del paradigma moderno, prima che nietzschiano della volontà
di potenza”.
Mai se ne è
parlato tanto come nel Millennio, che pure si penserebbe molto lontano dal
fascismo - basti vedere gli sforzi del
partito al governo in Italia, nato su un’ipotesi neofascista, che non sa cosa
fare per scrollarsene le stimmate, e si tiene stretto al conservatorismo storico
europeo. Sfugge alle categorie, volendone fare una categoria – dello spirito,
della storia. Non specifica: il totalitarismo è sintesi qualificante, ma non
dirimente (ci sono differenze tra il totalitarismo di Mussolini e quello di
Hitler, e tra questi e lo stalinismo). È, è stato, un regime politico,
dittatoriale. Come molti altri della storia – specie quella romana, a cui il
fascismo mussoliniano si collegava - in varie modalità.
Il “problema del
fascismo” – e del “neofascismo” - è che viene definito più spesso per
opposizione, con le categorie dell’ antifascismo. Che potrebbe anche essere il
metodo filologicamente più esatto, almeno per quanto concerne Mussolini,
legandosi il suo fascismo direttamente al massimalismo rivoluzionario, e in
modo indiretto agi eventi russi del 1912, alla “rivoluzione” di Lenin – che fu
alla fine, tutti i conti fatti, il malapartiano “colpo di Stato” ben riuscito
del “signor Lenin “. Ma viene utilizzato
per una definizione-negazione a priori che è invece un’affermazione, quale che
ne sia la forma: un riconoscimento del fascismo pretendendo di negarlo - di delegittimarlo
affermandolo.
Il caso più
sintomatico (prodromo degli “urfascismi”) è la riflessione di Susan Sontag,
“Fascino fascista”, pubblicata sulla “New York Review of Books” il 6 febbraio
1975 (ora nella raccolta “Sotto il segno di Saturno”). A commento del grande
successo del fotolibro di Leni Riefenstahl, “The Last of the Nuba”, e del ritorno
in circolazione dei suoi i suoi film, fino ad allora “maledetti” (di cui era
proibita la visione) ma di culto, “Il trionfo della volontà” e “Olimpia”. Film
documentari sul congresso del partito Nazista a Norimberga nel 1935, e sull’Olimpiade
di Berlino l’anno dopo, programmati e finanziati dal partito e dal governo
nazisti, da Goebbels (da Goebbels malvolentieri, su disposizione di Hitler). Il
“fascismo eterno” si afferma nel saggio di Sontag, pur non così definito,
irrimediabile.
Il successo di
Riefenstahl suona sinistro, quarant’anni dopo. E Sontag cerca di rimediare. Attaccando
la regista. Ma con argomenti falsi, cioè controvertibili. Riefenstahl era nazista, afferma, anche se fu
processata due volte dopo la guerra, e entrambe assolta. Fece un documentario
di cinquanta minuti, “Berchtesgaden über Salzburg”, “un ritratto lirico del Führer
nel suo buen retiro”, che invece non ha fatto. Godeva dell’intimità di Hitler –
che invece non era intimo di nessuno, non delle donne. Aveva un rapporto strettissimo
con Goebbels, che invece la invidiava e la odiava. I sette “film della
montagna” che Riefenstahl aveva interpretato come attrice e le avevano doto la
fama, regia di Arnold Fanck, e il suo primo da regista, nel 1932, “Das Blaue
Licht”, “possono essere visti, retrospettivamente, come Siegfried Kracauer ha
spiegato, come un’antologia di sentimenti proto nazisti” – e pensare che tra i
Wandervogel, amanti della natura, c’era anche entusiasta Walter Benjamin. “In
fatto di bellezza”, le concede, “non era razzista” , pensando al lavoro sui Nuba (e Jesse Owens in “Olimpiade”?)
Il suo lavoro “è anche esente dal dilettantismo e l’ingenuità che trovano in
altre arti prodotte nell’era nazista”. Per questo “la più moderna sensibilità
può apprezzarla”. I suoi film, “Trionfo della volontà” e “Olimpiade”, sono
indubbiamente film superbi (possono essere i due più grandi documentari mai fatti)”,
ma la sua filmografia non fa testo, “mentre molti registi (me inclusa) considerano
il regista del primo sovietismo Djuga Vertov una provocazione inesauribile e
una fonte di idee sul linguaggio cinematografico”.
Il successo di
Riefenstahl Sontag concludeva attribuendolo a non malintesi femminismo – attirandosi
una piccatissima contestazione di Adrienne Rich, la poetessa, femminista.
Esaurito il dispetto, però, Sontag era lucida sul fascismo, specie sulle sue
possibili reviviscenze, in due forme. Partendo dall’ammonimento: il fascismo
non è una parentesi della storia. Una forma è un certo regime politico, dittatoriale
e di massa. L’altra è un sentimento, prima che una politica, o un’ideologia.
Una forma,
questa, che sembra attuale. Ma fa male a qualcuno, oltre che all’arte – della stessa
politica?
Storia – Ce
la raccontiamo.
“La
storia racconta storie”, Arthur Danto.
“Viviamo
su un racconto storico” – “nessuno vive nell’immediato presente: tutti
colleghiamo cose ed eventi mediante il collante della memoria, personale e collettiva
(storia o mito che sia)” (Umberto Eco).
Suicidio –
“È la sua speranza”, dice lo scrittore Hamsun di un essere, “un buffalo”, a cui
“è andato tra le corna il giogo, e deve tenere il collo torto, e camminare
tenendo la testa piegata da un lato”: “Somiglia ad un uomo che è nei guai, e pensa
che vi è ancora una via d’uscita, si può rendere breve la vita quanto si vuole.
Nietzsche ha ragione: questa soluzione ha dato conforto a tanti e tanti uomini che
erano nella notte….” (“Terra favolosa”, 100).
Verità – È
romanzesca. È ipotesi di U. Eco, di passaggio, in una delle Norton Lectures tenute
a Harvard quarant’anni fa (“Sei
passeggiate nei boschi narrativi”, p. 111): fra i tanti altri motivi d’interesse,
“penso che noi leggiamo romanzi perché essi ci danno la sensazione confortevole
di vivere in un mondo dove la nozione di verità non può essere messa in discussione,
mentre il mondo reale sembra essere un luogo ben più insidioso”.
zeulig@antiit.eu
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