mercoledì 28 febbraio 2024

Secondi pensieri - 527

zeulig


Dio
– Quello di Platone (del dialogo sull’origine del linguaggio, “Cratilo”) è il più moderno – attuale, contemporaneo: Diòs come forma genitiva di Zeus, che ne esprime l’attività fondamentale, quella di essere dì òn zen, colui attraverso il quale viene data la vita.
 
Divenire
– È sfuggente – è il non-essere (la nientificazione dell’essere). Nella forma di Eraclito , il panta rei per cui tutto cambia, continuativamente. E, più conseguente, in quella di Cratilo: nel movimento-cambiamento si annulla ogni consistenza. Nel suo paradosso quello di Eraclito sembra un attardarsi, un indugiare: non solo non ci si può immergere due volte nello stesso fiume, ma neppure una sola volta, l’acqua che bagna la punta nel piede non è quella che bagnerà il tallone. Vivendo nel divenire non si può neanche parlare: nel momento in  cui si nominano le cose queste già sono altro. Paradossale, ma dà un senso all’essere.
 
Fascismo
– L’urfascismo di Eco, di Murgia non esce dalla categoria del “fascismo eterno” di Croce. Marcello Veneziani, da destra (in “Destra e sinistra”, a cura di Domenico De Masi), lo dice invece “una deviazione dell’ideologia moderna”, “un capitolo interno alla modernità”. Nel senso che già Del Noce ha enucleato, inserendo “il fascismo all’interno del più generale processo di secolarizzazione, e del paradigma moderno, prima che nietzschiano della volontà di potenza”.
Mai se ne è parlato tanto come nel Millennio, che pure si penserebbe molto lontano dal fascismo  - basti vedere gli sforzi del partito al governo in Italia, nato su un’ipotesi neofascista, che non sa cosa fare per scrollarsene le stimmate, e si tiene stretto al conservatorismo storico europeo. Sfugge alle categorie, volendone fare una categoria – dello spirito, della storia. Non specifica: il totalitarismo è sintesi qualificante, ma non dirimente (ci sono differenze tra il totalitarismo di Mussolini e quello di Hitler, e tra questi e lo stalinismo). È, è stato, un regime politico, dittatoriale. Come molti altri della storia – specie quella romana, a cui il fascismo mussoliniano si collegava - in varie modalità.
 
Il “problema del fascismo” – e del “neofascismo” - è che viene definito più spesso per opposizione, con le categorie dell’ antifascismo. Che potrebbe anche essere il metodo filologicamente più esatto, almeno per quanto concerne Mussolini, legandosi il suo fascismo direttamente al massimalismo rivoluzionario, e in modo indiretto agi eventi russi del 1912, alla “rivoluzione” di Lenin – che fu alla fine, tutti i conti fatti, il malapartiano “colpo di Stato” ben riuscito del “signor Lenin “. Ma  viene utilizzato per una definizione-negazione a priori che è invece un’affermazione, quale che ne sia la forma: un riconoscimento del fascismo pretendendo di negarlo - di delegittimarlo affermandolo.
Il caso più sintomatico (prodromo degli “urfascismi”) è la riflessione di Susan Sontag, “Fascino fascista”, pubblicata sulla “New York Review of Books” il 6 febbraio 1975 (ora nella raccolta “Sotto il segno di Saturno”). A commento del grande successo del fotolibro di Leni Riefenstahl, “The Last of the Nuba”, e del ritorno in circolazione dei suoi i suoi film, fino ad allora “maledetti” (di cui era proibita la visione) ma di culto, “Il trionfo della volontà” e “Olimpia”. Film documentari sul congresso del partito Nazista a Norimberga nel 1935, e sull’Olimpiade di Berlino l’anno dopo, programmati e finanziati dal partito e dal governo nazisti, da Goebbels (da Goebbels malvolentieri, su disposizione di Hitler). Il “fascismo eterno” si afferma nel saggio di Sontag, pur non così definito, irrimediabile.
Il successo di Riefenstahl suona sinistro, quarant’anni dopo. E Sontag cerca di rimediare. Attaccando la regista. Ma con argomenti falsi, cioè controvertibili.  Riefenstahl era nazista, afferma, anche se fu processata due volte dopo la guerra, e entrambe assolta. Fece un documentario di cinquanta minuti, “Berchtesgaden über Salzburg”, “un ritratto lirico del Führer nel suo buen retiro”, che invece non ha fatto. Godeva dell’intimità di Hitler – che invece non era intimo di nessuno, non delle donne. Aveva un rapporto strettissimo con Goebbels, che invece la invidiava e la odiava. I sette “film della montagna” che Riefenstahl aveva interpretato come attrice e le avevano doto la fama, regia di Arnold Fanck, e il suo primo da regista, nel 1932, “Das Blaue Licht”, “possono essere visti, retrospettivamente, come Siegfried Kracauer ha spiegato, come un’antologia di sentimenti proto nazisti” – e pensare che tra i Wandervogel, amanti della natura, c’era anche entusiasta Walter Benjamin. “In fatto di bellezza”, le concede, “non era razzista” , pensando al  lavoro sui Nuba (e Jesse Owens in “Olimpiade”?) Il suo lavoro “è anche esente dal dilettantismo e l’ingenuità che trovano in altre arti prodotte nell’era nazista”. Per questo “la più moderna sensibilità può apprezzarla”. I suoi film, “Trionfo della volontà” e “Olimpiade”, sono indubbiamente film superbi (possono essere i due più grandi documentari mai fatti)”, ma la sua filmografia non fa testo, “mentre molti registi (me inclusa) considerano il regista del primo sovietismo Djuga Vertov una provocazione inesauribile e una fonte di idee sul linguaggio cinematografico”.
Il successo di Riefenstahl Sontag concludeva attribuendolo a non malintesi femminismo – attirandosi una piccatissima contestazione di Adrienne Rich, la poetessa, femminista. Esaurito il dispetto, però, Sontag era lucida sul fascismo, specie sulle sue possibili reviviscenze, in due forme. Partendo dall’ammonimento: il fascismo non è una parentesi della storia. Una forma è un certo regime politico, dittatoriale e di massa. L’altra è un sentimento, prima che una politica,  o un’ideologia.
Una forma, questa, che sembra attuale. Ma fa male a qualcuno, oltre che all’arte – della stessa politica?
 
StoriaCe la raccontiamo.
“La storia racconta storie”, Arthur Danto.
“Viviamo su un racconto storico” – “nessuno vive nell’immediato presente: tutti colleghiamo cose ed eventi mediante il collante della memoria, personale e collettiva (storia o mito che sia)” (Umberto Eco).
 
Suicidio – “È la sua speranza”, dice lo scrittore Hamsun di un essere, “un buffalo”, a cui “è andato tra le corna il giogo, e deve tenere il collo torto, e camminare tenendo la testa piegata da un lato”: “Somiglia ad un uomo che è nei guai, e pensa che vi è ancora una via d’uscita, si può rendere breve la vita quanto si vuole. Nietzsche ha ragione: questa soluzione ha dato conforto a tanti e tanti uomini che erano nella notte….” (“Terra favolosa”, 100).
 
Verità – È romanzesca. È ipotesi di U. Eco, di passaggio, in una delle Norton Lectures tenute a Harvard  quarant’anni fa (“Sei passeggiate nei boschi narrativi”, p. 111): fra i tanti altri motivi d’interesse, “penso che noi leggiamo romanzi perché essi ci danno la sensazione confortevole di vivere in un mondo dove la nozione di verità non può essere messa in discussione, mentre il mondo reale sembra essere un luogo ben più insidioso”.    

zeulig@antiit.eu

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