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Amore – Se
ne parla molto, specie nelle encicliche. Dell’amore sessuale. Silvia Ronchey ne
può fare una sintesi in carattere sul settimanale “Robinson”. Fin dagli inizi
della riflessione: “Se secondo Platone l’amore è ciò che determina tutte le
azioni e le aspirazioni degli esseri umani”, da sempre, “dagli inizi della
riflessione greca sull’origine del mondo”, l’amore “si identifica con l’energia
cosmica”. Nei presocratici. In Empedocle. Esso emerge dalla materia indistinta
come forza irresistibile, “un uovo pieno
di vento”, da cui si genera “amore dalle ali d’oro splendenti” (Esiodo).
Indistintamente sacro e profano, quello di Dante (“l’amor che move il sole e
l’altre stelle”), o della bella Sulamita nel “Cantico dei cantici” – “forte
come la morte è l’amore,\ duro come l’Ade il desiderio”.
Se
ne parla molto perché se ne sente la mancaza, checché esso sia? Proust, per
dire, che non ne sente la mancanza, non lo concepisce che come gelosia –
possesso di qualcosa-qualcuno che non interessa, e un po’anche dispiace, la Odette
di Swann, l’Albertine di mille lunghe pagine.
È
di Socrate non nel senso di “socratico”. In quello del Socrate di Platone, del
“Simposio” – che sostiene “di non conoscere nient’altro se non ciò che riguarda
l’amore”. Lo stesso chesa di non sapere.
Depressione – Si
vuole sindrome maschile: gli uomini che affrontano un trattamento antidepressivo
sono il doppio rispetto alle donne.
Più
accentuato il divario tra i suicidi: quelli maschili sono tre su quattro, il 75
per cento. Il tema delle sensibilità dovrebbe tenerne conto. Anche della
dialettica, e prassi, maschio\femmina: c’è un maschilismo da costruire.
Differenza - Molto
pensiero vi si alimenta trascurando la sua intrinseca ambiguità. Differenza insorge
dapprima e nel linguaggio comune come notazione, di addizione e sottrazione, di
più e di meno. Meglio si direbbe la diversità. Anche totale (radical), quale
può essere fra un soggetto animato o sensibile e uno inanimato.
Famiglia – È
lontana da Lévi-Strauss, che pure non è di secoli fa ma solo di cinquant’anni
fa (“Razza e storia ”): “L’unione più o meno durevole, socialmente approvata,
di un uomo, una donna e i loro figli, è un fenomeno universale, presente in ogni
e qualunque tipo di società”. Donata Francescato calcola oggi (“Destra e
sinistra”, a cura di Domenico De Masi): “Abbiamo (in Italia, n.d.r.) 8,5
milioni di persone… che vivono da sole”. Sono “il trentatré per cento degli
adulti, cioè il gruppo più numeroso in Italia”. La “famiglia” più diffusa, perlomeno
in Italia, sarebbe dunque quella “single”. Non basta: “Un altro trentadue per
cento è composto da un genitore e un figlio”. La famiglia, con vari componenti,
è quindi solo un terzo del totale della popolazione “adulta”.
Le
cifre di Francescato cozzano contro il senso comune. Ma è indubbio che molto
sta cambiando. Molti uomini “in età adulta” si vedono che passano la gironata
portando a spasso cani e cagnetti, dopo il figlioletto al nido o alla scuola. C’è
un problema di ridefinizione dei ruoli maschili, fuori dagli schemi femministi che
s’impongono da alcuni decenni, e dell’uomo sulla difensiva, che espia colpe che
non ha commesso, senza più un modi di essere, affermativo. E si è perso
certamente il ruolo della madre, che costituiva il perno dela famiglia di
Lévi-Strauss.
Una
perdita che passa per la cucina: non si fa più cucina in casa, non
continuative, non vera cucina. Non c’è più il rito del pranzo in comune,
occasione e foro di conversazione-coabitazione – Stanley Tucci in “Ci vuole
gusto” ne dà probabilmente testimonaiza a futura memoria, di una madre che
lavora (edita, traduce, scrive) e non fa mancare un pasto ai figli.
Imperfetto – L’inglese non ce l’ha, e
questo, spiega Eco ai suoi ascoltatori americani di Harvard, delle Norton
Lectures, rende difficili le traduzioni. In realtà impoverisce la lingua – Eco
non lo dice ma lo spiega: “L’imperfetto è un tempo molto interessante, perché è durativo e iterativo. In quanto
durativo ci dice che qualcosa stava accadendo nel passato, ma non in un momento
preciso, e non si sa quando l’azione sia iniziata e quando finisca. In quanto
iterativo ci autorizza a pensare che quella azione si sia ripetuta molte volte.
Ma non è mai certo quando sia iterativo, quando sia durativo, e quando sia
entrambe le cose”.
È il tempo della
storia, indefinito.
Politica
– È un’arte. Nel senso di un mestiere,
di una professione (Machiavelli). E nel senso artistico, del bello artistico (Majakovski, “Novecento”,
Goebbels).
Straniero - Non
c’è lo straniero, arguisce Tomaso Montanari per smontare l’idea e prassi di nazione,
citando Eduardo Galeano: “Il tuo dio è ebreo, la tua musica è nera, la tua
macchina è giapponese, la tua pizza è italiana, il tuo gas è algerino, il tuo
caffè brasiliano, la tua democrazia è greca, i tuoi numeri sono arabi, le tue
lettere sono latine, io sono il tuo vicino e tu mi chiami straniero?”. Eppure
c’è. Quello di Camus è uno estraneo a se stesso – un dissociato. Ma non è qualificante:
c’è di fatto, in massa. Nel mondo arabo, o le tribù africane, per stare ai nostri
vicini – per non dire delle tribù germaniche, dalle Alpi al polo Nord, superbe
per ogni verso, o del leghismo. Simon Weil non è più citata, ma soprattuto per
“L’enracinement”: questo però non vuole dire che il radicamento non esista,
solo che è rifiutato. Perché gli Stati Uiti sarebbero il Sudafrica – ci sono
bianchi e neri in entrambi i paesi? E la Fracia “repubblicana”, il paese
europeo che più a lungo e con più consistenza è stato il più mescolato, da metà
Ottoceno per un secolo e mezzo? Prima della Gran Bretagna di oggi, saldamente
inglese, nemmeno tanto “britannica”, fino alla Brexit, per quanto stupida si voglia
– governata da inglesi asiatici ma pur sempre inglesi. Si loda peraltro la Costituzione, che è una
carta d’identità.
Si
nega la diversità per il timore che degeneri in razzismo? Ma si fa torto anche all’altro, che
non si accetta per quello che è ma perché, e se, è come noi.
Suicidio – È
maschile second le statistiche, molto più che femminile. In Germania, secondo
l’Uffico federale di statistica, nel 2021 novemila e qualcosa persone si sono
tolte la vita, 254 al giorno, e per tre quarti erano maschi. In Italia, si
legge sul sito Istat, “nel 2016
(ultimo anno per il quale i dati sono attualmente disponibili) si sono tolte la
vita 3780 persone. Il 78,8 per cento dei morti per suicidio sono uomini”, quattro
su cinque: “Il tasso (grezzo) di mortalità per suicidio per gli uomini è stato
pari a 11,8 per 100.000 abitanti mentre per le donne è stato di 3,0 per 100.000”.
Il
suicidio è maschile per una condizone fisiologica? Per una condizione storica
più probabilmente, che induce all’abbandono della speranza per via dell’impegno
che è richiesto a vivere - farsi valere, imporsi, in qualche modo: all’uomo è
richiesto di combattere. Nel vasto mondo, e anche in famiglia.
Storia – È
imperfetta. Del tempo “imperfetto”, il tempo grammaticale, che fa riferimento a
tempi e modi delle azioni e gli accadimenti indeterminati. Anche in un arco di
tempo e una serie di eventi definiti.
Viaggio –
Freud lo assimila al vagabondaggio, E in entrambe le forme li dice un errare
mortuario, ma sessuomane – di sessualità
inesausta.
zeulig@antiit.eu
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