Giuseppe Leuzzi
“«Troppi 100 e lode al Sud». E il governo fa integrare
il diploma con i test Invalsi”. Cioè con dei test in cui Milano fa meglio del
Sud alla maturità.
È un titolo di giornale che
sembra uno scherzo, e invece è un decreto. Ci sono programmi per le scuole e
norme per gli esami, ma il governo del Ponte fa una legge speciale razzista –
l’ha fatta sabato scorso, senza dirlo a nessuno.
È costante nelle graduatorie della felicità
(soddisfazione, benessere….), anche non settentrionali, “di organismi indipendenti”,
la prevalenza dei paesi nordici – in Europa. Perché sono basate sull’autostima:
si chiede agli abitanti di ogni paese se
sono soddisfatti, di questo o quel servizio, o condizione. Un olandese si dirà
soddisfatto del suo sistema sanitario anche se per essere accudito da
un’ambulanza o un pronto soccorso bisogna essere in fin di vita (vero). Mentre
un italiano si dirà insoddisfatto. L’autostima è metà del successo – del
benessere.
Il governo Andreotti del 1989
lo storico Barbagallo diceva (“Napoli fine Novecento. Politici, camorristi,
imprenditori”, 1997) “il più meridionale” della storia d’Italia, “perché metà
dei ministri sono meridionali”. Dopo
aver detto – fatto dire a Paolo Cirino Pomicino – una trentina di pagine prima: “In cinque anni abbiamo avuto più
fondi per Napoli che in cento anni di unità d’Italia”.
Il Sud non ha un centro
Il presidente della Regione
De Luca il 16 febbraio porta i sindaci della Campania a Roma contro il governo:
“Non ci dà i fondi Pnrr”. Il governo risponde per bocca del ministro Fitto,
pugliese, che manca la lista dei progetti da finanziare, che la Regione
Campania doveva fornire. Fulmini di De Luca. Che però il 29 manda infine la documentazione
necessaria.
Tutto fuorché lavorare – un
poco.
Sui fondi Pnrr il De Luca
inadempiente però non si risparmia l’ultima parola: “Siamo in battaglia, è
il destino del Sud”. Ma è un altro
equivoco: la Sicilia è difficile che si identifichi con Napoli – anche la
Calabria (e forse neppure la Puglia). Anche sui capipopolo, che a Napoli invece
piacciono - un po’ smargiassi (non
mandare la documentazione, e protestare).
Il Sud è molto diverso – e
semmai nutre verso Napoli più rancori che verso Torino.
Napoli è una metropoli.
Meridionale, è la città più grande del Sud, ma non la metropoli del Sud.
Il “Sud” è un concetto geografico,
non ha un centro, sociale, politico.
L’amore di sé
“Pure cotali regioni sono
misera stanza di sterilità e di fatica; contorte e scapigliate le arborature,
umili e cadenti le case, disadorne vi appaiono le chiese, meschini e quasi
accozzagli del caso i villaggi; ma sopra
tanta apparent deformità si spande invisibile, e attragge l’animo senza passare
per gli occhi, una cert’aria di pace serena che non abita le champagne più
ubertose e fiorenti”. Non lesina entusiasmo Ippolito Nievo, in apertura del racconto
giovanile “Il Varmo”, il piccolo affluente di pianura del Tagliamento che ha formato
una landa pietrosa, per la “sua” terra. Bella facendo anche la povertà, della
natura.
Tutti i particolari che
descrive sono poveri, e scintillanti: “Là pertanto dalla nitida ghiaia
sprizzano ad ogni passo le limpid perenni fontane, e di sotto alla siepe sforacchiata
dal vento effondesi un profumo di viole più delizioso che mai, e per l’aria
salubre e trasparente piove da mane a sera il canto giocondo delle allodole; là
pascolano armenti di brevi membra e sottili che morrebbero mugolando innanzi
alle colme mangiatoie della bassa….”.
Il sottosviluppo è
psicologico, prima che di risorse. Di gente in pace con se stessa.
La squalifica del Sud è recente, è unitaria
C’è una faglia nella letteratura
del Grand Tour, dei viaggiatori in Italia che raccontavano i propri viaggi – un
filone letterario cospicuo: l’unità d’Italia. Dapprima l’Italia è uguale:
rovine, vino, nobiltà, avventura, se non altro un po’ di pittoresco. Con l’unità
si moltiplicano i viaggiatori al Sud, soprattutto donne, attratti dall’impresa
e dal mito di Garibaldi. E qui comincia, con molto buon cuore, la squalifica
del Sud. Tante “milady”, anche se mezze calzette al loro paese, chaperonate normalmente da gentiluomini
savoiardi, conti, prefetti, ufficiali, trasformano l’orrido, la natura selvaggia,
in orrore, sudiciume e bestialità.
Al Sud era venuto anche
Dumas, che ne scrive, ne continua a scrivere, come di ogni altro luogo e popolo.
Ma saranno pochi come lui, due o tre, Gissing, Norman Douglas. Non ci sarà più luce
al Sud.
Prima non era così. Il Sud
era visto com’era, ricco e povero, abitato da gentiluomini e da diavoli, e da poveri
diavoli. Pittoresco, cioè “strano”, cioè “diverso”, ma non il mondo del male.
Prima si possono suddividere i viaggiatori memorialisti in tre categorie, a
seconda che al Sud si trovino: come altrove (Courier, Custine, Dumas), in un
mondo diverso ma stimabile (Edward Lear), a disagio. Poi, apertosi il
Risorgimento, venne la squalifica del Sud. Per motivi politici, che nelle loro espressioni
più alte sono palmerstoniani. Ma dopo Teano diventano imperialisti.
Il parallelo è sconvolgente
fra la squalifica del Sud nel 1860-1865 e la “squalifica del negro” nel
Cinque-Seicento. Le varie “Milady”, incongrue più che avventurose viaggiatrici
nell’Italia del S ud post-unitario riunisce
le due esperienze: potrebbero essere palmerstoniane (oggi si direbbero – un marxista
le direbbe - agenti di Palmerston, di Londra, degli Usa) riciclate – prestate ai
Savoia per creare l’immagine dei Savoia, delle infuencer in concept.
La squalifica del Sud
riproduce in tempi ridotti, concentrati, quasi fulminei, la squalifica del
negro, se non è scorretto usare la parola – dell’africano nero. Gli africani
non hanno costituito una meraviglia (una meraviglia negativa) fino a una certa
epoca. Nella storia d’Europa, fino alla Bibbia compresa, s’incontrano regine
nere, principi neri, amanti nere, madonne nere - di un colore diverso ma
normale. La squalifica dell’Africa comincia col proselitismo (le conversion in
massa, le missioni) e con le piantagioni. Con l’economia coloniale dell’America,
che sfruttava i neri perché in quell’epoca
venivano razziati nel Golfo di Guinea, dal Senegal all’Angola, dagli
arabi e dagli stessi potentati neri – la razzia era un’arma, a fini di riscatto
o di vendita. I missionari non erano razzisti, non discutevano se gli africani
avessero un’anima, e tuttavia erano corrivi.
Non furono, e non sono, i missionari le menti e l’anima più eccelse del mondo cristiano.
Normalmente erano , e sono, persone prestanti fisicamente, di spirito semplice,
senza grandi bagagli o bisogni culturali. Sempre attoniti di fronte alla
diversità, che non si spiegano. Sono all’origine della favola “però, sono buoni”. Anzi, della favola dell’africano
“bambino cresciuto”. Ma non sono stati i soli – con i mercanti di carne umana –
a squalificare l’Africa. Con alcuni scrittori, d’inventiva corriva e ripetitiva.
E qualche papa, p.es. quello delle “diez mil toneladas de negros” che si potevano
commerciare, Alessandro IV Borgia.
I missionari più intelligenti, i gesuiti, nel 1575
la pensavano così – in un rapporto
citato da Tacchi Venturi, “Storia del Compagnia di Gesù in Italia”: “Le montagne
della Sicilia e della Calabria sarebbero indicate come luogo di noviziato per i
missionari delle Indie. Chiunque sarà riuscito nelle Indie di casa nostra (de acà nell’originale, n.d.r.) sarà
eccellente per le Indie lontane”. Ancora nel Seicento
il Sud fu “las Indias de por acà”. Però senza condanna, come una cosa diversa,
difficile da conquistare.
Il Sud come Indie deve molto ai gesuiti, che vi
s’inventarono missionari. Non avevano il coraggio d’imbarcarsi, ma non volevano
restare indietro a Francesco Saverio e Matteo Ricci. “Queste Indie di qui”, si scrivevano, “queste
montagne della Sicilia sono Indie”, “India italiana”, “Indie d’Abruzzo”, “Indie
di Calabria”, “in queste Indie”. Ma non dissimilmente pensavano di altri luoghi
e altre popolazioni – i gesuiti sicuramente sono superbi. La squalifica del
Sud altra cosa, è totale e irrimediabile,
ed è recente, postunitaria.
Cronache della
differenza: Napoli
In “Napoli fine Novecento” Francesco Barbagallo, che vent’anni dopo celebrerà “Napoli, Belle Époque”, nota in apertura: 1973, c’è la crisi del petrolio, a Napoli c’è il colera.
Napoli record, della Rca evasa, l’assicurazione auto obbligatoria, dei premi Rca più cari, delle liquidazioni danni automobilistici più ricche. Da un capo all’altro, non c’è limite allo spregio, col beneficio della corruzione.
Ha, da sempre, il record dei veicoli non assicurati, e il record della Rca più alta. In ragione delle tante truffe alle assicurazioni. Si direbbe una pena autoinflitta, ma non per caso.
“Sono oltre 500 mila le imprese attive in Campania” – “Corriere della sera – Economia”. Con eccellenze nella logistica, la farmaceutica (biotecnologie), spazio, “con un ecosistema particolarmente innovativo per il Paese”. Più i settori tradizionali, agroalimentare (“nel 2022 il valore delle esportazioni regionali ha superato i 10 miliardi, con un aumento del 30 per cento rispetto al 2012”), e turismo. Cosa manca alla Campania per definirsi una regione industriale? La cultura, si direbbe – la cultura della produzione e della promozione, invece che del “colore”, il caffè, la piazza, la canzone, e la camorra.
Il “delegato” di Polizia a Milano, napoletano, è “il mussulmano” per i personaggi milanesisssimi di Gadda, “Un fulmine sul 2002”, 21: chiamato a dirimere una confusa questione parentale, “il mussulmano inverdì, pareva un califfo che avesse colto un infedele nell’harem…Malano era più forte di lui” – Malano.
Un onorevole spara a Biella e la notizia è: neanche a Napoli. È una notazione razzista (leghista), il presupposto. è che a Biella tutti sono belli-e-buoni, anche i fascisti. Ma è, dovrebbe essere, attestazione di uno status speciale, la metropolis Napoli, con tutti i suoi san Gennaro, e le sue baraonde per lo scudetto, è probabilmente la citta italiana più innovativa, anche tecnicamente, e cosmopolita, più capace di assorbire, e di adattarsi.
leuzzzi@antiit.eu
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