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sabato 23 marzo 2024

Il mondo com'è (474)

astolfo


Meticciato
– Seguiva un meticoloso ordinamento, linguistico e anche sociale, a seconda delle percentuali di “sangue” misto col “sangue” bianco – di incroci genitoriali. La categoria e la classificazione nascevano in dipendenza dell’occupazione europea del continente americano e della tratta degli schiavi dall’Africa (il Battaglia non lo registra prima del Cinquecento), e successivamente della colonizzazione dell’Africa e dell’Asia. Assumendo nomi anche variabili a seconda dell’area geografica di mescolanza etnica.
Il creolo, più ricorrente al femminile, nasce dal connubio di una donna africana, o già creola di suo, con un caucasico. come il bianco era chiamato prima del politicamente corretto. Appellativo ricorrente in letteratura, in un quadro celebrativo, di armonia dei tratti, portamento, riservatezza, eccetera. Nei Caraibi e in Sud America creolo sono – erano - i nati da un bianco e un’amerindia, per lo più – un incrocio tra bianco e amerindio. In Australia tra bianco e aborigena – non se ne conoscono tra aborigeno e bianca.
Creolo dicendosi il fifty-fifty, il meticciato si classificava per quarti di sangue non bianco: mulatto (due quarti), quarterone, ottavino. Per aggettivo percentuale nella più precisa lingua inglese: terceron (un terzo di sangue “nero” – incrocio tra bianco e mulatto), quadroon (un quarto di sangue “nero”), o quarteronquintroonsextroon, hexaroon, octaroon, decaroon, hexadecaroon (un sedicesimo “nero”) e avanti fino a venti. Si prenda l’octaroon octoroon: si riferiva a una persona con un ottavo di derivazione africana-aborigena. Cioè chi aveva un nonno bi-razziale. Cioè, un bisnonno africano e sette bisnonni europei. Un caso del genere era il poeta russo Puškin – che pure era considerato, e si considerava, avere tratti somatici negroidi, come allora si diceva, capelli, colorito, labbra.
Nei Caraibi la classificazione seguiva gli stessi criteri con una terminologia diversa. Costee era un quarto nero. Mustee ci aveva un ottavo di ascendenza africana. Sacatra il viceversa, chi era per sette ottavi nero o africano e per un ottavo bianco o europeo.  Fustee un sedicesimo nero – col diminutivo mustifino-mustifini, un trentaduesimo nero.
Fino a non molti anni fa i meticci si credevano sterili, per questo motivo furono detti mulatti. Una credenza che per le donne equivaleva a licenza, per Baudelaire e non solo.
 
Mary Edmonia Lewis – Oggi dimenticata, fu una scultrice romana del secondo Ottocento (1844-1907), con studio-bottega in piazza Barberini, che dispiegò una vasta attività, di cui rimangono le testimonianze però solo in America. Di manufatti, di cui è iniziata da pochi anni la rivalutazione, con la riscoperta della scultrice nel quadro del “rinascimento africano”. Era infatti una afroamerindia, nata cioè in America da genitori di origine africana e indiana. Presto stabilita a Roma, quando aveva vent’anni o poco più, nel 1865: vi fece poco studio e molta pratica. A Roma risiedette ed operò per quasi quarant’anni, fino alla morte, nel 1907 (è seppellita nel cimitero acattolico del Testaccio), con un laboratorio aperto, sulle orme di Canova, anche ai turisti. Ma soprattutto lavorò per committenze americane, di personalità o istituzioni. Molte sue opere sono state rintracciate negli Stati Uniti dopo la sua recente riscoperta nell’ambito dell’African Renaissance, e si è accertata la sua partecipazione nel 1876 alla Centennial Exposition di Filadelfia, l’esposizione del centenario dell’indipendenza – con un marmo monumentale, del peso di quattrodici quintali, “La morte di Cleopatra”. Fu una scultrice di segno neoclassico.
Era nata nel 1844, da padre haitiano, di mestiere valletto, presso famiglie ricche, e madre della tribù degli Ojibwe - di Missisauga, località al Nord egli Stati Uniti, oggi in territorio canadese. La nascita potrebbe essere avvenuta nel 1842, stando alle varie date da lei fornite per i documenti – uno porta anche un impossibile 1856. Il nome alla nascita era Edmonia, Mary è una sua aggiunta. Wildfire era il suo nome nella lingua della madre – il fratellastro maggiore era Sunshine.
Anche il padre è incerto: potrebbe essere stato Robert Benjamin Lewis, uno scrittore afroamericano di cose etniche – ma Samuel, il fratellastro più grande di una decina d’anni, nato in Haiti, si diceva nato da un “francese delle West Indies”, quindi da un haitiano. Rimasta presto orfana, di madre e di entrambi i possibili padri (Samuel Lewis morì nel 1847, Robert Benjamin Lewis nel 1853), fu cresciuta con Samuel per quattro anni da due zie materne, vicino le cascate del Niagara, dove le due donne esercitavano una piccola, attività commerciale, vendendo souvenir indiani (cesti, mocassini, ricami) ai turisti. Nel 1852 Samuel partì per San Francisco, a caccia dell’oro. Edmonia restò nella custodia di un Capitano S.R.Mills. Samuel fece fortuna rapidamente, e quattro anni dopo, nel 1856, poteva pagarle il New York Central College, per la preparazione al liceo, una scuola battista abolizionista. E nel 1859 un liceo in Ohio, l’Oberlin Institute, una delle prime scuole che ammetteva donne e non bianchi. Ne sarà espulsa, senza diploma, nel 1863.
Già a New York sarebbe stata “dichiarata selvaggia”, a suo dire. A Oberlin, su mille studenti, quelli di colore erano solo trenta. E, a dire di Edmonia, non potevano intervenire in classe né parlare nelle cerimonie pubbliche. L’uscita da Oberlin era stata in sostanza un’espulsione. Nell’inverno del 1862 fu accusata di avere avvelenato due compagne, somministrando loro nel vino speziato la cantaride – un afrodisiaco. Ci fu un processo e ne uscì assolta. Ma subito fu accusata di nuovo, questa volta di furto di materiali agli artisti in forza alla scuola. Anche questa volta f assolta. Salvo essere accusata di nuovo di furto, questa volta genericamente. E a questo punto lasciò la scuola – che l’anno scorso le ha dato il diploma honoris causa. È considerata la prima afroamericana, con radici native, ad avere riconosciuto lo status di artista in senso generico. A Roma non ha mai avuto nessun problema di tipo giudiziario.
Dall’Ohio passò a Boston con l’idea già definita di praticare l’arte. Ricevette vari rifiuti ma uno scultore rinomato, Arthur Brackett, che era anche un acceso abolizionista, la prese nel suo studio.  In un anno o poco più di attività, Edmonia Lewis vi sbozzò molti soggetti, e anche, in chiave di partecipazione indiretta alla Guerra Civile in corso al Sud, i busti di John Brown e del colonnello Robert Gould Shaw.
“Non starei una settimana rinchiusa nelle città, se non fosse per la mia passione per l’arte”, scriveva a un’amica. Ma poi passò tutta la vita a Roma.
Riscoperta dal revival di studi afroamericani, Mary Edmonia Lewis è in qualche modo rappresentata (lei come un’altra afroamericana romanizzata nel secondo Ottocento, Sarah Parker Remond) da Igiaba Scego nel personaggio Lafanu Brown, in “La linea del colore”.
 
Polyamory – Una combinazione di greco (poly, molti) e latino (amor), l’Oxfrod Languages la dice “la pratica di impegnarsi in multiple relazioni romantiche (e tipicamente sessuali) col consenso di tutte le persone coinvolte”. Relazioni multiple “pubbliche”, comunicate e consentite, non clandestine. Per wikipedia è l’amore di più di una persona nello stesso tempo, “con rispetto, fiducia e onestà per tutti i partners coinvolti”. Il vecchio libero amore, o “relazione aperta”. Con “rigetto dell’opinione che l’esclusività sessuale e relazionale (monogamia) sono i prerequisiti per relazioni d’amore”. Ne fa ampi uso la pubblicistica lgbtqia.
L’origine della parola si fa risalire a un articolo Morning Glory Zell-Ravenehart, una profetetessa del Neopaganesimo, sarcerdotessa di una Church of All Worlda, “A Bouquet of Lovers”, pubblicato su “Green Egg Magazine” a maggio del 1992. L’Oxford English Dictionary invece lo fa risalire al newgroup alt.polyamory creato su Usenet, la prima rete internet, da una Jennifer L.Wasp nel maggio del 1992.
 
Sarah Parker Redmond – Afroamericana, ostetrica, fu attiva in Italia, a Firenze e a Roma, dove infine si stabilì, nel secondo Ottocento. Accompagnata da una famiglia molto conosciuta a Roma, dove aveva aperto e gestiva un albergo rinomato, l’Hotel Palazzo Moroni, nei pressi di San Pietro, in Borgo Vecchio, 165 – ora via della Conciliazione, 51.
Nata a Salem nel 1826, in una famiglia di afroamericani abbienti, e attivi abolizionisti, presto si era legata al movimento, al seguito del fratello maggiore Charles - la sua figura è riemersa di recente, nel quadro degli studi di storia afroamericana. Accompagnandosi alle leader dell’abolizionismo, le americane bianche Susan Anthony e Abby Kelley Foster, in tour di conferenze per i diritti delle donne e contro la schiavitù. Insoddisfatta, nel 1858, tre anni prima della Guerra Civile, si trasferì a Londra, dove visse otto anni, sempre parte attiva del movimento contro le discriminazioni razziali e di genere.
Benché affluenti, i Remond non avevano vita facile a Salem. Provarono a iscrivere i figli a una scuola privata, che i rifiutò. Quando infine Sarah e le sorelle furono accettate in un istituto per ragazze non segregato, furono poi di fatto espulse perché il comitato scolastico decise di iscriverle, sì, ma a un corso separato, per soli neri. Nel 1835 la famiglia si spostò nel Rhode Island, uno stato meno segregazionista, a Newport, sempre per dare un’istruzione alle figlie. Ma la scuola non le accettò – l’istruzione si avviò in una scuola privata aperta e gestita da afroamericani. La famiglia ritornò allora a Salem, dove Sarah proseguì la sua istruzione da autodidatta.
Presto cominciò il giro delle conferenze. Ma anche in questa circostanza subendo l’umiliazione di alloggi “separati”, e poveri. Nel 1853 divenne un personaggio pubblico per essersi rifiutata di prendere posto in una sezione segregata dell’opera di Boston, l’Howard Athenaeum. Aveva comprato per sé e alcuni amici i biglietti per il “Don Pasquale”, ma arrivando a teatro il gruppo si trovò confinato in un’area separata. Sarah rifiutò il posto, e fu cacciata, a spintoni giù per le scale. Fece causa per danni e la vinse, con un rimborso di 500 dollari, cifra enorme, il riconoscimento della direzione del teatro di avere avuto torto, e l’ordine di “integrare” tutti i posti a teatro.
A Londra, dove l’aveva preceduta il fratello maggiore Charles, si trovò più a suo agio. Specie con le altre donne del movimento abolizionista. Ci visse otto anni. Conobbe e frequentò Mazzini. Su suo consiglio, si presume, decise di trasferirsi in Italia. Lo fece nel 1866, a quarant’anni, con lettere di presentazione di Mazzini. Che la indirizzò a Firenze, allora capitale, dove fu accettata alla scuola ospedaliera di Santa Maria Novella: poté studiare Medicina, e due anni dopo si diplomò ostetrica. A Firenze anche sposò, il 25 aprile 1877 (il certificato di matrimonio è online), a 52 anni, un Lazzaro Pintor, di 43 anni, di origine sarda, che è registrato come impiegato, ma potrebbe anche essere stato, allora o in seguito, “pittore di strada” – Sirpa Salenius, la biografa di Sarah Remond nella recente riscoperta, sintetizza così l’evento: “Il 25 aprile 1877, all’età di 50 anni come l’atto di matrimonio certifica, sposò un impiegato italiano, Lazzaro Pintor, che successiv
amente divenne un artista. Era nato nel 1833 in una famiglia alto-borghese. Entrambi il padre e la madre avevano lauree in legge…” - che sembra un po’ raffazzonato, ascrivendo Lazzaro ai Pintor del secondo Novecento, e insieme al vagabondaggio dell’artista di strada, mentre la prima donna avvocato in Italia arriva mezzo secolo dopo.  
A Firenze ebbe ospite la sorella Caroline, sposata Putnam. E dopo di lei il nipote, Edmund Quincy Putnam, con la moglie Gertrude Agnes Elliston. Dopo Porta Pia si stabilì a Roma, in piazza Barberini 6. Qui la ricorda Frederick Douglass, lo scrittore afroamericano che sarà la massima autorità in fatto di desegregazione e di african renaissance, quando visitò l’Italia nel 1887. Con più calore ancora Douglass ricorda “Gertie”, la nipote acquisita della “dottoressa”, questo il suo titolo, che gestiva e animava l’Hotel Palazzo Moroni.

astolfo@antiit.eu

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