L'elogio della femminilità
Sorprese , cose viste, emozioni della
scrittrice, russa emigrata, quarantenne, “somigliante a Katherine Hepburn”, vedova
dello scrittore Chodasevič, sposa dal 1936 di un V.N.M., a Parigi durante la Guerra
e fino a qualche anno dopo. Tra il 1939 e il 1950. A Longchêne, a due ore da
Parigi. Con due pause in Svezia. Anni ridotti “allo stendhaliano lectutre et
agriculture” – l’unico piacere possible sotto la Restaurazione, “dopo la
caduta d Napoleone”.
Il quaderno si apre col patto Stalin-Hitler. Una
conferma per gli emigrati di stare dalla parte giusta, e l’inizio di nuove
disgrazie. Prima a opera dei francesi, poi dei tedeschi occupanti, quando la
Germania invade l’Unione Sovietica – i russi emigrati vengono censiti, molti
reclusi in campi di concentramento, altri arruolati come forza lavoro, in
quanto anti-comunisti.
Il diario registra la vita degli emigrati russi
nella guerra, le cene tra amici, le serate di poesia, feste e balli, e anche la
miseria, dei tanti finiti male per malattia, alcol, miseria. Con commedie e
sceneggiate. Per lo più per promuovere raccolte fondi per i letterati poveri, “per
attrarre le persone facoltose (soprattutto ebrei generosi e di buon cuore, gli
emigrati russi non si interessavano alla letteratura o erano troppo poveri)”.
Ricordi di un mondo com’era. Di Blok, che Berberova
studia, Belyi, Gor’kij, che l’ha ospitata a Sorrento nel 1925, Tolstoj,
Strindberg. E di Nabokov (da lei stimato – sarà la prima e massima filologa del
fenomeno “Lolita” – ma non popolare tra gli emigrati), il Nobel Bunin,
Chodasevič, Merežkowskij, Zajcev, Remizov, Rozanov, di passaggio Erenburg, “funzionario
sovietico” . Con una peculiare attenzione alla massoneria, alle due massonerie:
di destra. Grande Loge, e di sinistra, Grand Orient, intercambiabili, divisioni
cioè bonarie, ma non senza rilevare che “la massoneria politica ebbe un ruolo
fondamentale” nell’avvio della rivoluzione russa, nel 1917 (e sottolineare: “Non
fecero mai parte della massoneria le seguenti persone: Chodasevič, Merežkowski, Bunin, Remizov, Zajcev, Muratov”).
Particolari le annotazioni sulla guerra: i bombardamenti,
prima tedeschi, subito poi alleati, le notti nei rifugi, gli sfollati. “Quanto
più rimbomba l’artiglieria, tanto più cantano gli usignoli, ogni notte…. (nel
rifugio) i bambini tremano…le fragole sono mature e tutte nere…”. O le donne e
la guerra - questione sempre omessa: che fare? “Tricotez”, consiglia
Colette, fate la calza.
Con poco di se stessa, ma impregnante. In
Svezia, ospite di due gentildonne nella loro villetta estiva, dalle notti
bianche, riesce una notte, sola ai remi, a vincere la fobia dell’acqua che la
perseguita da una vita. A Natale del 1941 i bambini di un tagliaboschi spagnolo,
un dei profughi della guerra civile che la Francia aveva internati, vanno a casa
di Nina e il marito per cantare le canzoncine, due ragazzi e due bambine, Anita
di tre anni e Ramona di sei, con tromba e tamburino, “tutti con vestiti puliti
e in ordine”, e un groppo di lacrime le sale agli occhi: regala a Ramona un nastro
e glielo annoda sulle trecce a coroncina – “era come se in lei convergessero
tutta la compassione, la tristezza e la bellezza de mondo”. Conosceva Ramona: “Un
mese fa l’incontro con la piccola mi ha liberato – grazie all’ammirazione, alla
compassione, alla rassegnazione – da uno dei miei stati d’animo più opprimenti,
dalla sensazione di aridità e di gelo”. In poche righe, con discrezione, il cruccio
di una vita, la mancata maternità – Ramona, incontrata per caso dal lattaio un
mese prima, coi suoi stracci, coi “suoi occhi mansueti”, aveva scatenato una tempesta, “era comparsa per risvegliarmi, per capovolgere le morte stratificazioni
dentro di me, per togliere via dall’anima il sangue e la muffa”.
Tardi, nel 1949, brusco il congedo dal marito, l’enigmatico
V.N.M.: “L’uomo con cui continuo a vivere (smetto di vivere):\ non è allegro,\
non è buono,\ non è tenero.\ Non riesce a combinare nulla. Ha dimenticato tutto
quello che sapeva fare. Non ama nessuno e anche gli altri smettono a poco a
poco di amare lui”. Ma con un elogio della femminilità che la fa tanto più
grande oggi, nel deserto del viragismo – “se un giorno scriverò di me, dovrò
dire di non avere mai sofferto del fatto di essere nata donna”, etc. etc..
Un estratto
dalle più ampie memorie, (“Il corsivo è mio”), con un “regesto dei nomi più rilevanti.
Nina Berberova, Il quaderno nero, Adelphi,
pp.175 € 12
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