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Autofiction – Ha precedenti illustri, seppure mascherati. Le “Confessioni”, da sant’Agostino
a Rousseau. I “viaggi” di Sterne. Le memorie romanzate di Günter Grass (proprio
“Il tamburo di latta”, molto prima che “Sbucciando al cipolla”). Ma il caso
esemplare, celebrato fino a qualche decennio fa e poi dimenticato, proprio in
epoca di “selfie”, è Amiel, Henri-Frédéric. Il poeta-filosofo ginevrino dell’Ottocento,
che racconta le sue giornate in 17 mila pagine, ora per ora – forse perché in Svizzera
succede poco, benché Ginevra sia prossima alla Francia.
Cinema – Oggi è un tempio di silenzio e riserbo, più raccolto di una sala di concerti
malgrado il popcorn – fino agli elenchi dei titoli di coda, di centinaia di
funzionari, tecnici, operatori, operai e comparse, di cui non s’è visto, e non
c’è da vedere, nulla, e niente da pensare: si guarda un film come si legge un
libro, da soli, seppure in sala con molti posti – si vede in sala solo per la
comodità, di poltrona ampia e schermo grande.
Un tempo, con il film a rotazione senza l’obbligo di uscire
di sale, e la possibilità di entrare in sala in qualsiasi momento, la fruizione
era compartecipata, in qualche modo, sia pure per l’incomodo o il disturbo che
si dava agli altri spettatori entrando durante la proiezione. Non vigeva il
detto: non interrompere un’emozione. Ossia, la sala-mercato era una parte dell’emozione,
una forma di compartecipazione. Per un senso di comunità, e di festa – lo spettacolo,
in teatro, in piazza, all’aperto, al chiuso, si vuole d’insieme.
Dante – La “Commedia” come “poema dell’indugio”, la dice Eco nelle Norton Lectures
(“Sei passeggiate nei boschi narrativi”). Cioè della suspense. Seppure in incongruo collegamento: “Un esempio di indugio
enorme, dilatato per centinaia di pagine, che serve a preparare un momento di
soddisfazione e gioia senza limiti, rispetto al quale la soddisfazione dello spettatore
di un film porno è poca e miserabile cosa”.
È un racconto, da leggere come un romanzo. Giusto il consiglio
di Dorothy Sayers, traduttrice del poema, nel 1949 ai suoi lettori (la giallista
fu dantista emerita).
Identità – Roma la rafforzava aprendosi e non chiudendosi, con la mescolanza delle
culture. Con l’accoglienza – con la “vendita” della propria immagine, se si
vuole. Nella sintesi di Zbigniew Brzezisnkij, “La grande scacchiera”, agli inizi, una volta fatta la tara della
forza militare di Roma: “Il potere imperiale di Roma, tuttavia, era derivato
anche da un’importate realtà psicologica. Civis
romanus sum – sono un cittadino romano
- era l’autodefinizione più importante, una fonte d orgoglio, l’aspirazione
dei molti. Poi concessa anche a persone non romane di nascita, lo status magnificato
di cittadino romano era l’espressione di una superiorità culturale che legittimava
il senso di missione del potere imperiale”.
Montague – La
casata inglese di lunga nobiltà deriva il nome dall’italiano Montecchi – Romeo
Montecchi sarebbe nella lingua di Shakespeare Romeo Montagu.
Sgangheratezza – È il segreto di “Casablanca”, “Rocky Horror Picture Show”, e secondo Eliot
anche dell’“Amleto”, dice Eco nelle “Sei passeggiate nei boschi narrativi”, pp.
157 segg. Cercando di rispondere alla domanda: “Perché un film diviene un cult movie, perché un romanzo o un poema
diviene un cult book?” E poteva aggiungere i filmacci “Febbre
di cavallo” (Proietti, Montesano) o l’improponibile (ora) “I due carabinieri” (Verdone
e Montesano). Ma allora, aggiunge, è il segreto della popolarità anche della
Bibbia. E si dà questa ragione: i due film e l’“Amleto” sono cresciuti giorno per
giorno,”senza sapere come la storia sarebbe andata a finire” (“Ingrid Bergman
vi appare così affascinantemente
misteriosa perché, recitando sul set, non sapeva ancora quale sarebbe stato
l’uomo che avrebbe scelto, e quindi sorrideva a entrambi con eguale tenerezza e
ambiguità”). Mentre “«Amleto» sarebbe una fusione non completamente riuscita fra
tre diverse fonti precedenti, dove il motivo dominante era quello della
vendetta”.
Stati Uniti-Russia – Gli Stati Uniti sono il “Belpaese” in cinese. La Russia “la terra
affamata”.
“Il nome completo è la traduzione di Stati Uniti
d’America”, Mei Li Jiang Zhong Huo. Mei Li Jiang è America. He Zhon Guo è Stati
Uniti. Tuttavia, il termine comune usato per riferirsi agli Stati Uniti è la
forma abbreviata Mei Guo. Mei in questo caso nel senso di “bello” e “guo” di
“paese” – Mahjar Balducci, Agenzia Radicale.
La Russia è il corrispondente dell’inglese “the hungry
land”.
Susanna – “Susanna e i vechioni”, soggetto biblico, “ignuda e belloccia mentre nel
giardino di casa fa le abluzioni”, ricorda Mephisto sul “Sole 24 Ore Domenica”,
è stata ”soggetto pruriginoso” dei “maggiori artisti: “Rembrandt (1636), Artemisia
Gentileschi (1610) – che se ne intendeva assai –Rubens (1655), Tintoretto
(1555), Paolo Veronese (1580), Palma il Giovane (1600),Tiziano (1560), il Guercino
del Prado (1617), e ancora l’italico Hayez (1850). Caravaggio mai se ne occupò,
per gusti alternativi”.
Suspense – Eco la traduce con “indugio” (“Sei passeggiate nei boschi narrativi”) –
non la traduce propriamente (saprebbe di italianizzazioni mussoliniane?),
utilizza indugio dove ci si aspetterebbe suspense,
come artificio narrativo.
West – È creazione di una donna, la scrittrice Dorothy Johnson – ma non soltanto. Cominciò a “cerare” il West nel 1935, con i racconti
che il “Saturday Evening Post”, la rivista popolare, le pubblicava. Dai suoi
racconti sono stati tratti western di culto, se non fra i primi. “Il Wild West
è figlio di una donna”, può titolare “La Lettura”, precedendo una riedizione di
Dorothy Jonhson. “L’uomo che uccise Liberty Valance”.
In realtà il Wild West data dagli anni 1880, da Buffalo
Bil e il suo circo, in giro per l’America e il mondo, “Buffalo Bill Wild West
Show”). E molti autori hanno preceduto Johnson, non solamente americani. Le
storie danno l’inizio letterario del West nel 1902, con la pubblicazione de “Il
virginiano”, romanzo di Owen Wister. Ma già aveva riscosso grande successo un
scrittore tedesco, Karl May, che aveva cominciato a raccontare di indiani,
cowboy e saloon, nel 1875. Tra l’altro
influenzando molti connazionali, dato il successo arriso al genere. Tra essi Carl
Laemmie, che sarebbe poi emigrato negli Stati Uniti, e vi avrebbe fondato la
Universal Pictures. May peraltro confessava di essersi ispirato a “L’ultimo dei
Mohicani”, la saga di James Fenimore Cooper, del 1826.
Dopo e più di Wister portarono il genere al successo gli
americani Zane Grey e Elmore Leonard. E più di tutti Louis l’Amour, che era americano,
Louis LaMoore.
Poco il genere ha attecchito con gli scrittori italo-americani.
Ma un nome le storie ricordano, Charles Angelo Siringo – avvocato,
investigatore e cacciatore di teste (dette anche lui la caccia a Billy the
Kid), figlio di genovesi (il suo primo lavoro retribuito era stato da cowboy).
letterautore@antiit.eu
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