Putin e non più Putin
Ci sarà ancora Putin a capo della Russia
per san Giuseppe, il voto di quest’anno è scontato. Anche la partecipazione al
voto è scontata, superiore alle medie occidentali. Ma non ci sarà più Putin fra sei anni: la previsone è scontata alla Farnesina e nelle altre cancellerie europee. A fine mandato Putin avrà eguagliato, forse superato di qualche mese, come uomo solo al comando, al governo o alla presidenza, il lungo potere di Stalin - dietro la recordwoman Caterina II di tre anni. E non potrà carcerare, esiliare o uccidere chiunque faccia politica. Per un’inquieudine
crescente tra le sue stesse file, anche se l’opinione a lui contraria in Russia
è ancora minoritaria – urbana e professionale. E prima o poi l’errore della “guerra
lampo” contro l’Ucraina peserà.
L’opinione è invece generale in Russia che
il futuro del più grande paese del mondo è in Europa e con l’Europa. Malgrado
lo stato di quasi guerra attuale. Tutti i think-tank di politica estera,
a Mosca e San Pietroburgo, centri studi o centri universitari, nelle esercitazioni
di questi due anni di guerra hanno solo rilevato l’impossibilità per la Russia
di asiatizzarsi, malgrado i cerimoniali Brics – che non sono un’alternativa
all’Occidente, non avendo strumenti monetari propri, e restando produttivamente
e finanziariamente connessi a Usa e Ue - e comunque sono a trazione cina. La quale non è e non può essere un alleato
militare. E come partner economico apre poche prospettive: ha bisogno di
petrolio e gas, ma di nient’altro dalla Russia, che quindi non può comprare
molto in Cina. Inoltre, la lunghissima frontiera che corre tra i due paesi non
è tranquilla - l’ex impero russo-sovietico sopravvive solo in Asia, lungo la
Cina.
Il regime sembra seguire un disegno opposto,
ma in chiave contingente, della guerra in corso. “L’obiettivo della Russia nel
2024”, ha statuito a inizio anno il ministro degli Esteri Lavrov, “è di eliminare
qualsiasi forma di dipendenza dall’Occidente, sia in termini finanziari che di catene
di approvvigionamento”. Ma lo stesso ministro in interventi meno ufficiali si richiama
spesso alla necessità – “non in questo momento” – di tornare alle “virtù del
multipolarismo”.
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