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Viaggiatrici intrepide
Non c’è in Italia una grande tradizione di letteratura di viaggio, niente
di comparabile a quella inglese, o francese o tedesca. Ma di essa la più
rilevante è probabilmente quella femminile, di viaggiatrici-scritrici.
Calmasini parte da Cristina di Belgioioso, un personaggio non pienamente
apprezzato nelle sue tante sfaccettature, tra esse quella del “Viaggio in Oriente”,
intrapreso nel 1849 per sfuggire alla repressione dopo la Repubblica Romana, con
la nutrice e la figlioletta, fino nella Turchia profonda, Ankara, dove creò un’azienda
agricola. Da lì inoltrandosi in un lunghissimo viaggio, a cavallo, fino a
Gersulemme, per la prima comunione della figlia.
Calmasini analizza di fatto solo tre testi. Il racconto del Sud America
di Gina Lonborso, medico , figlia di Cesare, che accompagnò nel 1907, portandosi
dietro il figlio di quattro anni, Leo, il marito Guglielmo Ferrero in una serie
di conferenza sui suoi studi in tema di “Grandezza e decadenza di Roma”. Un
viaggio di cinque mesi, in Argentina, Uruguay e Brasile. Poi circostanziato in
“Nell’America Meridionale (Brasile, Uruguay, Argentina)”. Da medico, quindi tra
strutture sanitarie, educative, criminali. Con due temi ricorrenti: il ruolo
civilizzatore dell’emigrante, e l’anti-femminismo, del femminismo inteso in senso
moderno, di rivalsa. Un viaggio quasi professionale, ma rilevantissimo nella
parte femminista-antifemminista. L’ultimo capitolo, si evince dagli estratti
del saggio, ,“La questione della donna nell’Argentina”, è scandalizzato: la
donna vi è “mascolinizzata”, giacchè esercita, esercitava già un secolo fa,
tutte le “professioni maschili”, medico, chirurgo, odontoiatra, antropologo in
particolare, e lo fa senza andare incontro a nessun ostacolo, né durante gli
studi né a carriera avviata.
Il terzo testo che Calmasini esamina è la raccolta di corrispondenze di viaggio di Anna
Maria Ortese, essenzialmente dall’Italia, e in Italia da posti di mare (Ortese
era di famiglia di gente di mare, perse due fratelli in mare da ragazza) “senza
mare”, con incursioni fuori, anche in Russia, a Mosca e Stalingrado, e in
Inghilterra e Francia. Una raccolta da lei stessa proposta per trent’anni, e
finalmente pubblicata in memoriam. Di mondi visti sempre attraverso la
“lente scura”, il titolo che poi è stato dato alla raccolta dal curatore Luca
Clerici, di “malinconie e protesta”.
Ortese viaggia smarrita. Un po’ perché non può prendere l’aereo. Di più perché
lo spaesamento la smarrisce: “Le prime ore nella stanza d’albergo di una città
straniera, o perlomeno sconosciuta, non sono allegre”, c’è un “primo momento di
sconforto”: nelle sue corrispondenze, spiega il curatore della “Lente Oscura”,
Luca Clerici, “non ritrae il mondo, ma l’immagine del mondo che la sua anima
rispecchia”. Al contrario di Cristina di Belgioioso, un’esploratrice gagliarda
della diversità, senza paura e senza preclusioni.
Il testo-madre in materia è il volumone “Spazi, segni, parole: percorsi di
viaggiatrici italiane”, ricostituiti dieci anni fa da Federica Frediani,
Ricciarda Ricossa e Luisa Rossi, coordinate da Luca Clerici.
Tatiana Calmasini, Viaggiatrici
italiane fra Ottocento e Novecento, academia.edu
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