martedì 26 marzo 2024

Viaggiatrici intrepide

Non c’è in Italia una grande tradizione di letteratura di viaggio, niente di comparabile a quella inglese, o francese o tedesca. Ma di essa la più rilevante è probabilmente quella femminile, di viaggiatrici-scritrici.
Calmasini parte da Cristina di Belgioioso, un personaggio non pienamente apprezzato nelle sue tante sfaccettature, tra esse quella del “Viaggio in Oriente”, intrapreso nel 1849 per sfuggire alla repressione dopo la Repubblica Romana, con la nutrice e la figlioletta, fino nella Turchia profonda, Ankara, dove creò un’azienda agricola. Da lì inoltrandosi in un lunghissimo viaggio, a cavallo, fino a Gersulemme, per la prima comunione della figlia.
Calmasini analizza di fatto solo tre testi. Il racconto del Sud America di Gina Lonborso, medico , figlia di Cesare, che accompagnò nel 1907, portandosi dietro il figlio di quattro anni, Leo, il marito Guglielmo Ferrero in una serie di conferenza sui suoi studi in tema di “Grandezza e decadenza di Roma”. Un viaggio di cinque mesi, in Argentina, Uruguay e Brasile. Poi circostanziato in “Nell’America Meridionale (Brasile, Uruguay, Argentina)”. Da medico, quindi tra strutture sanitarie, educative, criminali. Con due temi ricorrenti: il ruolo civilizzatore dell’emigrante, e l’anti-femminismo, del femminismo inteso in senso moderno, di rivalsa. Un viaggio quasi professionale, ma rilevantissimo nella parte femminista-antifemminista. L’ultimo capitolo, si evince dagli estratti del saggio, ,“La questione della donna nell’Argentina”, è scandalizzato: la donna vi è “mascolinizzata”, giacchè esercita, esercitava già un secolo fa, tutte le “professioni maschili”, medico, chirurgo, odontoiatra, antropologo in particolare, e lo fa senza andare incontro a nessun ostacolo, né durante gli studi né a carriera avviata.
Il terzo testo che Calmasini esamina è  la raccolta di corrispondenze di viaggio di Anna Maria Ortese, essenzialmente dall’Italia, e in Italia da posti di mare (Ortese era di famiglia di gente di mare, perse due fratelli in mare da ragazza) “senza mare”, con incursioni fuori, anche in Russia, a Mosca e Stalingrado, e in Inghilterra e Francia. Una raccolta da lei stessa proposta per trent’anni, e finalmente pubblicata in memoriam. Di mondi visti sempre attraverso la “lente scura”, il titolo che poi è stato dato alla raccolta dal curatore Luca Clerici, di “malinconie e protesta”.
Ortese viaggia smarrita. Un po’ perché non può prendere l’aereo. Di più perché lo spaesamento la smarrisce: “Le prime ore nella stanza d’albergo di una città straniera, o perlomeno sconosciuta, non sono allegre”, c’è un “primo momento di sconforto”: nelle sue corrispondenze, spiega il curatore della “Lente Oscura”, Luca Clerici, “non ritrae il mondo, ma l’immagine del mondo che la sua anima rispecchia”. Al contrario di Cristina di Belgioioso, un’esploratrice gagliarda della diversità, senza paura e senza preclusioni.
Il testo-madre in materia è il volumone “Spazi, segni, parole: percorsi di viaggiatrici italiane”, ricostituiti dieci anni fa da Federica Frediani, Ricciarda Ricossa e Luisa Rossi, coordinate da Luca Clerici.
Tatiana Calmasini, Viaggiatrici italiane fra Ottocento e Novecento
, academia.edu

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