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lunedì 22 aprile 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (557)

Giuseppe Leuzzi
 
Nella generale inappetenza da libri al Sud fa eccezione la Sardegna. L’ultimo censimento dell’Aie, l’Associazione Italiana Editori (su dati Istat vecchi di quasi un decennio, 2017), alla tabella “Persone di 6 anni e più che hanno letto almeno un libro nell’anno”, la Sardegna risulta al secondo posto, con uno su due (nell’arco 47,2-50,4 per 100 persone di sei anni e più). Con Lombardia, Piemonte e Veneto. Meglio di Liguria e Emilia-Romagna. Molto meglio che Toscana, Umbria, Marche e Lazio.
 
Al Sud legge un libro, leggeva nel 2017, chissà oggi, solo uno su quattro - 25,1-28,3 nel bizzarro segmento Istat. Co l’eccezione di Basilicata, Abruzzo e Molise, che arrivavano a uno su tre – in un arco molto largo, di dieci punti, 28,3-38,0.
 
Biagio De Giovanni azzarda una “filosofia meridionale”. Il saggio che la argomenta, “Giordano Bruno, Giambattista Vico e la filosofia meridionale” c’è però e non c’è: la libreria dice che c’è, ma poi si ordina e non arriva – anche le librerie online: chiedono cinque giorni (lavorativi) di tempo, e poi scrivono “non disponibile”. Questa filosofia sarà come il Sud, c’è ma non c’è - sarà la maledizione della parola “meridionale”, anche quando presume di sé.
 
La mafia è al singolare: un regime, un impero, compatto, totalitario. Perché a specchio dell’antimafia?  
 
La differenza
“Dopo l’altra guerra io volevo scrivere un lungo libro o un poema”, scrive Gertrude Stein a conclusione di “Guerre che ho visto”, “non scrissi mai né l’uno né l’altro ma ne ebbi  sempre l’intenzione, su come differisse il Kansas dall’Iowa e lo Iowa dall’Illinois e l’Illinois dall’Ohio, e il Mississippi dalla Luisiana e la Luisiana dal Tennessee e il Tennessee dal Kentucky e tutto il resto da tutto il resto, sarebbe interessantissimo perché ognuno di essi così completamente differisce da tutto il resto compresi i suoi vicini. E quando si pensi a come sono state fissate le linee di confine degli Stati, non frontiere naturali di montagne e di fiumi ma semplicemente stabilite con un compasso, e tuttavia ogni Stato ha il suo carattere il suo accento, proprio come le province della Francia che sono così antiche. Non ci vuole poi tanto tempo a fare uno Stato diverso da un altro non tanto tempo, sono tutti americani al cento per cento ma sono tutti così diversi uno dall’altro il Dakota il Wyoming e il Texas e l’Oklahoma”.
È il principio su cui all’Eni s’inventò a fine anni 1960 la cucina regionale per promuovere le stazioni di servizio Agip lungo l’autostrada, la diversità – e la tradizione. Senza graduatorie e classifiche, giusto la differenza.
 
Sudismi\sadismi
Giovedì Lirio Abbate, di Castelbuono di Palermo, voce del giudice Tescaroli ex vice-Procuratore di Firenze e ora Procuratore di Prato, incaricato delle indagini sulle bombe di mafia a Firenze, Milano e Roma del 1993, scrive il consueto rapporto mensile sullo stato delle indagini su “la Repubblica”.
Venerdì, da Palermo, Emanuele Lauria su “la Repubblica” fa parlare Micciché. Che, a parte qualche strafalcione sicilianese (“pochi giorni prima che io e l’ex premier andammo a cena a Firenze” – per “andassimo” in italiano), dice che la cena con Renzi rivelata da Abbate-Tescaroli c’è stata, all’Enoteca Pinchiorri, “ottima”, “offerta da Renzi”, e che fu registrata, ma che si parlò solo di fare andare Berlusconi al Quirinale e non di eleggere un presidente che desse la grazia a Dell’Utri (Renzi s’inventò Mattarella, n.d.r.): “Nel 2021, se ricordate, Dell’Utri era libero, aveva scontato la sua pena, sia in carcere che ai domiciliari. E peraltro era appena stato assolto in secondo grado nel processo della trattativa Stato-mafia”.
Dev’essere difficile fare il giornalista a Palermo. Dire sempre il peggio della città, e dei suoi dintorni. Per fare piacere - carriera – a giudici veneti. O la mafia è meglio che lavorare?
E quando si farà il processo al processo
Dell’Utri? 

Se fa più danni l’antimafia
“Giustamente ci sgomentano i processi televisivi, quelli che hanno trasformato la giustizia in spettacolo, in «circo mediatico», quelli che, alla ricerca del capro espiatorio, del linciaggio, della gogna, vivono di morbosità, indignazione e invidia. Le persone più assennate ci ricordano che i tempi della giustizia sono diversi dai frettolosi tempi della tv, la cui vocazione principale è il giudizio sommario.
“Però, un po’ di sdegno bisognerebbe riservarlo anche per certi tempi lunghi della giustizia ordinaria. Si chiamava Carmelo Patti, era il patron della Valtur, ha dovuto affrontare ben 13 processi. In questi giorni la Corte gli ha restituito per intero tutta la sua onorabilità. Patti non c’entrava nulla con la mafia. Quando nel 2018 il tribunale di Trapani confiscò il suo patrimonio si disse, come titolo di merito, che quella emessa nei confronti del re della Valtur, ex muratore di Castelvetrano che aveva scalato il colosso del turismo, fosse la misura di prevenzione patrimoniale più importante dall’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre. Nel frattempo Patti è morto e il suo patrimonio è stato azzerato dai fallimenti.
“Se i processi in tv sono una caricatura della giustizia, i 13 processi subiti da Patti come possono essere definiti? Ci consoleremo inventando la formula del «circo giudiziario»? Aldo Grasso, “Carmelo Patti. Quando la giustizia si mette in aspettativa” – “Corriere della sera”, 14 aprile 2024.
Come ha fatto un muratore a diventare imprenditore? E anche di successo, fino a diventare padrone della Valtur – che era una rete di centri-vacanze di ottimo avviamento? Perché aiutato dalla mafia, o suo uomo di paglia. Tanto più che viene da Castelvetrano. Che è un paese e una contrada in provincia di Agrigento, molto forte di successi economici, nel difficile campo dell’agricoltura, ma è anche il paese o città – “il feudo” - di Messina Denaro. Un muratore, Patti, che aveva dovuto abbandonare la Sicilia “per sopravvivere”, dicevano gli inquirenti. E aveva avuto contabile per (povere?) tasse da pagare un futuro cognato di Messina Denaro – uno la cui sorella farà poi un figlio col bandito.
Se non che Patti è morto incensurato, malgrado i tanti processi. E i suoi eredi ora ottengono, dopo una ventina d’anni, anche la restituzione del patrimonio confiscato, benché deperito.
Indubbiamente l’antimafia non fa gli stessi danni della mafia. Ma li fa con lo steso sentiment, della prevaricazione. Non sarebbe meglio, invece che sui tanti delitti di associazione, concorso, concorso esterno, morale e quant’altro, concentrare gli sforzi come si fa per ogni delitto, intervenire subito, punirlo a mano a mano che si produce, invece di perdere anni e decenni a collazionare dossier, cronologie, alberi genealogici (ce ne son di stupefacenti, fino ai cugini di ennesimo grado) , di “famiglie”, “stidde”, “locali”? Con i giuramenti su Osso, Mastrosso e Carcagnosso, cui solo Gratteri e Nicaso credono – ma non ci credono, fanno teatro per vendere una copia in più (i mafiosi non sono scemi).
La mafia, invece che il pizzo, l’estorsione, la sopraffazione, l’aggressione, alla persona o ai beni, un tempo l’abigeato, ora la tangente, è un delitto – una fattispecie di delitto – contro il Sud. Una cappa mentale e legale. Una comoda imputazione per forze dell’ordine e giudici che hanno poca voglia di fare. E un danno pesantissimo.
 
Quando Europa era la questione
Quello che oggi costituisce la “questione meridionale”, in Italia (Sud) e in Europa (Grecia), era l’Europa per Aristotele, “Politica VII, 1327 b: “I popoli nei paesi freddi e nell’Europa sono pieni d’animo, ma difettosi d’intelligenza e di capacità artistica: perciò vivono costantemente nell’indipendenza, ma non hanno un governo ben formato e non sono in grado di dominare sui vicini. I popoli asiatici d’altra parte sono intelligenti e industri, ma privi di animo e perciò vivono abitualmente in sudditanza e in servitù. La stirpe ellenica invece, collocata in una regione media tra questi per posizione geografica, partecipa del carattere degli uni e degli altri, essendo coraggiosa ed intelligente: perciò vive continuamente in libertà, con governi possibilmente perfetti, con la capacità di dominare su tutti, qualora fosse riunita in un solo Stato”.
Federico Chabod, “Storia dell’idea di Europa”, che esuma Aristotele, spiega, spiegava nel 1958 con echi oggi singolari, che c’è la guerra in Europa nella “Scizia” propriamente detta, che “sul terreno politico-morale-culturale è certo che l’Europa non abbraccia mai, al massimo, oltre la Grecia, che l’Italia e le coste mediterranee di Gallia e Spagna”. Chabod conclude dopo aver ricostituito, con Isocrate, che c’era già all’epoca una Europa fisica diversa moralmente, “che non è Asia geograficamente, ma è anche diversissima dai costumi e modo di vivere e civiltà dell’Ellade, cioè dell’Europa vera: ed è la Scizia, il cui popolo ha trovato, a propria difesa, un sistema efficacissimo ma non tale da riscuotere, «per il resto» (e cioè per la valutazione propriamente civile), l’ammirazione dello storico greco: infatti «quella gente non ha costruito né mura né città, trasporta con sé la propria casa, ed è tutta costituita di arcieri a cavallo. Vive non dell’aratura ma del bestiame, ed ha le sue case su carri». Cioè, popolazioni nomadi”. Una Europa che si è sedentarizzata (civilizzata) solo due millenni fa o poco più.

gleuzzi@gmail.com

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