A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (557)
Giuseppe Leuzzi
Nella generale inappetenza da libri al Sud fa eccezione
la Sardegna. L’ultimo censimento dell’Aie, l’Associazione Italiana Editori (su dati
Istat vecchi di quasi un decennio, 2017), alla tabella “Persone di 6 anni e più
che hanno letto almeno un libro nell’anno”, la Sardegna risulta al secondo posto,
con uno su due (nell’arco 47,2-50,4 per 100 persone di sei anni e più). Con
Lombardia, Piemonte e Veneto. Meglio di Liguria e Emilia-Romagna. Molto meglio
che Toscana, Umbria, Marche e Lazio.
Al Sud legge un libro, leggeva
nel 2017, chissà oggi, solo uno su quattro - 25,1-28,3 nel bizzarro segmento Istat.
Co l’eccezione di Basilicata, Abruzzo e Molise, che arrivavano a uno su tre –
in un arco molto largo, di dieci punti, 28,3-38,0.
Biagio De Giovanni azzarda una
“filosofia meridionale”. Il saggio che la argomenta, “Giordano Bruno,
Giambattista Vico e la filosofia meridionale” c’è però e non c’è: la libreria dice
che c’è, ma poi si ordina e non arriva – anche le librerie online: chiedono
cinque giorni (lavorativi) di tempo, e poi scrivono “non disponibile”. Questa
filosofia sarà come il Sud, c’è ma non c’è - sarà la maledizione della parola
“meridionale”, anche quando presume di sé.
La mafia è al singolare: un regime,
un impero, compatto, totalitario. Perché a specchio dell’antimafia?
La differenza
“Dopo l’altra guerra io
volevo scrivere un lungo libro o un poema”, scrive Gertrude Stein a conclusione
di “Guerre che ho visto”, “non scrissi mai né l’uno né l’altro ma ne ebbi sempre l’intenzione, su come differisse il
Kansas dall’Iowa e lo Iowa dall’Illinois e l’Illinois dall’Ohio, e il Mississippi
dalla Luisiana e la Luisiana dal Tennessee e il Tennessee dal Kentucky e tutto
il resto da tutto il resto, sarebbe interessantissimo perché ognuno di essi
così completamente differisce da tutto il resto compresi i suoi vicini. E
quando si pensi a come sono state fissate le linee di confine degli Stati, non
frontiere naturali di montagne e di fiumi ma semplicemente stabilite con un
compasso, e tuttavia ogni Stato ha il suo carattere il suo accento, proprio come
le province della Francia che sono così antiche. Non ci vuole poi tanto tempo a
fare uno Stato diverso da un altro non tanto tempo, sono tutti americani al
cento per cento ma sono tutti così diversi uno dall’altro il Dakota il Wyoming
e il Texas e l’Oklahoma”.
È il principio su cui all’Eni s’inventò
a fine anni 1960 la cucina regionale per promuovere le stazioni di servizio Agip
lungo l’autostrada, la diversità – e la tradizione. Senza graduatorie e classifiche,
giusto la differenza.
Sudismi\sadismi
Giovedì Lirio Abbate, di Castelbuono
di Palermo, voce del giudice Tescaroli ex vice-Procuratore di Firenze e ora
Procuratore di Prato, incaricato delle indagini sulle bombe di mafia a Firenze,
Milano e Roma del 1993, scrive il consueto rapporto mensile sullo stato delle indagini
su “la Repubblica”.
Venerdì, da Palermo, Emanuele Lauria
su “la Repubblica” fa parlare Micciché. Che, a parte qualche strafalcione sicilianese
(“pochi giorni prima che io e l’ex premier andammo a cena a Firenze” – per “andassimo”
in italiano), dice che la cena con Renzi rivelata da Abbate-Tescaroli c’è stata,
all’Enoteca Pinchiorri, “ottima”, “offerta da Renzi”, e che fu registrata, ma
che si parlò solo di fare andare Berlusconi al Quirinale e non di eleggere un
presidente che desse la grazia a Dell’Utri (Renzi s’inventò Mattarella, n.d.r.):
“Nel 2021, se ricordate, Dell’Utri era libero, aveva scontato la sua pena, sia
in carcere che ai domiciliari. E peraltro era appena stato assolto in secondo grado
nel processo della trattativa Stato-mafia”.
Dev’essere difficile fare il giornalista
a Palermo. Dire sempre il peggio della città, e dei suoi dintorni. Per fare
piacere - carriera – a giudici veneti. O la mafia è meglio che lavorare?
E quando si farà il processo al processo Dell’Utri?
Se
fa più danni l’antimafia
“Giustamente ci sgomentano i
processi televisivi, quelli che hanno trasformato la giustizia in spettacolo,
in «circo mediatico», quelli che, alla ricerca del capro espiatorio, del
linciaggio, della gogna, vivono di morbosità, indignazione e invidia. Le persone
più assennate ci ricordano che i tempi
della giustizia sono diversi dai frettolosi tempi della tv, la cui
vocazione principale è il giudizio sommario.
“Però, un po’ di sdegno bisognerebbe riservarlo anche
per certi tempi lunghi della giustizia ordinaria. Si chiamava Carmelo Patti, era il patron della Valtur, ha dovuto affrontare ben 13 processi. In questi giorni la Corte gli ha restituito per intero tutta la sua
onorabilità. Patti non c’entrava nulla con la mafia. Quando nel 2018 il tribunale di Trapani confiscò il suo
patrimonio si disse, come titolo di merito, che quella emessa
nei confronti del re della Valtur, ex muratore di Castelvetrano che aveva
scalato il colosso del turismo, fosse la misura di prevenzione patrimoniale più
importante dall’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre. Nel frattempo
Patti è morto e il suo patrimonio è stato azzerato dai fallimenti.
“Se i processi in tv sono una caricatura della
giustizia, i 13 processi subiti da Patti come possono essere definiti? Ci
consoleremo inventando la formula del «circo giudiziario»? Aldo Grasso,
“Carmelo Patti. Quando la giustizia si mette in aspettativa” – “Corriere della
sera”, 14 aprile
2024.
Come ha
fatto un muratore a diventare imprenditore? E anche di successo, fino a diventare
padrone della
Valtur – che era una rete di centri-vacanze di ottimo avviamento? Perché aiutato
dalla mafia, o
suo uomo di paglia. Tanto più che viene da Castelvetrano. Che è un paese e una
contrada in provincia
di Agrigento, molto forte di successi economici, nel difficile campo dell’agricoltura, ma è
anche il paese o città – “il feudo” - di Messina Denaro. Un muratore, Patti, che aveva dovuto
abbandonare la Sicilia “per sopravvivere”, dicevano gli inquirenti. E aveva avuto
contabile per (povere?) tasse da pagare un futuro cognato di Messina Denaro – uno la cui sorella farà poi un figlio
col bandito.
Se non
che Patti è morto incensurato, malgrado i tanti processi. E i suoi eredi ora
ottengono, dopo una
ventina d’anni, anche la restituzione del patrimonio confiscato, benché
deperito.
Indubbiamente
l’antimafia non fa gli stessi danni della mafia. Ma li fa con lo steso sentiment, della prevaricazione.
Non sarebbe meglio, invece che sui tanti delitti di associazione, concorso, concorso esterno,
morale e quant’altro, concentrare gli sforzi come si fa per ogni delitto, intervenire
subito, punirlo a mano a mano che si produce, invece di perdere anni e decenni a
collazionare dossier, cronologie, alberi genealogici (ce ne son di stupefacenti, fino ai cugini di ennesimo grado) , di “famiglie”, “stidde”, “locali”? Con
i giuramenti su Osso, Mastrosso
e Carcagnosso, cui solo Gratteri e Nicaso credono – ma non ci credono, fanno teatro per vendere
una copia in più (i mafiosi non sono scemi).
La mafia,
invece che il pizzo, l’estorsione, la sopraffazione, l’aggressione, alla
persona o ai beni, un tempo l’abigeato,
ora la tangente, è un delitto – una fattispecie di delitto – contro il Sud. Una
cappa mentale
e legale. Una comoda imputazione per forze dell’ordine e giudici che hanno poca
voglia di fare. E
un danno pesantissimo.
Quando
Europa era la questione
Quello
che oggi costituisce la “questione meridionale”, in Italia (Sud) e in Europa
(Grecia), era l’Europa
per Aristotele, “Politica VII, 1327 b: “I popoli nei
paesi freddi e nell’Europa sono pieni d’animo,
ma difettosi d’intelligenza e di capacità artistica: perciò vivono
costantemente nell’indipendenza,
ma non hanno un governo ben formato e non sono in grado di dominare sui vicini. I popoli asiatici d’altra
parte sono intelligenti e industri, ma privi di animo e perciò vivono abitualmente
in sudditanza e in servitù. La stirpe ellenica invece, collocata in una regione media tra questi
per posizione geografica, partecipa del carattere degli uni e degli altri, essendo
coraggiosa ed intelligente:
perciò vive continuamente in libertà, con governi possibilmente perfetti, con
la capacità di
dominare su tutti, qualora fosse riunita in un solo Stato”.
Federico
Chabod, “Storia dell’idea di Europa”, che esuma Aristotele, spiega, spiegava
nel 1958 con echi
oggi singolari, che c’è la guerra in Europa nella “Scizia” propriamente detta,
che “sul terreno politico-morale-culturale
è certo che l’Europa non abbraccia mai, al massimo, oltre la Grecia, che l’Italia
e le coste mediterranee di Gallia e Spagna”. Chabod
conclude dopo aver ricostituito, con Isocrate, che c’era già all’epoca una Europa
fisica diversa
moralmente, “che non è Asia geograficamente, ma è anche diversissima dai costumi
e modo di vivere
e civiltà dell’Ellade, cioè dell’Europa vera: ed è la Scizia, il cui popolo ha
trovato, a propria
difesa, un sistema efficacissimo ma non tale da riscuotere, «per il resto» (e
cioè per la valutazione
propriamente civile), l’ammirazione dello storico greco: infatti «quella gente
non ha costruito
né mura né città, trasporta con sé la propria casa, ed è tutta costituita di
arcieri a cavallo.
Vive non dell’aratura ma del bestiame, ed ha le sue case su carri». Cioè,
popolazioni nomadi”. Una
Europa che si è sedentarizzata (civilizzata) solo due millenni fa o poco più.
gleuzzi@gmail.com
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