Resta incerto, benché acclarato, e poco studiato il rapporto,
perfino troppo intenso, di Amelia Rosselli con Rocco Scotellaro. Della poetessa
cosmopolita per eccellenza e del poeta contadino. La morte giovane di Rocco, a
trent’anni, tre dopo la conoscenza e l’infatuazione reciproche, lascerà per sempre
Amelia “vedova”, di un radicamento. Il radicamento che soprattutto trovava in
Scotellaro, uomo del Sud, di paese.
Chi è provinciale
È il provincialismo, modo di
essere, o di esserne tacciati, oggi in disuso ma serpeggiante, la pratica o l’uso
di modi e temi locali in una lingua alta, durevole, o di temi internazionali,
cosmopolitici, in chiave bozzettistica – come oggi molto della chiacchiera
“verde”, “ecolo”, “di transizione”.
Fa la grande differenza fra
Nord, Toscana compresa (Fucini, Rosai, Enrico Pea, lo stesso Papini, Fabio Genovesi…)
e il Sud: la durevolezza di Verga, Pirandello, Alvaro, Eduardo, lo stesso
Tomasi, non locale, etnica, tribale.
Non c’è nulla di più
provinciale di Montanelli, anche nel giornalismo, al paragone con le corrispondenze
di Alvaro. È una metropoli Napoli, benché “napoletanissima”, e non Milano,
benché parli inglese, si adorni di grattacieli alla Manhattan, e sia piena di cinesi e sudamericani.
Cronache della differenza – 2
“Dopo tutto ogni essere vivente è come la sua
terra, come il clima, come le montagne o i fiumi o come sono i suoi oceani come il vento e la pioggia
e la neve e il ghiaccio e il caldo e l’umidità, ognuno è così e questo fa sì che ognuno abbia il
suo modo di mangiare il suo modo di bere il suo modo di comportarsi il suo modo di pensare il suo
modo di essere scaltro e anche se le linee di demarcazione sono fatte col compasso dopo tutto
quello che è dentro a quegli angoli retti è diverso da quello che è fuori da quegli angoli
retti…” – Gertrude Stein, “Guerre che ho visto”, 251-152,
allo sbarco degli americani in Francia nel 1944.
“È proprio così, non so perché ma l’Arkansas mi
commosse particolarmente, qualsiasi cosa ora che sia americana mi commuove
particolarmente. C’è qualcosa in questa terra nativa commerciale e
non si può sottrarvisi. In tempo di pace non sembra che ve ne accorgiate molto soprattutto se
vivete all’estero ma quando c’è una guerra e siete soli ed esclusi da qualsiasi contatto con la vostra
terra ebbene ecco la vostra terra nativa è la vostra terra nativa, è così”.
P.es. dopo la guerra leghista.
La morte
repubblicana
Si porta a Napoli, al Vomero,
quartiere alto-borghese, una scuola media a vedere il film su Giancarlo Siani,
il giovane giornalista ucciso dalla camorra nel 1985. Molti applausi durante il film, “qualcuno
applaude ancora”, scrivono le cronache, mentre scorrono le immagini
dell’assassinio – le immagini finali. Scandalo, dei media, della scuola, del
ministero. Mentre potrebbe essere – sicuramente è – il solito applauso di
maniera oggi ovunque, anche ai funerali. Ma piace pensare a un gruppetto stanco,
se l’antimafia diventa retorica – il film, “Fortapàsc”, di Marco Risi, è di
quindici anni fa.
La scena centrale di “Fortapàsc”,
prima del’assassinio di Siani, è la “strage di
Torre Annunziata”, o “strage del Circolo dei pescatori” o “strage
di Sant'Alessandro”, a Torre Annunziata, in cui un clan di camorra, i Gionta,
ebbe otto morti e sette feriti, a opera di un commando di quattordici killer,
armati di fucili a pompa, AK-47 e Uzi, del clan Bardellino, o Alfieri, o
Fabbrocino, o tutt’e tre. Nel film la strage viene ambientata in un bar di Torre
del Greco, avendo il quartiere Carceri di Torre Annunziata impedito le riprese
nei luoghi dell’eccidio. Si dice, si suppone, perché così vuole la camorra. Ora,
il nome del quartiere non depone bene, ma piace pensare a una ribellione contro
il “tutto è camorra”: essere schiacciati sotto i cartelli “qui è mafia” è la
morte civile – una specie di “morte repubblicana”, quella che i rivoluzionari
del 1789 praticavano per risparmio, la morte in serie per annegamento di un vivo
legato a un morto.
Cronache
della differenza: Milano
È prima,
primissima per depositi bancari liquidi. Da sola a fine 2023 ne raccoglieva per
234 miliardi di euro.
Più di Lazio e Campania messe assieme, con rispettivamente 121 e 105 miliardi.
Un primato importante
anche pro capite, 23,6 mila in media per abitante, contro i 21,2 mila per il
Lazio e i 18,8 per la Campania.
Trionfo Inter e città in estasi per l’allenatore Inzaghi. Che dodici mesi
prima si dava per bollito, inconcludente, da cacciare. La città è capricciosa, era il tema di
Camila Cederna- ci ha giocato una vita.
È europea,
internazionale e tutto, ma feroce. Con Giusepe Prina, che il “Mephisto” del “Sole
24 Ore” ricorda
- pur deprecando, da milanese - come più tardi a piazzale Loreto. Ma si assolve.
Perde
popolazione anche la Lombardia. Meno che nella media nazionale: registra un – 0,8
per cento dall’1
gennaio 2020, contro un – 1,3 per cento nazionale. Ma è la destinazione principale dell’emigrazione
interna, dal Sud e anche da Roma e la Toscana, e degli immigrati.
Nell’inverno, “a cavallo tra 2022 e 2023 abbiamo trovato un livello di
sostanze tossiche e cancerogene nell’aria di Milano e Lombardia quattro
volte superiore a quello di Los Angeles, dove ogni giorno circolano nove milioni di auto e mezzo
milione di camion diesel”, Costantinos Sloutas, fisico ambientale. Come non detto, il
lombardo la sporcizia la butta di sotto, diceva Malaparte.
Si fanno storie e
romanzi di ogni evento anche effimero, ma non c’è una ricerca storica documentaria
sui “bravi” in Lombardia nel Cinque-Seicento. Una storia lombarda che a Milano,
il cuore della lettura in Italia, scalerebbe subito le classifiche. Ma la mafia
è solo altrove.
Se si pensa che ha votato in blocco Bossi, e i bossiani, al Parlamento e
al Comune, perché alcuni immigrati chiedevano l’elemosina ai semafori. Ma Milano dimentica
facile – ha memoria selettiva.
“Un paese ci vuole”, dice con Pavese Graziano Gala, scrittore salentino
che vive a Milano, presentando (elogiando) il Salone del Mobile, la nuova grande fiera di una
città per un millennio centro di grandi fiere. Quando la città si riempie di diecine, centinaia
di migliaia di buyer di tutto il mondo. Milano paese?
Gala ricorda però Verga che già nell’Ottocento diceva “che qui, in
questi posti, si prova davvero la febbre del fare”.
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