Cronache dell’altro mondo – etnogiudiziarie (264)
O.J.Simpson, il campione di football
americano ora morto, a 76 anni, era stato condannato nel 2008 a 31 anni per
rapina a mano armata, ma ne aveva scontati nove.
Da giovane proclamava suo ideale “le
bianche californiane”, si scoloriva la pelle, e prendeva lezioni di dizione,
diceva, “per non sembrare un nero”. Aveva sposato in seconde nozze nel 1985 una
bionda californiana, Nicole Brown, con la quale aveva fatto due figli, malgrado
le ripetute confessate infedeltà, e dalla quale aveva divorziato nel 1992.
Nel giugno 1994, dopo l’assassinio nella
ex casa coniugale della ex moglie, Nicole Brown, e di un cameriere del bar
vicino casa che le aveva riportato gli occhiali dimenticati sul bancone, convocato
dalla Polizia con l’accusa di duplice omicidio, inscenò per le strade di Los Angeles,
una lunga fuga in automobile, inseguito dalle volanti lampeggianti a sirene
spiegate, da elicotteri, e dalle videocamere in diretta. Al processo, dopo nove
mesi, la giuria lo assolse, benché la colpevolezza fosse provata.
Una giurata, afroamericana, dichiarò all’epoca:
“Abbiamo fatto la cosa giusta”. Un’altra giurata spiegò: “Noi neri non vogliamo
O.J. in prigione, né ci interessa sapere se è colpevole, perché se facciamo il
conto totale delle vittime siamo sempre noi a pagare. Bisogna fare attenzione a
buttare giù i simboli, anche se sono violenti, prepotenti, assassini. Perché
vorrebbe dire non avere più la possibilità di sognare un futuro”.
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