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La Russia è di Putin
Due anni di guerra, con spreco enorme di materiali,
e molti morti (50 mila, 500 mila?) non
hanno mandato la Russia nel caos o alla fame.
L’informazione sulla Russia è viziata
dalle “notizie di guerra”, in questo conflitto invadenti, giorno dopo giorno, commissionate
alle migliori firme di formazione dell’opinione. Ma la Russia resta salda,
anche politicamente. La morte di Navalny, l’oppositore principale di Putin, ha precipitato
un movimento popolare di critica implicita a Putin, con le manifestazioni di
protesta e il lutto esteso. Che però, nel momento di maggiore impegno, si è mostrato
per quello che è: un movimento ristretto, urbano, professionale
Il
regime di Putin, venticinquennale, è quello che è. Assimilabile a quello di
Erdogan in Turchia: oppositori silenziati o eliminati, critici arrestati, giornali
e siti chiusi, molto attivismo nazionalista, dai elettorali truccati – ma non
del tutto, il sostegno è sicuramente maggioritario. Putin è emerso dal nulla a
fine Novecento come l’uomo delle forze dell’ordine, contro le mafie. Come Erdogan contro le intromettenze
militari. Ma con più
determinazione, o compattezza.
La Russia non soffre Putin. Non è pronta
a un regime politico di democrazia piena, di libertà. Come la Turchia, come l’Iran:
paesi di molta storia e grandi culture ma politicamente poco articolati. E con una sindrome plurigenerazionale
di accerchiamento.
L’accostamento a Turchia e Iran è utile anche per
capire il senso diffuso di accerchiamento anche in un paese come la Russia, da
sempre aperto verso l’esterno. Degli ex sudditi ora armati dalla Nato per
Mosca, come dei curdi e degli sciiti (Siria, Iran) per la Turchia, degli Stati Uniti
e del mondo sunnita per l’Iran.
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