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L’amore a Ciudad Juarez, la città più violenta del mondo
La storia di una ragazzina violentata da un balordo alla presenza del suo
ragazzo, per questo delusa, poi scomparsa, e della sua ricerca da parte del
ragazzo, tra le mafie, i “cartelli” della droga e dello sfruttamento. Una
storia non violenta alla maniera dei film d’azione, rumorosa, veloce, ma
ugualmente tetra e disturbante.
L’unico racconto che l’editore italiano di Yasmina Khadra, Sellerio, non
traduce, è anche il più circostanziato e veritiero della personale etnografia
degli “ultimi” (Palestina, Iraq, Africa) cui l’ex colonnello dell’esercito
algerino, noto creatore del commissario di Algeri Loeb, si è dedicato da
qualche tempo. Ombra o riflesso di fatti realmente avvenuti. Il più truce dei
quali, all’origine probabilmente del racconto, è un fatto di cronaca, uno dei tanti
che fanno del Messico il paese col più gran numero di morti assassinati: la
scomparsa trent’anni fa, ne 1993, di 4.500 donne giovani, operaie. Nella stessa
città in cui è ambientato il racconto, Ciudad Juarez, la capitale dello stato
desertico settentrionale del Chihuahua, considerata la città più pericolosa del
mondo, per il traffico dei narcotici e degli emigranti, la terza delle grandi
città messicane a ridosso della frontiera con gli Stati Uniti, qui con il
Texas, con El Paso – è la “Santa Teresa” di Bolaño, “2666” (“La parte dei delitti”).
Letto in originale, Yasmina Khadra (lo pseudonimo è il nome della moglie
dell’autore) mantiene, anzi ora accentua, benché da molti anni francese a tempo
pieno, anche come residenza, una scrittura franco-algerina. Nei riferimenti, nella
terminologia (usa anche parole italiane, “cantina”, “capo”, “ponte”, “omertà”, “mollo”, “porcherie” - anche Camus ne usava nei
primi acconti, ambientati a Orano: c’era molta Italia
in Tunisia e Algeria orientale prima dell’occupazione francese, e anche dopo),
nei modi di dire, e naturalmente nelle tematiche. Una lingua che caratterizza
molto la narrazione, in senso diverso, come di un gergo popolare, di mondi marginali,
ma non l’impoverisce. Qui trasferisce nel deserto messicano i modi di dire e di
fare del douar algerino: l’isolamento e insieme il radicamento, la coetaneità,
il sentimento collettivo.
Con un finale che non è la fine - non si esce dalle mafie se non da morti (anche viventi, ora che vanno i pentiti). O dal male: le violenze subite non si rimarginano.
Yasmina Khadra, Pour l’amour d’Elena, Pocket, pp. 302 € 8
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