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Blitzkrieg - “I tedeschi non sono
riusciti ad andare a Mosca con tutto il loro esercito motorizzato, i francesi
sotto Napoleone ci arrivarono e a piedi” – Gertrude Stein, “Guerre che ho visto”,182.
Dante – “Grandissimo
e reazionario se mai ve ne furono”, U.Eco, “Il costume di casa”, 159
Entroterra – È il cuore dell’Italia,
nel viaggio-visione che Yves Bonnefoy ha fatto nei suoi anni verdi e registrato
nel 1972 in “L’arrière Pays”. L’Italia della recente voga dei “borghi” – dei
borghi “patrimonio dell’umanità”. Un mondo
destinato ora alla scomparsa, nel mentre che si celebra burocraticamente all’Unesco.
Sotto i colpi dell’emigrazione, della denatalità, e delle tasse di ogni tipo,
possesso, anche se non fruito, reddito (presunto), con addizionali, comunale e
regionale, e servizi di ogni tipo, anche non resi o non fruiti, Imu, Tari, ora
perfino l’elettricità. Una serie di “patrimonialine” , di tasse cioè, a
prescindere dal reddito, che dal governo Monti in poi (2011) si accumulano sulle
“seconde case”, la case di famiglia – dei genitori, dei nonni. Cinque-sei milioni di case, quasi tutte unfamiliari. Destinate quindi
all’abbandono – anche se la disappropriazione è complicata. Quella del giovane
Bonnefoy è un’Italia tra Siena e Urbino, speciale, ma pur sempre a cavaliere
dell’Appennino: “la Toscana del Sud, un po’ dell’Umbria, le Marche, il Nord del
Lazio”, e perfino la Capraia, oggetto del “pensiero desiderante” – vista dalla
barca, perché poi, avvicinandosi, risulta “costa breve, terra da niente”. L’Italia
che gli evocava evoca “il buio”, il rovescio dei sassi al sole della “strada
bianca”, per i tanti passati che si accumulano e non si cancellano, o si
sublimano nell’inconscio.: “Le paure più arcaiche, le intravisioni più
fuggitive, e le grida nel nero, anche a mezzogiorno: credo, ho torto,
d’incontrarli ovunque nell’immaginario italiano”. E per il numero, le geometrie
che l’Italia ricompone. Ricomponeva.
Furto creativo – Vi eccelleva
Calvino, secondo Gabriele Pedullà, “Calvino e la memoria (partigiana) di Tito
Livio”, (“Il Sole 24 Ore Domenica”), a proposito dell’aneddoto del corvo che appare
e “sana” lo scontro tra i due nemici – l’aneddoto calviniano di “Ultimo viene
il corvo” ricorre tal quale nello storico. “Negli anni successivi”, nota lo
studioso, “Calvino avrebbe portato la tecnica del furto creativo a livelli di
straordinario virtuosismo”.
Juventus – La squadra di
calcio è maschile a Firenze, dove malgrado tutto ha dei tifosi. E uno di loro,
Sandro Veronesi, le ha dedicato un inno al maschile “L’Juventus”: “Vince, l’Juventus, vince sempre,\ ….\ L’Juventus,\ con l’apostrofo,\
come la chiamavano i vecchi dalle mie parti,\ ora son tutti morti,\ ma anche
certi giovani come il Fregoli,\ «quando gioca l’Juventus», «cosa ha fatto
l’Juventus»….”. È maschile anche in Brasile, dove un conte emigrante
a fine Novecento, grande tifoso del club torinese, creò a San Paolo un club
“fratello”, che si chiama “lo” Juventus – e ha come maglia sociale, di gioco
sul campo, quella granata del Torino, storico antagonista della Juventus.
Milano, capitale dell’editoria – “In Italia la capitale dell’editoria non è Roma ma Milano, a differenza
di Parigi o Londra”, nota Roberta Scorranese intervistando Gian Arturo Ferrari
sul “Corriere della sera”. E Ferrari: “Perché Milano ha un’anima commerciale
che in questo ambito è indispensabile. E non ha mai riposto a un potere
centrale, a una corte. Questo ha permesso agli editori di parlare di flussi di
cassa, di compensi e di ricavi con la naturalezza necessaria”.
Montagna Sacra – Era Mosca,
secondo santa Odilia, o Ottilia, secondo i devoti della santa, della sua
profezia, e poi è stata Roma - la montagna contro cui la potenza tedesca si
sarebbe alla fine schiantata, per Gertrude Stein nel 1943, quando rifletteva
sulle “Guerre che ho visto”. A un certo punto, esilarata dall’armistizio italiano
l’8 settembre, a dagli scontri avviati a Roma tra italiani e tedeschi, Stein cambia
opinione e immagina che la Montagna Sacra della profezia sia Roma, che anch’essa
è costruita sui coli. Ma originariamente, ragiona con se stessa, doveva essere
Mosca, “perché al tempo di santa Odilia Mosca era una città di conventi ed era
chiamata la Montagna Sacra”. Poi le cose sono cambiate, anche per i devoti di santa
Odilia, come Gertrude: prima “tutti abbiamo pensato che potesse essere Roma”,
poi, “siccome sembrava una cosa tanto improbabile”, con l’asse Italia-Germania,
“abbiamo detto forse è Gerusalemme o forse è Costantinopoli”. Gertrude per
conto suo era sicura che fosse Mosca – era un po’ filosovietica ma non lo dice,
“ma ora lo sappiamo, il dieci e l’undici di settembre è Roma ormai, la santa ha
d etto che si sarebbe combattuto per le strade di Roma dopo di che avrebbe
avuto inizio la vera fine della Germania”.
Ottocento – Un secolo fantasy
(fantastico) per l’acuta Gertrude Stein delle “Guerre che ho visto” (p.p.
106-107): “Il secolo decimonono mancava completamente di logica, aveva termini
cosmici e
speranze e aspirazioni e scoperte e ideali, ma non aveva alcuna logica”.
E per questo, continua la Gertrude “di ferro”, l’ho ucciso: “Io che amo la
logica, l’amo molto, suppongo che sia questo il motivo per cui tanto
naturalmente ebbi la mia parte nell’uccidere il secolo decimonono, nell’ucciderlo
morto, proprio come un gangster con una mitraillette, se questa è l’equivalente
del fucile mitragliatore, il tommy gun degli americani” .
Primo amante – Un personaggio,
si può dire, della narrativa francese femminile del Novecento. Marguerite Duras
ne ha fatto la sua narrazione prima e forse principale, “L’amante”, di una sé quindicenne
col miliardario cinese in Indocina. Violette Leduc a 50 anni con René Gallet,
35 anni, “La chasse à l’amour”. Annie Ernaux a 18 anni, Memoria di ragazza”
Resistenza – Quella letteraria
è gentiliana, da “figli del liceo classico gentiliano” – Gabriele Pedullà sul
“Sole 24 Ore Domenica”. “I più ligi all’imperativo neo-realista si richiamarono
alla presunta ingenuità epica di Omero. Altri (come Fenoglio, Caproni, D’Arzo)
guardando piuttosto a Virgilio…. Altri ancora (come il Pavese de La casa in
collina) si rivolsero alla tragedia greca”. Di Calvino, del “suo racconto
partigiano più bello, Ultimo viene il corvo”, lo studioso trova un
antecedente in Tito Livio, “Ab Urbe condita” VII, 26: anche nello storico un
corvo interviene prodigiosamente a “risolvere” un duello tra due esponenti
degli schieramenti avversi.
Romanticismo – Gli amori voleva tragici - e gli amanti morti (più lui che lei). Non al modo classico, della hubris, o alla Shakespeare, degli equivoci tragici alla Giulietta e Romeo, ma perché amore è infelicità. A partire dal Werther del pur olimpico Goethe – che invece gli amori praticava goloso. Fino a Jacopo Ortis. Compresi Heinrich von Kleist, e Caroline von Günderode – Kleist sul Wannsee, il lago di Berlino poi altrimenti famigerato, con l’amante Henriette, moglie di un contabile del re di Prussia, e due colpi di pistola. La noia spossa i romantici, da Foscolo a Leopardi, Byron e Puškin inclusi. Che quando non muoiono d’amore impazziscono, Hölderlin, Schumann. Il difetto di Manzoni del Grande Romanzo, la mancanza di tensione, è che non fa morire nessuno - non un eroe, non una eroina.
Tedeschi – Perdenti e sentimentali
li vuole Gertrude Stein, americana francesizzata, durante la guerra, in “Guerre
che ho visto”. La Germania non vince le guerre perché non ha una cucina è il primo
addebito. Stein lo fa dire a un ragazzo suo vicino di casa: “Naturalmente i
tedeschi non possono vincere e si capisce perché, il loro paese è così povero
che non sa nulla di cucina e di mangiare, un popolo che non ha il senso della
cucina e del mangiare naturalmente non può vincere”.
Alla pagina precedente Stein aveva fatto dire ai giovani francesi reduci
dal lavoro obbligatorio in Germania la loro sorpresa “di una cosa,… perché mai
i tedeschi sono tanto sentimentali, quando sono quel che sono, perché sono
tanto sentimentali”.
Vergogna – Ha “grande
memoria”. In questo senso la celebra la Nobel Annie Ernaux, nell’ultimo suo
racconto, 2016, “Memoria di ragazza” – a proposito delle sue proprie vergogne
da diciottenne: “La grande memoria della vergogna, più minuziosa, più
intrattabile di qualsiasi altra. Questa memoria che è insomma il dono speciale
della vergogna”.
Tedeschi – Perdenti e sentimentali li vuole Gertrude Stein, americana francesizzata, durante la guerra, in “Guerre che ho visto”. La Germania non vince le guerre perché non ha una cucina è il primo addebito. Stein lo fa dire a un ragazzo suo vicino di casa: “Naturalmente i tedeschi non possono vincere e si capisce perché, il loro paese è così povero che non sa nulla di cucina e di mangiare, un popolo che non ha il senso della cucina e del mangiare naturalmente non può vincere”.
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