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Roma libera
“Roma è una città che dei giorni pare dimenticata, abbandonata, morta…. E
dei giorni invece si risveglia”. Con l’aria dei “gran vecchi che, senza capire
più niente, o comprendendo troppo, approvano quello che succede”, con l’aria di
chi non si stupisce di nulla. “Così, quando arrivarono le truppe alleate Roma
si svegliò, e si ricordò di essere la città che ha ancora voglia di vedere qualcosa
di nuovo”. Ma non fu un’uscita come un’altra dalla sonnolenza.
“Tutti volevano essere liberati, avevano anzi il merito di farsi
liberare”. Il guitto gay che esce truccato, cammina “come se andasse a un ballo
mascherato”, ed è “trovato assassinato la mattina dopo a villa Borghese”.
“Qualcuno andò a Ponte Milvio per vedere i tedeschi che si ritiravano, e come
succede a Roma, non pochi ebbero compassione del nemico che partiva estenuato,
lacero, affamato”. La signorina di belle
speranze venuta dalla provincia e finita preda degli amici, e degli amici degli
amici, che porta “enormi occhiali neri, per non essere riconosciuta”. E la
libertà ritrovata non è anche libertà di uccidersi? “La signorina Enrica R. che
ne tempi in cui la vita non valeva niente aveva pensato di uccidersi”, ma
allora era proibito, “or torna a pensarvi” – “si vestì con estrema cura”, decise
di buttarsi “dall’alto dell’Arco di Druso”, e finisce sul carro, armato, del
vincitore: “Vide delle mani che si stendevano, ed ebbe appena il tempo di
pensare che aveva le calze nuove e la biancheria a posto”, per sfollare poi in
trionfo per il Corso. Il dottore, sfollato con la moglie, americana e i due
figli con la ragazza a servizio, che lo trattano come non esistesse, anche la
moglie, che gli annuncia la separazione, “senza tante storie”, perché è un
vinto.
Corrado Alvaro, “Quel giorno”
(Settantacinque racconti)
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