zeulig
Dio - Dio stesso non può che essere scontento. Se
crea. E incostante. È vario, in ogni singolo atomo o istante.
Falso – È inventivo, per costituzione – ha bisogno di sorprese e diversivi, nuovi falsi,
continue propalazioni. L’una più sorprendente della precedente. Fino a un climax: un evento o trauma che mandi
agli atti l’invenzione del falso, di quel particolare falso. Una guerra, un
terremoto, una morte eccellente, o un falso maggiore tra i tanti.
Verità - Si
possono accertare i falsi ma non si può accertare la verità: la verità è
evidente.
Ma si può dire, va detta, anche all’opposto:
si possono accertare molti falsi, non si può accertare la verità, quando si
nasconde – sotto le specie del falso.
Nel dominio del falso,
dell’artificioso, della disinformazione, gli ostacoli da abbattere per arrivare
alla verità sono infiniti, perché sono sistemici.
Nel calcolo, in qualsiasi tipo di
calcolo, dalla matematica alle convenienze, la difficoltà è solo logica. Nella
storia si sa per l’esperienza dei falsi, molti dei quali costruiti in buona
fede.
Il sistema di falsi, per esempio,
costruito su piazza Fontana è inteso a escludere una verità accertabile in
tribunale. Non ci si potrà arrivare neppure per caso.
Viene sempre su molte bugie.
Ma c’è confusione su fede e verità – come il cornuto
può dire nelle commedie all’amante spergiura: “Ahimé, ti credo più della stessa verità”.
All’epoca della ribellione luterana il dibattito
ferveva, su Dio e le verità di
fede. Al fine di portare la fede alla verità, che è una sola.
La verità semplice è indimostrabile – per
esempio che l’America è opera di fantascienza, un mondo possibile reale.
Hobbes a proposito della coscienza, che
teneva in sospetto, argomenta che “secondo il modo in cui solitamente gli
uomini usano la parola, significa un’opinione, non tanto della verità della
proposizione quanto della loro conoscenza di essa, alla qual cosa la verità
della proposizione è conseguente”. Quindi, se io non conosco Gigi ‘Rriva, verità
della proposizione, e al bar sento i fautori di Rivera, magari mi convinco che
il bomber è un brocco. La certezza si
combatte con l’incertezza, o con un’altra certezza? E l’incertezza? Siamo nel
film di Antonioni, e va bene.
“Storia
è solo quando l’essenza della verità è colta nel modo originario”, stabilisce
peraltro Heidegger. L’essenza della verità – una “base”, tipo il micidiale
bergamotto per i profumi?
Per Heidegger sembra più semplice, se storia,
come diceva è quando Hitler vola(va) in aeroplano a incontrare Mussolini.
La ragione, ha scoperto Spinoza, ha lo
strano potere d’illuminare se stessa e il suo contrario, di scoprire tanto il
vero che il falso, “scoprirlo” come vero. Ma è oggettiva?
È dell’io (coscienza, riflessione, intuizione)? Dibattendo
con Lutero di confessione obbligatoria, Erasmo postilla: “La verità va detta,
ma non serve in ogni circostanza”. Sarà questo il “dovere della memoria” di
Primo Levi, che il buono non sempre è il vero. Canetti distingue un “diario genuino” dai “diari
falsificati”. Che sono però a volte “avvincenti” – “la loro attrattiva dipende
dalla capacità del falsario”. Ancora prima c’è il solito Agostino, con i
classici e il torbido Tucidide. E prima ancora Delfi e il “conosci te stesso”, la verità dell’io è
singolare, e tanto più tanto meglio.
È la teoria propaganda raffinata? È la
verità strumento d’inganno?
La verità ha bisogno di realtà, se non è
detta non è. L’uomo invisibile è nulla, l’autore inedito, l’innamorato non
dichiarato, il diavolo delle buone intenzioni.
La verità
è arguibile ad libitum – la democrazia, la giustizia: è filosofia, e la
filosofia è retorica, sapiente uso del linguaggio, uno dei tanti. Né è
pensabile l’equidistanza, non in assoluto, non dalle passioni o le pulsioni. E
sempre avviene nei fatti che una verità venga opposta a un’altra, e la più
violenta, sia pure per essere meglio argomentata, prevalga – non c’è giustizia
asettica. Ma i fatti sono fatti.
È tema sofistico – cioè da numero “angelico”, indiscutibile
ma impenetrabile. È solo fattuale, nella pratica, soprattutto nel fare,
intenzionale (è quella della confessione).
Violenza – Al solo pensarci un attimo, in avvio della
“Critica della violenza”, 1921, l’avvio del suo progetto di “Politica” poi non
sviluppato, W.Benjamin rileva moto semplicemente che “la biologia darwiniana...,
in modo del tutto dogmatico, accanto alla selezione naturale non considera che
la violenza come mezzo originario e solo adatto a tutti i fini vitali della natura”.
E che questo è anche un assioma della filosofia del diritto: “Le volgarizzazioni
della filosofia darwiniana hanno spesso mostrato come si passa facilmente da
questo dogma, ammesso in storia naturale, a uno ancora più grossolano, della filosofia
del diritto, secondo il quale la violenza che si è detta, adattata a dei fini
esclusivamente naturali, sarebbe per questa sola ragione già legittima”. La
“guerra” come stato permanente della natura non una novità, ma sì del
darwinismo.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento