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martedì 7 maggio 2024

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (559)

Giuseppe Leuzzi


Nella personalissima etnografia che da qualche tempo ha avviato sui mondi “altri”, non europei, non europeizzanti, lo scrittore Franco-algerino Yasmina Khadra, una lunga personale esperienza della violenza in qualità di colonnello dell’esercito negli anni delle sanguinosissime guerre civili mussulmane, conclude il romanzo dei cartelli messicani a Ciudad Juarez, la città più pericolosa del mondo, con un finale che non è la fine - lui che si è intrufolato nei cartelli per ritrovare lei, ne uccide il protettore e la ritrova, ma per una fuga senza scampo. Non si esce dalle mafie se non da morti (anche morti viventi, ora che vanno i pentiti). O dal male: le violenze subite non si rimarginano. 
                                                                                                                     
Salvatore Baiardo si propone a sindaco di Bagheria - dopo essersi candidato, sempre in proprio, alle Europee. Non di un paesano: di una capitale dell’arte e dela cultura. Un personaggio assurdo, non fosse per un giornalismo cialtrone e l’antimafia del meglio-che lavorare. Che ha fatto Baiardo, a settant’anni, per meritare la ribalta? A parte i gelati, che erano il suo mestiere? Promettere foto di Berlusconi con Riina, o altri mafiosi. Il ludibrio della Sicilia, del Sud.
 
La Sicilia non ha in uggia questo “trattamento”, mediatico e giudiziario. C’è un perché? In fondo, l’antimafia è molto “siciliana” - riesce difficile immaginare un’antimafia come la nostra in Lombardia o in Emilia. Manzoni, per es., liquida la mafia come un fenomeno limitato, anche se oscuro. E malgrado la diffusione, se i “bravi” sono stati contati in 30 mila dallo storico Ripamonti - o in 60 mila?
 
Si fa scandalo per il giovane italiano “incaprettato” dalla polizia a Miami. Si direbbe che la mafia faccia “cultura” anche in America – la vittima legata le mani ai piedi dietro la schiena come il capretto destinato allo scuoiamento, la pena dei traditori. Se la polizia si vuole mafiosa.
 
Si sottovaluta l’America, anche nel parco divertimento che per gli italiani sarebbe Miami – come se fosse un’altra Europa. Ma è vero che anche Miami è Sud. E le immagini dell’“incaprettamento”, diffuse dalle stesse bodycam dei poliziotti, mini videocamere indossabili, mostrano senza vergogna mani nere e brune.
 
Il Nord è piramidale
“Nelle regioni italofone della Svizzera, ovvero Canton Ticino e parte del Cantone dei Grigioni, il termine lombardo terùn/terone è utilizzato in tono dispregiativo per indicare, senza alcuna distinzione geografica o regionale, i citadini di nazionalità italiana” - wikipedia.
Il Nord è come l’impiccato, ha bisogno di elevarsi.
Il Canton Ticino è spregiativamente colonizzato dagli svizzeri tedeschi, per vie del sole: si comprano le case migliori e fanno vita isolata dai terùn ticinesi – impiegati, avvocaticchi, mestatori, parolai.
Gli svizzeri tedeschi non sono simpatici ai tedeschi di Germania.
Neanche i tedeschi austriaci lo sono, in Germania.
 
La filosofia è meridionale
Tirando le fila, a 93 anni, di una lunga pratica di pensiero, Biagio de Giovanni parte da una constatazione: la filosofia è meridionale – la riflessione intitola “Giordano Bruno Giambattista Vico e la filosofia meridionale”, ma la congiunzione è di fatto una copula: il titolo è un’affermazione, la filosofia è meridionale. In antico e nella modernità.  “La filosofia occidentale nasce … in Magna Grecia, e si diffonde ad Atene”. Modernamente, “per citare i sommi, Telesio, Campanella e Bruno sono disseminati tra Calabria e Campania. E poi viene il Vico napoletano”. E ancora, parlando dell’Italia unita, “i primi «hegeliani» d’Italia e d’Europa sono i napoletani, Bertrando Spaventa su tutti, che era di Bomba, in Abruzzo, ma napoletano nella sua vita filosofica. E infine i grandissimi del Novecento: Croce e Gentile”.
Certo, dice, al Nord non mancano i filosofi, “da Marsilio Ficino ad Antonio Rosmini”. Ma, se si parla di “filosofi che hanno contribuito a cambiare la storia e la logica del pensiero umano, il Mezzogiorno resta un confine abbastanza solido e sicuramente carico di nomi”.
È come diceva l’Avvocato Agnelli sprezzante nei confronti di De Mita? “Un intellettuale del Mezzogiorno. Di quel pensiero tipico della Magna Grecia”. Ineffettuale cioè, chiacchierone – lo stesso si era detto per decenni di Aldo Moro, poi risparmiato dopo la tragica fine, dell’inafferrabilità, o incongruità, del suo dialogare. De Giovanni non contesta l’Avvocato: “La maggioranza dei filosofi citati, i massimi, manifestavano tutti qualche diffidenza critica verso l’irrompere della rivoluzione scientifica, quella iniziata da Galilei”. Compreso Campanella, che pure, benché in carcere, lo difese, facendo pubblicare una “Apologia di Galileo”. Fino alla “violenza polemica di Federico Enriques contro Croce che invitava gli scienziati a calcolare, non a pensare”. O quella anti-cartesiana di Vico, altrettanto violenta, contro “una razionalizzazione che disprezzava la storia”, contro il cogito-ergo-sum, “una ragione che dubitava del mondo, ma non di sé”. Vuole però salvare la metafisica, contro “l’equazione filosofia-metafisica-arretratezza”: la metafisica è “un tratto decisivo per fondare l’Europa quale continente della libertà”. Senza contare, “e non è cosa da poco, che nel Mezzogiorno d’Italia si afferma la statualità, e in Europa non c’è filosofia che conti senza Stato”.
Per motivare “l’arretratezza del Sud rispetto al Nord si dovranno trovare altre ragioni”. La filosofia non ne ha colpa, è solo titolo di merito.
Resta inspiegato perché tanta filosofia sia ineffettuale. Se non per le ragioni note – cui il filosofo indirizza di sbieco, a proposito della statualità: “L’esperienza «spagnola» di «Napoli capitale» contiene un elemento di modernità statuale, con un forte ordinamento forense, cui le larghe zone di arretratezza sociale ed economica (le analisi sono già in Antonio Genovesi, si può dire che con lui nasce la «questione meridionale») fanno solo relativamente ombra”.
“Relativamente” nel senso di poco? Poco no. Relativamente rispetto al Nord, al circuito virtuoso dello svluppo, economico e civile.
 
Al Sud lavorano gli immigrati
“Lavoratori extra Ue, arriva dal Sud il 54 per cento delle domande”, calcola “Il Sole 24 Ore” sui dati del ministero dell’Interno, aggiornati al 24 aprile. Delle domande presentate da imprenditori e famiglie negli ultimi click day del 18,21 e 25 marzo “relativi agli ingressi del 2024.
Un terzo della popolazione, un quarto (un po’ meno) del pil, presentano “il 54 per cento delle domande” di regolarizzazione: 380 mila da Sud e Isole, 224 mila dal Nord, 99 mila dal Centro.
In particolare le domande sono arrivate dalla Campania. Il 33 per cento delle domande, oltre il triplo della Lombardia, 10,7 per cento, che ha più abitanti. In testa Napoli, con 120 mila domande, seguita da Caserta , 53 mila, e Salerno, 43 mila – Milano è a quota 36 mila.
In totale 231 mila domande in Campania, sei milioni di residenti, dove il tasso di disoccupazione è al 17,8 per cento. E 75 mila in Lombardia, dieci milioni di residenti, con un tasso di disoccupazione al 4,1 per cento.
L’emigrazione ha prosciugato il Sud, non c’è più abbastanza forza lavoro? No, evidentemente: il Sud lavora a bassissimo lavoro aggiunto, per cui conviene la disoccupazione piuttosto che lavorare – il lavoro si lascia agli immigrati, nei campi e nelle famiglie, a basso costo, specie di oneri sociali.


Cronache della differenza: Napoli
“Un napoletano muto”, così ha lasciato scritto del Segretario di Stato di Pio XII, Luigi Maglione, cardinale, nelle memorie Wladimir d’Ormesson, ambasciatore francese presso la Santa Sede nel 1940, all’entrata in guerra dell’Italia (contro la Francia). Uno di cui bisognava capire “le mezze parole”, “una espressione”, “un gesto”, “una strizzata d’occhi”.
 
La donna de “Il fuoco che ti porti dentro”, il memoir di Antonio Franchini, napoletano principe degli editor a Milano, è la sua propria mamma, a detta dell’autore. Che la carica di tutto il peggio, “il qualunquismo, il razzismo, il classismo, l’egoismo, l’opportunismo, il trasformismo, la mezza cultura peggiore dell’ignoranza, il rancore”. Questo non è “napoletano”, non ci sono precedenti letterari locali di madri degeneri. Ma Franchini sì: non essere accomodanti – il “napoletano” è crudele.
 
Ernest Pignon-Ernest, “il pittore francese precursore della street art, molto prima di Banksy, molto prima di JR”, si è avvicinato all’Italia, dove opera, attraverso Pasolini e Napoli, trent’anni fa. “Rimasi folgorato dal caos”, dice a Montefiori su “La Lettura”: “Era una specie di caos legittimo, nel quale si poteva anche passare col rosso o andare contromano senza ricevere insulti, c’era una forma di convivenza ordinaria col caso”.
 
“Oggi Napoli è cambiata, è più ordinata”, continua Pignon-Ernest. Ma “i napoletani sono convinti che Napoli sia il centro del mondo, tutto è nato a Napoli, la prima nave a vapore in Italia, il primo teatro dell’opera, il babà al rum… e forse hanno ragione”. Una captatio benevolentiae, Napoli soprattutto seduce, o respinge.
 
“Napoli è la città in Europa con il maggior numero di armi in circolazione”, calcola Roberto Saviano sul “Corriere della sera”. È anche una città, dice Saviano, in cui i figli vogliono uccidere padri. Ma non in senso figurano, vogliono ammazzarli. Fa il caso di un Cristian Esposito, “figlio del boss Massimiliano Esposito detto «lo scognato»”, cioè lo sdentato, che del padre dice: “Quell’indegno tiene i principi suoi, lo devo fare pezzo a pezzo”.  Ancora: “Mamma mia, mamma mia, il primo che devo alzare in aria è lui. Lo devo alzare in aria, padre e buono”.
 
Raul Brancaccio, tennista professionista, 26 anni, 121mo nel ranking mondiale, declassato al 321 dopo una stagione sfortunata, si riprende a Napoli in un Challenger contro il francese Herbert, 36mo in classifica, quindi contro i pronostici. È avviato a un secondo set vittorioso, decisivo, se non che il “suo” pubblico gli si scatena contro, con urla, minacce, “termini impronunciabili”, al punto decisivo, per fargli perdere la concentrazione. E ci riesce: Brancaccio ha sette match point (colpi vincenti) ma non ce la fa. Il cuore di Napoli sono i soldi, la napolitudine è un mito, certo.
 
Il giovane Brancaccio è stato battuto dalle scommesse illegali. Lo sanno tutti, spiega il tennista a “Repubblica”: “Questa gente scommette sul game, sul risultato, sul punteggio, sul servizio, sui game, sul numero dei punti fatti in un set, su quello totale, e lo fa mentre assiste alla gara in corso in tribuna, con i telefonini, cosa assolutamente vietata”. Ma non al cuore di Napoli.
 
leuzzi@antiit.eu


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