Giuseppe Leuzzi
Tra il 2016 e il 2023, gli anni repertoriati da Banca
Intesa in uno studio sulle esportazioni, quelle dal Mezzogiorno sono aumentate
in misura maggiore rispetto al resto d’Italia. Il Mezzogiorno è – resta –
miserabile e irresponsabile per la parte Pubblica, Comuni, Regioni, Stato –
pulizia, polizia, strade e altre opere pubbliche, sanità. Per la debolezza
(arretratezza) politica, ferma ai favori.
Se non che Comuni e Regioni
sono gestiti da meridionali, e in gran parte anche lo Stato. Infetto è lo
“Stato”, l’amministrazione pubblica, del Meridione.
“Il Sole
24 Ore”: l’Italia ha il maggiore consumo pro capite di olio d’oliva; “in Italia
3 bottiglie su 4 di olio d’oliva sono straniere”; la produzione di olio in
Italia è concentrata, l’80 per cento, in Sicilia, Calabria, Puglia. Dove i
produttori, si può aggiungere, lamentano scarsa redditività, mancanza di
manodopera, parassiti vari. Più che l’affare poté il lamento.
L’olio nei bistrot e ristoranti delle tre
regioni, in bustina o nell’oliera (oggi bottiglietta da un decimo), è
solitamente di Crescenzago, o di Lecco. Dove non ci sono ulivi. Il Sud vuole
far rifiorire le aree dove non cresce l’ulivo? In una prospettiva green?
Si digiti: Orlando Sculli, “I palmenti di Ferruzzano”, Ibs-la Feltrinelli risponde vari titoli de “I Bastardi di Pizzofalcone” – anche un “Leoni di Sicilia”. Li lega come Sud. Un riflesso condizionato - là sotto è terra incognita?
“L’Italia è la nazione che,
tenuto conto della sua superficie, ha più dialetti”, Stefano Lanuzza, “Storia della
lingua italiana”, 70. E più in uso, correntemente.
Nel 1923 la riforma
scolastica di Gentile “ridimensiona il ruolo della grammatica nei programmi
scolastici” e, contro le stesse opinioni fasciste, afferma il ruolo positivo
dei dialetti”, id. p.73. Nel 1926 se ne vieta l’uso per decreto – anche se
“continuano ad essere utilizzati da maestri e alunni”.
“Informazione, poche le voci
per il Meridione”, lamenta “Il Quotidiano del Sud”, e chiede “una par condicio
territoriale”. Ma un problema insorge: Bruno Vespa, che è abruzzese, lo consideriamo settentrionale?
Il Sud si riforma facile con Sgarbi
Candidato alle Europee al
Sud, Sgarbi fa campagna elettorale, spiega al “Corriere della sera” senza
comizi né pranzi, semplicemente si fa vedere, passeggia. “Mi conoscono tutti,
dai nove ai novantanove”, e con simpatia. Fece cos’ anche trent’anni fa, eletto
nella circoscrizione jonica della provincia di Reggio Calabria – con i voti dei
radicali di Giustizia Giusta, delle famiglie dei carcerati. E fece poi il
deputato, sempre “di strada”. Incivilendo con semplici consigli, ascoltati: la pavimentazione
a Gerace, Serra San Bruno, Mileto, il colore delle case a Ardore, eletto borgo
dei gelati tanti erano, e sono, i gelatai, la riscoperta di Mattia Preti a
Taverna. E la gente obbediva, le strade si pavimentavano. Poi al solito si
scocciò, e abbandonò la Calabria. Poi ci ripensò e si fece sindaco in Sicilia:
si candidò e fu eletto sindaco, con notevole beneficio di Salemi – sindaco lo sarà
poi di molti paesi, ora lo è di Arpino, sopra Formia.
Alla domanda di Alessandra
Arachi: “Come si muove lei tra i paesi del meridione?” può rispondere: “In
tutti i paesi dove vado trovo qualcosa di me”. Proseguendo con una “sgarbiata”,
ma non una insensata: “Rappresento il riscatto italiano del Meridione. È lì il
futuro, in quello che è celato e che deve venire fuori. Come succede a Pompei,
continuamente. Questo non c’è in nessun paese del Nord”. Lui, da solo, ha fatto
molto. La buona politica, semplice, fattiva, può molto.
La mamma finisce col mercato
La “mamma” italica, l’invenzione
dell’ultimo Corrado Alvaro, 1952, non è più. Non è scomparsa, è impossibilitata.
Cioè, è praticamente impossibile fare la mamma – del “mammismo”, che è
propriamente l’invenzione di Alvaro, non si sa, perdurando i “bamboccioni”, i
figli amati che non se ne vanno di casa.
Gli studi convergono che,
anche volendolo, è praticamente impossibile fare la mamma in Italia. Cioè avere
figli. A meno di non lasciare il lavoro. Cioè di avere una situazione patrimoniale
o familiare tale che consenta alla madre di dedicarsi esclusivamente ai figli.
Ma anche in questo caso, la
maternità non è poi agevole. Il declino demografico si accompagna infatti con
la “legge ferrea” del salari, che non è stata formulata da nessuno studioso ma è
nei fatti: la concorrenza comprime e riduce il salario, il valore reale del
reddito. Una concorrenza o mercato a cui non si può nemmeno opporre una preclusione
politica, anti-capitalista. Perché si esercita a vantaggio sì dei pochi fortunati
in carriera, ma soprattutto delle sterminate dell’Africa e dell’Asia, i quattro
quinti della popolazione mondiale che erano rimasti fuori fino a trent’anni fa
del perimetro della concorrenza – la concorrenza era anche una rete protettiva.
Ora lo steso lavoro si può fare, a costo inferiore, e con resa anche maggiore,
in un qualsiasi borgo dell’Europa orientale, o della Cina, dell’India, o del Marocco, del Sudafrica,
della Nigeria.
Sardegna, il futuro è il passato
Emilio Lussu pubblicava su “Il
Ponte” (n. VII, 1951) tre quarti di secolo fa, sotto il titolo “L’avvenire
della Sardegna”, un ritratto secco e preciso,
non benevolo, “critico”, sulla sua isola – con categorie che si applicano a
molta parte del Sud, Calabria, Lucania, salernitano, Salento. Partendo dalla domanda:
“Perché la Sardegna ha vissuto un periodo così lungo di vita meschina?”
Per l’atavismo. “Soffriamo di complessi che sono
certamente in gran parte atavici. Noi conosciamo
bene il nostro stato e vediamo le nostre debolezze: li confessiamo a noi
stessi, ma non amiamo che gli estranei li facciano propri…
Per l’asocialità. “Ma questa unità psicologica non ci ha mai unito, né ci unisce
tuttora. Poiché la disunione è la prima nostra impronta. Noi siamo tutti, e i nostri figli lo saranno certamente
meno di noi, malamente
individualisti, con tutti i guai che l’individualismo, questo orgoglio mal piazzato comporta…
“La nostra ostinazione a non voler ammettere la fatale sconfitta collettiva
come popolo ci ha offerto solo la rivincita di un ripiegamento
sulla personalità del singolo….
“Noi siamo stati sempre
disuniti e nemici fra noi stessi, sotto gli spagnoli, sotto gli aragonesi,
sotto i giudicati, sotto i romani, sotto i cartaginesi, sempre.
Loro solo erano uniti. Il loro Stato non era il nostro Stato, e impotenti a
sbarazzarcene, ci ripiegavamo su noi stessi, ognuno per proprio conto, nella
famiglia e nel villaggio: e villaggio contro villaggio, l’uno contro l’altro
nello stesso villaggio”.
Fra i sardi il fenomeno è
molto più marcato: “A Sassari gli abitanti oltre la regione cittadina, sono
ancora chiamati «i sardi»… Giovanni Siotto Pintor, che
appartiene alla borghesia colta della prima metà del secolo XIX, scrive la
Storia civile dei Popoli Sardi del suo secolo. Popoli sardi, quasi che la
Sardegna fosse un impero di popoli vari, e non un’ isola di malapena 500.000
abitanti, a quell’epoca”.
Per il malgoverno. “Dal periodo aragonese alla metà
del secolo XIX i contadini e i pastori lavoravano per mantenere in vita oltre
350 feudatari, tanti l’Isola allora spopolata più che non oggi, ne contava,
compresi quelli viventi in Ispagna. Vero è che se i sudditi erano miserevoli,
i signori non lo erano meno. Dovevano vivere solo di albagia come, ogni collina
un castello, la piccola nobiltà di Guascogna affamata. Le loro case sono la
testimonianza della loro piccola vita. Nessun palazzo di antico feudatario
esiste da noi che assurga alla dignità del modesto edifizio per la servitù che
a Pesaro i duchi di Urbino posero di fronte alla loro signorile dimora. Niente
di grandioso essi hanno costruito o conosciuto, all’ infuori della loro ingordigia”.
Sardegna, il futuro è il passato
Per
l’impolitica. “Fino al ‘900, niente lotta politica”.
“Non abbiamo avuto neppure la guerra partigiana”.
“Ci è mancata l’arte.
E’ che anche l’arte è storia. E perciò, non avendo avuto l’una, non
potevamo avere l’altra”.
“Le tanto
decantate nostre qualità ataviche - sentimento dell’onore, coraggio,
disciplina, lealtà, fedeltà alla parola data ed altre consimili – sono favole.
Non siamo né migliori né peggiori degli altri. …. E la nostra
costanza - l’ostinazione – è la stessa nel bene e nel male. Abbiamo
troppo sofferto sempre, perciò la nostra caratteristica non è la bontà: direi
anzi i1 contrario. Noi siamo tutti piuttosto cattivi, a freddo, senza trasporti
sentimentali…
“La nostra umanità è nel profondo della nostra
sofferenza che ci è stata tramandata da una generazione all’altra.
“Questa umanità è legata al
ricordo del dolore dentro di noi, e che finora non abbiamo espresso in forma
creativa, neppure in politica, e tanto meno in politica.”
Cronache della differenza: Calabria
La
segretaria storica Pd di Cosenza, Jlenia Sardana, licenziata il 31 dicembre
2022 per riduzione
del personale, scopre che le devono alcune mensilità, e naturalmente aspetta la liquidazione.
Non arriva niente, e allora si rivolge alla Cgil. Che fa causa al Pd. Il
Tribunale le dà ragione,
ma scopre che è stata contrattualizzata solo sette anni, prima era in nero.
Settis
ricorda sul “Robinson” Vincenzo Di Benedetto, grecista alla Normale di Pisa, ne
ricorda “la prodigiosa
padronanza che aveva del greco classico. Si diceva scherzando chela sua prima
lingua era il
calabrese e la seconda il greco antico”. E aggiunge: “Il suo non era solo
talento filologico, ma qualcosa
di intimamente connesso alla lingua calabra”. Una “lingua calabra” non c’è, ce
ne sono almeno
due: una è il cosentino, latino, il reggino invece è greco, basicamente.
Il dialetto
non è una lingua, ma in un senso è di più, è un linguaggio, della persistenza.
Se
così è, Di Benedetto è però un’eccezione. Nato a Altomonte, cresciuto a
Saracena, studi a Castrovillari,
cioè tra i Casali di Cosenza e l’Alto Jonio, o Sibaritide. Dove evidentemente
la Grecia
s è conservata sotterranea, sebbene solo di recente rintracciata, nello stesso
sito di Sibari, a Trebisacce
(Micenei), e altrove.
Rizziconi,
paese di commercianti industri, e di famiglie di mafia, celebra il campionato dell’Inter
con una
gigantografia, “Rizziconi è nerazzurra”. Nove metri per tre: un notevole
impegno grafico. Anche
il telaio è solido, e l’impalcatura di sostegno. Poi si dice che il Sud manca
di applicazione, e di
capacità.
Si
torna a non votare a San Luca, nessuno si candida. Ci sono un sindaco e una giunta che hanno fatto
bene, candidati cinque anni fa dal questore di Reggio. Parsimoniosi anche, non
hanno speso un euro
per sé e lasciano una cassa piena, dopo le micragne dei commissariamenti
prefettizi. Ma hanno ricevuto
un avviso di garanzia, anzi tre. Cinque mesi fa, quando si cominciava a pensare
al voto. Gli avvisi
sono caduti nel nulla, ma il sindaco li ha letti come un “avvertimento”, nel
linguaggio del luogo.
Che il
linguaggio possa essere comune e mafia e giudici sembra strano, ma non o è. È
che il sindaco propende
per la destra, per Forza Italia, e il Procuratore di Locri per la sinistra.
Si
apre in Calabria “Adolphe”, il romanzo celebre di Constant sui tormenti d’amore provocati da un giovane irresoluto. “Molti anni fa viaggiavo in Italia” è l’incipit: “Uno straripamento del Neto mi costrinse a fermarmi in una locanda di Cerenza”. Dove alloggia anche un altro straniero. Che ha un malore, ed è curato dal cerusico locale. Poi parte da solo. A Napoli lo scrittore riceverà una lettera dell’albergatore di Cerenza, “insieme con una cassetta trovata nella strada per Strongoli”, con dentro “un ritratto di donna e un quaderno contenente il racconto”. I riferimenti, val di Neto, Cerenza, Strongoli, sono precisi. Constant li ha ricavati dalle memorie degli ufficiali napoleonici dieci anni prima? “Adolphe” è anteriore alle
rivolte calabresi, scritto di getto, pare, nel 1806, ma è scuramente rivisto
dieci anni dopo, per la
pubblicazione.
Una storia
che non si fa (si sa), quella delle rivolte “massiste” in Calabria contro la
Francia, tra il 1806 e
il 1809, che pure hanno lasciato molti segni.
leuzzi@antiit.eu
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