venerdì 17 maggio 2024

Come essere buoni cattolici - S. Weil

“Posso dire che in tutta la mia vita non ho mai, in nessun momento, cercato Dio. Per questa ragione forse, senza dubbio troppo soggettiva, è un’espressione che non amo e che mi sembra falsa. Fin dall’adolescenza ho pensato che il problema di Dio è un problema i cui dati mancano quaggiù e che il solo metodo certo per evitare di risolverlo sbagliando, il che mi sembrava il più gran male possibile, era di non porlo” – Simone Weil, quinta lettera a padre Perrin (“Autobiografia spirituale”): “Ho sempre adottato come sola posizione possibile la posizione cristiana. Sono per così dire nata, sono cresciuta, sono sempre rimasta nell’ispirazione cristiana”. Distinguendo cioè fra Dio e il mondo: “Mentre il nome stesso di Dio non aveva parte alcuna nei miei pensieri, aveva nei riguardi dei problemi di questo mondo e di questa vita la concezione cristiana, di una maniera esplicita, rigorosa, con le nozioni più specifiche che essa comporta”.
La distinzione, che culmina la discussione fra i due corrispondenti sull’opportunità del battesimo, che S. Weil ha contestato, vuole probabilmente marcare una distinzione netta dall’ebraismo. Ma, al di fuori del significato personale, pone delle verità a prima vista incontestabili.
La corrispondenza si apre con la questione del battesimo, cioè si apre per chiudere la questione, dato che il battesimo non fa per lei. Per ragioni pratiche: “Il battesimo vuole con sé la fede, i dogmi, i sacramenti”. Ma la catecumena fallita incoraggia il confessore: “Dio non mi vuole nella chiesa. Non abbia dunque rimpianti”. Con una professione che è anche una “narrazione” del cattolicesimo che il papa sicuramente apprezzerebbe: “Il cristianesimo deve contenere in sé tutte le vocazioni senza eccezione, perché è cattolico. Quindi anche la Chiesa. Ma a mio avviso il cristianesimo è cattolico in diritto ma non in fatto. Tante cose sono fuori di esso”. Una dichiarazione di fede in realtà, e anche di appartenenza, critica: “Il cristianesimo essendo cattolico in diritto e non in fatto, ritengo legittimo da parte mia essere membro della Chiesa in diritto e non in fatto, non soltanto per un periodo, ma eventualmente tutta la mia vita”. Simone Weil pregiava il concetto di cattolicità più che quello di cristianità – o meglio la cristianità cvoleva “cattolica”, universale: “Bisogna essere cattolici, cioè nn essere legati da un filo ad alcuna creatura, bensì alla totalità della creazione”.
Le sei lettere a padre Perrin, il domenicano ascetico conosciuto a Marsiglia nel 1941, cui Simone Weil indirizzò queste lunghe lettere fra il 19 gennaio e il 6 maggio 1942, sei mesi dopo avere conosciuto il domenicano a Marsiglia e alla vigilia della partenza da Casablanca per gli Stati Uniti. Alla prima delle due da Casablamva, la quinta lettera della raccolta, premettendo un poscritto e un titolo, “Autobiografia spirituale” – da cui le citazioni.
Singolare lezione, ripetuta, data al domenicano su come essere buoni cattolici. Con citazioni da san Giacomo della Croce e san Francesco.      
Le lettere erano state pubblicate presto, dopo la guerra, dallo stesso p. Perrin col titolo più conseguente “In attesa di Dio”. Nella presentazione delle opere di S.Weil nella collana francese “Quarto”, la non benevola curatrice  Florence de Lussy sottolinea la relazione speciale che si era aperta fra i due corrispondenti: “Padre Perrin fu il solo essere umano che non l’abbia mai ferita con i suoi atteggiamenti o le sue parole.  Lei lo teneva in grande considerazione, ne parlava con calore agli amici e lo riteneva un santo”. 
Simone Weil,
Come un testamento spirituale, Il Pellegrino, pp. 112 € 12
free online www.cristinacampo.it

 

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