Come essere buoni cattolici - S. Weil
“Posso dire che in tutta la mia vita non ho mai, in
nessun momento, cercato Dio. Per questa ragione forse, senza dubbio troppo soggettiva,
è un’espressione che non amo e che mi sembra falsa. Fin dall’adolescenza ho
pensato che il problema di Dio è un problema i cui dati mancano quaggiù e che
il solo metodo certo per evitare di risolverlo sbagliando, il che mi sembrava
il più gran male possibile, era di non porlo” – Simone Weil, quinta lettera a
padre Perrin (“Autobiografia spirituale”): “Ho sempre adottato come sola
posizione possibile la posizione cristiana. Sono per così dire nata, sono
cresciuta, sono sempre rimasta nell’ispirazione cristiana”. Distinguendo cioè
fra Dio e il mondo: “Mentre il nome stesso di Dio non aveva parte alcuna nei
miei pensieri, aveva nei riguardi dei problemi di questo mondo e di questa vita
la concezione cristiana, di una maniera esplicita, rigorosa, con le nozioni più
specifiche che essa comporta”.
La distinzione, che culmina la discussione fra i due
corrispondenti sull’opportunità del battesimo, che S. Weil ha contestato, vuole
probabilmente marcare una distinzione netta dall’ebraismo. Ma, al di fuori del
significato personale, pone delle verità a prima vista incontestabili.
La corrispondenza si apre con la questione del battesimo,
cioè si apre per chiudere la questione, dato che il battesimo non fa per lei. Per
ragioni pratiche: “Il battesimo vuole con sé la fede, i dogmi, i sacramenti”. Ma
la catecumena fallita incoraggia il confessore: “Dio non mi vuole nella chiesa.
Non abbia dunque rimpianti”. Con una professione che è anche una “narrazione”
del cattolicesimo che il papa sicuramente apprezzerebbe: “Il cristianesimo deve
contenere in sé tutte le vocazioni senza eccezione, perché è cattolico. Quindi
anche la Chiesa. Ma a mio avviso il cristianesimo è cattolico in diritto ma non
in fatto. Tante cose sono fuori di esso”. Una dichiarazione di fede in realtà, e
anche di appartenenza, critica: “Il cristianesimo essendo cattolico in diritto
e non in fatto, ritengo legittimo da parte mia essere membro della Chiesa in diritto
e non in fatto, non soltanto per un periodo, ma eventualmente tutta la mia
vita”. Simone Weil pregiava il concetto di cattolicità più che quello di
cristianità – o meglio la cristianità cvoleva “cattolica”, universale: “Bisogna
essere cattolici, cioè nn essere legati da un filo ad alcuna creatura, bensì
alla totalità della creazione”.
Le sei lettere a padre Perrin, il domenicano
ascetico conosciuto a Marsiglia nel 1941, cui Simone Weil indirizzò queste
lunghe lettere fra il 19 gennaio e il 6 maggio 1942, sei mesi dopo avere
conosciuto il domenicano a Marsiglia e alla vigilia della partenza da
Casablanca per gli Stati Uniti. Alla prima delle due da Casablamva, la quinta
lettera della raccolta, premettendo un poscritto e un titolo, “Autobiografia
spirituale” – da cui le citazioni.
Singolare lezione, ripetuta, data al domenicano su
come essere buoni cattolici. Con citazioni da san Giacomo della Croce e san Francesco.
Le lettere erano state pubblicate presto, dopo la
guerra, dallo stesso p. Perrin col titolo più conseguente “In attesa di Dio”.
Nella presentazione delle opere di S.Weil nella collana francese “Quarto”, la non
benevola curatrice Florence de Lussy
sottolinea la relazione speciale che si era aperta fra i due corrispondenti:
“Padre Perrin fu il solo essere umano che non l’abbia mai ferita con i suoi atteggiamenti
o le sue parole. Lei lo teneva in grande
considerazione, ne parlava con calore agli amici e lo riteneva un santo”.
Simone Weil, Come
un testamento spirituale, Il Pellegrino, pp. 112 € 12
free online
www.cristinacampo.it
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