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La peste dei "Promessi sposi", dal vivo
Molto citato e poco letto (non pubblicato, da almeno un secolo) la
revocazione di Milano nel primo Seicento alla base della parte storica dei “Promessi
sposi” - anzi, la fonte unica, per quanto ricca. Si ripropone con una nuova traduzione.
Ripamonti, brianzolo, di famiglia povera, sacerdote,
fu scelto dal cardinale Federigo Borromeo come direttore della Biblioteca
Ambrosiana. Insegnò letteratura latina ed eloquenza sacra nel Seminario di
Milano. Fu nominato cronista della città dai decurioni di Milano e storiografo
regio dal governatore spagnolo. Autore delle “Historiae Ecclesiae Mediolanensis”,
pubblicate fra il 1617 e il 1628, di “Historiae Patriae” pubblicate postume tra
il 1643 e il 1648. E di questo “De peste Mediolani quae fuit anno 1630”, pubblicato
nel 1640, tre anni prima della morte. Molto dettagliato, e ben costruito, ma rimasto
praticamente ignoto prima del romanzo – fu tradotto solo nel 1841.
La cronaca è voluminosa ma non noiosa. È divisa in
cinque libri: la carestia e la peste; gli untori; le gesta del cardinale Federico
Borromeo e del clero durante il contagio; le “grida” della sanità e delle varie
altre magistrature; un parallelo fra gli antecedenti contagi e la peste del
1630. Fra le tante storie di peste successive, da Defoe fino a Camus, è questa
forse quella più vivace, e meglio argomentata.
Sono qui i capitoli XXI e XXII del romanzo di Manzoni.
Che non nascose la fonte, anzi: cita Ripamonti spesso, lo dice anche sua
principale fonte storica, per tutto, compresi i “bravi”. Ma tutto il romanzo, e
molto Manzoni, si direbbe “ripamontiano”, dolente e inflessibile – non c’è
debolezza che eviti o nasconda.
Giuseppe Ripamonti, La
peste di Milano del 1630, Luni, pp. 432 € 128
free online
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