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Americani - “Gli americani
non sono inglesi, per niente”, Gertrude Stein – che non era anglofila - se lo
fa dire da militari americani alla liberazione in Francia, che sono passati per
l’Inghilterra, (“Guerre che ho visto”, 259), facendoli argomentare: “Non siamo
andati mai completamente d’accordo con gli inglesi fino a quando non si furono
ficcati in testa che noi non siamo cugini ma stranieri, una volta che lo ebbero
capito, tutto andò liscio come l’olio”.
Amore e morte – “Amore e morte, Eros e Thanatos: un binomio
molto presente nella letteratura mondiale” lo vuole wikipedia. Che subito cita Leopardi:
“Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte/ ingenerò la sorte», etc. – “Nasce
dall'uno il bene,/ nasce il piacer maggiore/ che per lo mar dell'essere si
trova;/ l’altra ogni gran dolore,/ogni gran male annulla”. Ma il binomio
si può dire germanico. La morte è la cosa
di cui meno si parla al mondo, se si eccettua la Germania. Anche questo
Stendhal dice meglio: “La morte è una parola senza senso per la maggior parte
degli uomini. È solo un attimo, e in genere non lo si avverte”. Ma si può
farsene una grandezza, proiettando quell’attimo su tutta la vita, e in questo
l’amore teutonico è insuperato, Freud non inventa nulla, amore e more è marchio
di fabbrica. Sommo di-letto è in Schlegel fantasticare la morte dell’amata
Lucinde, straziarsi per lei. O nel giovane Kleist, e in Rilke. In Kafka non si
muore per accidente, malattia o vecchiaia, ma inevitabilmente per amore.
L’amore biedermeier muore anch’esso
giovane, sui vent’anni, nella penombra. Lo stesso olimpico Goethe fa morire
tutte le eroine d’amore nel Wilhelm Meister, il romanzo dell’“arte di
vivere”: Sperate, Mariane, Mignon, Aurelia, l’ar-pista. Tristano e Isotta si
amano per morire. “La notte appartiene alla morte”, sussurra la Sibille
thomasmanniana al fratello Wiligis per incitar-lo all’incesto – col quale, prima
di farlo, dialoga in occitano, oh sublime ridicolo. Da qui il verso celebre di Celan: “La morte è un maestro della Germania”. I tedeschi sono, padri o figli di
Freud, in sonno, in partibus, in
incognito, igienisti. Dei sentimenti, delle passioni e della ragione.
Anche Leopardi per
la verità è del parere: “Quando novellamente\ nasce nel cor profondo\ un
amoroso affetto\…\ un desiderio di morir si sente”. E Foscolo – ma da lombardo
di adozione, con parentele prussiane, per essere à la page, della moda
romantica, cioè tedesca.
Equilibrio europeo – La dottrina dell’“equilibrio
europeo”, poi balance of power, nasce in Europa con la nascita degli
Stati. Nasce in Italia – Federico Chabod, “Storia dell’idea di Europa”, p. 54:
“Sbocciata la prima volta in Italia, e proprio essenzialmente nell’età del
Machiavelli e del Guicciardini, con le considerazioni sulla bilancia d’Italia,
accortamente tenuta in bilico da Lorenzo il Magnifico, ma poi trapassata nella
pubblicistica europea con Francia e Spagna «piatti» ed Inghilterra «ago della
bilancia»…. Ripresa, portata al suo massimo sviluppo dalla pubblicistica
inglese nell’età della regina Anna, quando il principio dell’equilibrio viene
anteposto al medesimo principio di giustizia, poiché, afferma il Defoe: «La
pace del Regno unito, la tranquillità generale dell’Europa devono prevalere su una considerazione di pura giustizia»;
fino a pervenire alla considerazioni del Lehman, nel 1716, sull’equilibrio come
una specie di «costituzione» dell’Europa, o alla categorica dichiarazione di
Voltaire che tra i principi di diritto pubblico e di politica, tipici dell’Europa
e sconosciuti alle altre parti del mondo, è quello, saggio, di mantenere tra i
vari Stati una bilancia uguale di poteri, a mezzo di incessanti trattative
diplomatiche, anche durante le guerre”.
L’abate di Mably constatava “che proprio
per avere attuato pienamente il sistema dell’equilibrio, l’Italia del ‘400 «è
stata un’immagine ik ciò ch’è oggi l’Europa, la quale costituisce un tutto
politico., in cui una parte è necessariamente legata alle altre da un reciproco
e benefico influsso” (ib.).
L’Europa si è costituita, ha prosperato, è
sopravvissuta sulla base dell’equilibrio dei poteri, dell’incessante ridefinizione
degli interessi e i limiti dei suoi regni e poi delle repubbliche.
Femminismo – “La nostra servetta ci diceva oggi che in una famiglia operaia
è meglio avere delle femmine anziché dei maschi”, G. Stein, “Guerre che ho
visto”, 93: “Perché il maschio da ragazzo non è di nessun aiuto e quando è grande
penserà a se stesso, alla fidanzata, al matrimonio, ai suoi figli. Obbligando
la madre a lavorare fuori, magari, “per contribuire a mantenere la famiglia”, e
tornando la sera sbrigare tutte le faccende domestiche. Mentre con le figlie
tutto è più facile.
Francesi – “I francesi
amano la varietà, è questo che li rende simpatici a viverci insieme”, G. Stein,
“Guerre che ho visto”, 87-88: “In poco più di cent’anni hanno avuto tre diverse
repubbliche, due specie di monarchie, una comune, una dittatura e l’attuale
governo 1943 (Vichy) e già si preoccupano di quello che sarà il loro prossimo governo”
– quello poi di De Gaulle, la Quarta Repubblica (a cui lo stesso generale farà
succedere nel 1958 una Quinta, l’attuale).
Hitler – “Antitedesco” lo vuole G. Stein, “Guerre che ho visto”, p.
237, per essere austriaco. L’ho detto già nel 1935, annota, alla “gente a
pranzo”, a un pranzo in cui aveva degli ospiti: “Dissi che era intenzione di Hitler
distruggere la Germania perché egli era austriaco e un austriaco nel profondo del cuore nutre un odio verso la
Germania così grande anche se inconscio che se potesse distruggerebbe la
Germania Hitler può e lo farà” - gli amici pensarono che “volessi fare dei
paradossi” e invece ecco qui: “È un po’ come Napoleone che essendo italiano era in fondo indifferente
al numero di francesi che potevano morire”. Però, “cosa strana il mostro
straniero esercita un fascino arcano sulla nazione che sta distruggendo”. Stein
si meravigliava all’epoca, 1944 avanzato, che in Germania la gente credesse sempre
nella vittoria: “Un fascino che un mostro nato in Germania non avrebbe potuto
avere. E così Hitler si adagia nell’attesa dell’ultimo battaglione che
combatterà per vincere o restare ucciso, presumibilmente per restare ucciso, ma
lui li ha convinti tutti alla sua idea perché è uno straniero”.:
Italia – Sono stati italiani
l’umanesimo, nota Chabod nella “Storia dell’idea di Europa”, il concetto politico
di “equilibrio” (balance of power) in Europa. A opera di Machiavelli,
nel “Principe”, nei “Discorsi” e nell’“Arte della guerra”, nell’insieme e nelle
sua articolazioni¨: Occidente e Oriente, e nella parte occidentale tra la “Magna”,
che Machiavelli privilegia, e gli altri, che invece biasima, italiani, francesi
e spagnoli, i “latini”.
Nella prosa dello scrittore franco-algerino Yasmina Khadra – un francese “popolare”,
con molti gerghi algerini - affiorano sempre parole italiane: “cantina”, “ponte”, “omertà”,
“mollo”, “porcherie”, “capo”. Anche Camus ne usava nei primi racconti,
ambientati a Orano- C’era molta Italia
in Tunisia e Algeria orientale prima dell’occupazione francese, e anche dopo.
Occidente - Nasce come opposto
all’impero d’Oriente (Bisanzio), ma in collegamento (in subordine) a Europa. “Il
termine Occidente, Abendland, è stato più e più volte assunto come
equivalente di Europa, soprattutto nella storiografia tedesca, la quale ha pure
messo in voga un’altra e consimile espressione, anch’essa come equivalente d’Europa,
e cioè la comunità dei popoli romano-germanici” – Federico Chabod, “Storia dell’idea
di Europa”, 40.
Restano fuori gli Slavi, dei cui assetti l’Europa ancora oggi non si cura.
In Jugoslavia, fra Ucraina e Russia – ma
sono innumeri le questioni aperte, anche dove sembrano dismesse o risolte, p.es.
tra Polonia e Ucraina, in Serbia, nella stessa “pacificata” Bosnia.
letterautore@antiit.eu
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