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L'Europa a destra con le donne
L’aspettativa è che alla Europee vinca la
destra (l’onda di destra dei sondaggi sarebbe anche il motivo per cui a Londra il
premier conservatore Suniak ha anticipato il voto, a un mese dopo le Europee,
come estremo tentativo di riacquistare i suffragi, se non la fiducia), e l’“Economist”
ci fa la copertina. Di attrazione doppia: la destra data vincente e tre donne
che la incarnano, Meloni al centro, von der Leyen e Le Pen di profilo.
Il fatto è singolare per sé: ma più ancora,
sotto il glamour, per il cambiamento al Parlamento di Strasburgo e a Bruxelles,
se il pronostico sarà confermato. Che sarebbe storico. Nei 45 anni di vita il
Parlamento europeo, e la Commissione, sono stati governati dal centro-sinistra,
facendo perno sui Popolari. Nel 2019 il voto ai Popolari si è ridotto, e la
maggiorana si è trovata con difficoltà, con piccoli pezzi della destra – un paio
di voti vennero a Ursula von der Leyen anche dalla Lega. In questa campagna elettorale
i Popolari hanno virato verso la destra, soprattutto in Germania, dove i due partiti
democristiani hanno deciso di affrontare la concorrenza della destra di Afd. In
prospettiva, si avrebbe un cambiamento storico alle istituzioni europee.
In Italia non se ne parla per “non
favorire la Meloni”. Ma è un fatto. Fuori non c’è questo timore.
Giornalisticamente, Meloni è stata ed è
in Europa un “fenomeno”. L’“Economist” le dedicava la copertina già due anni fa,
il 22 settembre, prima del voto, con un titolo interrogativo: “L’Europa si deve
preoccupare?”. A inizio anno ci è tornato su, questa volta senza copertina, ma
con giudizio rinfrancato: tra tutti i Paesi europei l’Italia è per una volta
tra quelli che destano meno preoccupazioni, politiche ed economiche. Ora mette
Meloni al centro, tra Von der Leyen e Le Pen, “le tre donne che plasmeranno l’Europa”.
Il credito, malgrado i timori politici,
viene a Meloni dal fatto che parla fluentemente e senza accento l’inglese (e il
francese e lo spagnolo), è sintetica, al contrario della romanità profusa alla Franca Valeri che esibisce in Italia, e conosce i dossier internazionali. L’inglese fluente per
i presidenti del consiglio è una novità - a parte Draghi: Conte, Renzi, gli
stessi Gentiloni e Letta, e anche Prodi, per non dire Berlusconi. E per saper
tacere, dietro la facondia: p. es. sul debito, che tiene sotto controllo senza
dirlo con mano ferrea (meno spese e tante piccole tasse, qua e là).
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