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L’Italia non è un paese per automobili
Carlos Tavares, l’amministratore
delegato di Stellantis, si chiede retoricamente: “Un milione di auto fabbricate
in Italia?” E si risponde, per dire no: “Ci vuole l’ambiente imprenditoriale
giusto”.
Dice un’ovvietà. Che si fa
finta – media di destra e di sinistra uniti nella lotta - sia un trucco da sfruttatore:
dopo l’Inghilterra negli anni 1960 (pausa tè, pausa sigaretta, pausa pipì…), che
costrinse le case americane a scappare in Germania e in Spagna, il sindacalismo
italiano ha aiutato la delocalizzazione e scoraggiato qualsiasi tipo d’investimento.
Per salvare Pomigliano Marchionne dovette sfidare il sindacato.
Trent’anni fa il paddock
del Gran Premio di Montecarlo era popolato da team italiani o inglesi, domenica
di (mezzo) italiana c’era solo Ferrari.
L’Inghilterra, rinsavita
dopo la Thatcher, fabbrica ancora un milione di auto l’anno. La Francia pure. La
Spagna due milioni. La Germania, dove l’IG Metall è molto più forte delle
Fim-Fiom, e i metalmeccanici stanno molto meglio di quelli italiani, quattro e
mezzo.
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