Cerca nel blog

lunedì 13 maggio 2024

Matteotti o della politica

“Giurista, economista, amministratore, uomo pratico” e di ideali, per primo il pacifismo. “Processato per disfattismo, condannato in ripetute istanze, trattò da sé la sua causa in modo radicale, senza mai rinnegare il pacifismo”, fino in Cassazione. L’unico politico che sapesse del mondo, dove aveva viaggiato, conoscendo l’inglese. Uom non dei congressi, ma di forti convinzioni. “Il nemico delle sagre”, dei comizi con banchetto. Isolato nel suo partito perché riformista, ma soprattutto perché fatto di un’altra pasta. “Il tipo in cui si manifestò il nostro socialismo è più il tribuno che il politico, e ne venne una classe dirigente di avvocati penalisti, più oratori facondi che dottori di diritto, accomodanti per vanità e per odio della politica”.
Il ritratto di un politico quale dovrebbe essere: “Matteotti organizzatore: l’ossessione della semplicità, della chiarezza, della praticità. Esemplificava nei particolari, proponeva modelli di statuti, di regolamenti, parlando coi contadini come uno di loro”. Di più: “La sua severità di amministratore era addirittura paradossale in un socialista: sentivi in tanta rigidezza il padre conservatore”. Un politico sindacalista, contro “il massimalismo anarchico” e contro “l’opportunismo dei sindacati riformisti”.
“Il” nemico per eccellenza – Gobetti non lo dice, ma il senso è quello – dell’ex massimalistai Mussolini. Che lo fa uccidere nel 1924 ma lo perseguitava, anche con bastonature, dal 1921. Nel 1920, in buona misura a opera di Matteotti, tutti i 63 comuni del Polesine risultarono amministrati da socialisti.
Una rivendicazione politica, a caldo subito dopo l’assassinio. Ma anche un ritratto, come dice il sottotitolo. Molto è della vita di Matteotti. Pacifista, viene arruolato in guerra malgrado le non buone condizioni fisiche. Soggetto durate la naja a maltrattamenti, a Mesina dapprima e poi a Campo Inglese. “Matteotti non fu mai popolare. Tra i compagni era tenuto in sospetto per la ricchezza” (“la fortuna della famiglia Matteotti era valutata prima della guerra a 800.000 lire di beni immobili, tutti sparsi nella provincia, in piccoli lotti, comprati d’occasione d’anno in anno”).
Trascurato per il centenario dell’assassinio, è il ricordo del leader socialista più immediato e, alla rilettura, duraturo. Scritto da Gobetti a caldo, subito dopo l’assassinio, con l’ausilio di Aldo Parini, un sindacalista del Polesine collaboratore di Matteotti, pubblicato a caldo su “La Rivoluzione Liberale” l’1 luglio 1924, e in libro un mese dopo. Riscoperto e riproposto in varie edizioni subito dopo la guerra, in ambito liberal-socialista – forse per questo rimasto fuori dalle celebrazioni, monopolizzate da ex Pci.
Una riedizione vecchia, già di trenta anni, e nuova. Larga parte è dovuta al curatore, lo storico Marco Scavino. Con una nota al testo, e una corposissima appendice, comprendente le bio di Matteotti e Gobetti, e la cronaca dettagliata di come Gobetti “coprì” l’assassinio di Matteotti per tutto il 1924. La cronaca è anche delle prese di posizione politiche di Gobetti e altri oppositori, e cioè di una serie di errori politici, tutti più o meno noti: l’opposizione liberale all’ipotesi Giolitti, don Sturzo “convinto” dal Vaticano a emigrare a Londra, dal papa Pio XI che pure temeva Mussolini, l’“Aventino”.  
Piero Gobetti,
Per Matteotti
, il Melangolo, pp. 109, pp. vv.

Nessun commento: