Matteotti o della politica
“Giurista, economista, amministratore, uomo pratico” e di ideali, per primo
il pacifismo. “Processato per disfattismo, condannato in ripetute istanze,
trattò da sé la sua causa in modo radicale, senza mai rinnegare il pacifismo”,
fino in Cassazione. L’unico politico che sapesse del mondo, dove aveva
viaggiato, conoscendo l’inglese. Uom non dei congressi, ma di forti
convinzioni. “Il nemico delle sagre”, dei comizi con banchetto. Isolato nel suo
partito perché riformista, ma soprattutto perché fatto di un’altra pasta. “Il
tipo in cui si manifestò il nostro socialismo è più il tribuno che il politico,
e ne venne una classe dirigente di avvocati penalisti, più oratori facondi che
dottori di diritto, accomodanti per vanità e per odio della politica”.
Il ritratto di un politico quale dovrebbe essere: “Matteotti organizzatore:
l’ossessione della semplicità, della chiarezza, della praticità. Esemplificava
nei particolari, proponeva modelli di statuti, di regolamenti, parlando coi
contadini come uno di loro”. Di più: “La sua severità di amministratore era addirittura
paradossale in un socialista: sentivi in tanta rigidezza il padre conservatore”.
Un politico sindacalista, contro “il massimalismo anarchico” e contro “l’opportunismo
dei sindacati riformisti”.
“Il” nemico per eccellenza – Gobetti non lo dice, ma il senso è quello –
dell’ex massimalistai Mussolini. Che lo fa uccidere nel 1924 ma lo perseguitava,
anche con bastonature, dal 1921. Nel 1920, in buona misura a opera di
Matteotti, tutti i 63 comuni del Polesine risultarono amministrati da
socialisti.
Una rivendicazione politica, a caldo subito dopo l’assassinio. Ma anche
un ritratto, come dice il sottotitolo. Molto è della vita di Matteotti. Pacifista,
viene arruolato in guerra malgrado le non buone condizioni fisiche. Soggetto
durate la naja a maltrattamenti, a Mesina dapprima e poi a Campo Inglese. “Matteotti
non fu mai popolare. Tra i compagni era tenuto in sospetto per la ricchezza” (“la
fortuna della famiglia Matteotti era valutata prima della guerra a 800.000 lire
di beni immobili, tutti sparsi nella provincia, in piccoli lotti, comprati d’occasione
d’anno in anno”).
Trascurato per il centenario dell’assassinio, è il ricordo del leader socialista
più immediato e, alla rilettura, duraturo. Scritto da Gobetti a caldo, subito
dopo l’assassinio, con l’ausilio di Aldo Parini, un sindacalista del Polesine
collaboratore di Matteotti, pubblicato a caldo su “La Rivoluzione Liberale” l’1
luglio 1924, e in libro un mese dopo. Riscoperto e riproposto in varie edizioni
subito dopo la guerra, in ambito liberal-socialista – forse per questo rimasto
fuori dalle celebrazioni, monopolizzate da ex Pci.
Una riedizione vecchia, già di trenta anni, e nuova. Larga parte è dovuta al curatore, lo storico Marco
Scavino. Con una nota al testo, e una corposissima appendice, comprendente le
bio di Matteotti e Gobetti, e la cronaca dettagliata di come Gobetti “coprì” l’assassinio
di Matteotti per tutto il 1924. La cronaca è anche delle prese di posizione politiche
di Gobetti e altri oppositori, e cioè di una serie di errori politici, tutti
più o meno noti: l’opposizione liberale all’ipotesi Giolitti, don Sturzo “convinto”
dal Vaticano a emigrare a Londra, dal papa Pio XI che pure temeva Mussolini, l’“Aventino”.
Piero Gobetti, Per Matteotti, il Melangolo, pp. 109, pp. vv.
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