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martedì 14 maggio 2024

Secondi pensieri - 535

zeulig
 
Dio
- “Posso dire che in tutta la mia vita non ho mai, in nessun momento, cercato Dio. Per questa ragione forse, senza dubbio troppo soggettiva, è un’espressione che non amo e che mi sembra falsa. Fin dall’adolescenza ho pensato che il problema di Dio è un problema i cui dati mancano quaggiù e che il solo metodo certo per evitare di risolverlo sbagliando, il che mi sembrava il più gran male possibile, era di non porlo” – Simone Weil, quinta lettera a padre Perrin (“Autobiografia spirituale”): “Ho sempre adottato come sola posizione possibile la posizione cristiana. Sono per così dire nata, sono cresciuta, sono sempre rimasta nell’ispirazione cristiana”. Distinguendo cioè fra Dio e il mondo: “Mentre il nome stesso di Dio non aveva parte alcuna nei miei pensieri, aveva nei riguardi dei problemi di questo mondo e di questa vita la concezione cristiana, di una maniera esplicita, rigorosa, con le nozioni più specifiche che essa comporta”.
La distinzione, che culmina la discussione fra i due corrispondenti sull’opportunità del battesimo, che S. Weil ha contestato, vuole probabilmente marcare una distinzione netta dall’ebraismo. Ma, al di fuori del significato personale, pone delle verità a prima vista incontestabili.
 
La Cina è vicina - Da Montaigne a Montesquieu e Voltaire, e compreso anche Rousseau, la Cina fu un modello per l’iIluminismo – dopo essere stata “scoperta” dai gesuiti, innominati (e senza le riserve dei gesuiti, persone anche allora colte).
 
Moderno – Si apre su più vie. La scienza – la matematica, l’osservazione, il calcolo, la tecnica. Ma anche con il progresso, una (residuo?) finalismo della storia. Ad esso accompagna, questa la novità, la sovversione – la rivoluzione. Storicamente si definisce per incostanza, o avventurosità. È matematica e insieme metafisica – Galileo e Kant. Misurazione ma anche illuminazione. Si distingue per non porsi limiti, non precostituiti – si va all’intelligenza artificiale prima di chiedersi a che serve o se è comunque accettabile, oppure no. Alla fine moderno è novità.
 
Nazione - È settecentesca, e democratica – il fulcro delle costituzioni, della democrazia. Il cosmopolita Voltaire vi dedica preso, 1756, un “Saggio sui costumi e lo spirito dele nazioni”. Che apre con una considerazione-argomentazione a rovescio, di un riconoscimento che è anche un’utilità, una convenienza: perché dovremmo privarci di conoscere le nazioni, i corpi politici diversi dal nostro, quando ci nutriamo dei prodotti della loro terra, ci vestiamo di stoffe da loro fabbricate, ci divertiamo con giochi che essi hanno inventato, ci istruiamo con le loro favole? “La «nazione» si affaccia in primo piano, nella storia”, alla vigilia della Rivoluzione francese – F.Chabod, “Storia dell’idea di Europa”, 125: “Intendo, la nazione come «coscienza», volontà di essere nazione, e come programma, non la nazione come fatto etno-linguistico, già da secoli operante”. La nazione dei “primati” – dei “diritti” si direbbe oggi. Per un’ottica appunto “nazionalistica”, non più degli equilibri di potenza.
Voltaire distingue anche fra nazione e popolo. Nazione è gens, popolo connotato etnicamente. Popolo, “corpo del popolo”, è la nazione come si  connota politicamente, e si è organizzata come Stato.
 
Si afferma nel Settecento, in una con la scoperta e celebrazione dell’Europa – è il filo di Chabod, “Storia dell’idea di Europa”. E si afferma “da sinistra”, con argomenti “da destra”: è il mondo-tempo dei “primati”, seppure morali e civili. Ma anche, perché no, territoriali, e della specificità escludente, senza più il bisogno o il desiderio di pace, di balance of power. È il tempo della “Marsigliese”, dell’Alfieri del “Misogallo”, cioè degli “odî” nazionali, del Foscolo dei “Sepolcri”.
 
Rinascimento – È una forma mentis cristiana, religiosa: l’idea che c’è un momento nella storia dell’umanità in cui tutto è racchiuso: l’Antichità, da Pericle ad Augusto, la Rivelazione, la Rivoluzione. All’opposto della mentalità del Progresso.
Non è l’inizio della modernità – o lo è? Allora, il Progresso s’innesta in questa storia del Tutto, del compimento?
 
Sovranismo - Nasce anch’esso, come la nazione, “a sinistra”: primo sovranista si può dire Rousseau, in tutta l’opera e più specificamente nelle “Considerazioni sul governo della Polonia”, al cap. III. Nel “Contratto sociale” è arrivato a criticare Pietro il Grande per aver voluto “incivilire” la Russia, dotarla di istituzioni e attività moderne ed europee, ma di fatto l’ha “snaturata” – dei Russi “ha voluto farne dei tedeschi, degli inglesi, mentre bisognava cominciare col farne dei russi: ha impedito così per sempre ai suoi sudditi di diventare quello che avrebbero potuto essere persuadendoli che erano quelli che non sono”.
 
Storia – È più Sisifo che il masso – la storiografia. Per colpa della storia, che non è una macchina calcolatrice, si dispiega nell’immaginazione, e prende corpo in risposte multiformi. Ma gli storici hanno le loro colpe. L’umanità si muove in modo continuo, anche se vario, mentre per capire le leggi del suo moto gli storici usano unità arbitrarie, discontinue: epoche, stadi, periodi, percorsi. E così, si deve concludere con Tolstòj, “ogni deduzione della storia si dissolve come polvere”.
È come se si volesse coprire con la storia la realtà: si fanno appelli, s’invocano leggi, si creano fatalità. Ma allora – sempre Tolstoj - si può sperare di capire le leggi della storia “solo ammettendo all’osservazione unità infinitesimali, il differenziale della storia, le inclinazioni omogenee degli uomini” – con l’ammonizione: “La stranezza e comicità della nuova storia è l’essere simile a un uomo sordo che risponda a domande che nessuno gli fa”.
Ogni storia è nuova, ma è nota.
  
Verità - La verità non è bellezza. La verità può non essere bella, se non in un’estetica della salvezza, la povertà è difficile che lo sia.  
 
Viaggiare – È genere “occidentale” – raccontare i viaggi? Nell’aldilà come nei cinque continenti, e nei mari? Un europeo, la cui cultura è la curiosità, il reale lo appassiona se è vario.
Ma ora che la geografia è abolita, che faceva le distanze, e si viaggia in sicurezza a mille all’ora, si parla con chi si vuole all’istante, ci s’incontra ovunque? E le differenze pure sono abolite, o in sospetto, si mangiano a Tokyo buoni spaghetti, a Roma il sushi, e le ballerine di samba sono più belle a Parigi.
Si smaterializza anche la storia. Che però si può sempre raccontare, sulla scia di Erodoto, o evangelica, o moralista, il meraviglioso inventato dagli inglesi nel Seicento, quando da pirati si fecero signori.
 
Ottima disposizione dello spirito scovare le vene d’oro, siano pure esili. Potocki e Robert Byron creano meraviglie sull’orrido. È il disegno della povertà di chi non l’ha vissuta, un altro genere di felicità. Un libro onesto di viaggio sarebbe due volte su tre la storia degli Ik di Turnbull, indigeribile. I viaggiatori s’acquietano in Ulisse, che, nonché baro, è parto letterario. Della letteratura come teatro, a fine catartico, o al gusto del vino d’annata, consolatoria. Ma l’“Odissea” non è credibile, fa perno su una donna che aspetta un uomo, che non è mai successo.
L’ebreo errante è, come il cabalista, un bugiardo, anche se ha di che narrare.   


zeulig@antiit.eu

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