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Auto-coscienza – O confessione - narrazione di sé, quale oggi prevale. Ci si conosce per sommatoria:
cosa s’è aggiunto, cosa distrutto. Ma non a torto i bogomili dicevano la natura
opera del diavolo, che tormenta beffardo l’uomo e gli sottrae forze e desideri.
Conviene concentrarsi su di sé, si scrive pure per il bisogno che si ha di esprimersi.
Come Tolstòj, che gira su se stesso. Che anzi,
come Turguenev ha intuito, il terribile segreto opprime di non riuscire ad
amare altri che se stesso.
Ma bisogna essere corazzati, tali il
pedagogo Rousseau che i figli crebbe al brefotrofio – uno che ama l’infanzia ma non i suoi figli è un altro discorso: se l’uomo
moderno è scisso, l’intellettuale è fangoso, ma “Rousseau mentiva e credeva
alla sua menzogna”, nota Tolstòj. E questo chiude il discorso, o lo riapre.
“L’anarchica onnipotenza della personalità
è un lapsus”, dice ancora Tolstòj, “bisognerebbe dire monarchica”. Per quanto, i
russi non sono affidabili: “Parlo a nome mio”, dice Sklovskij, “ma non di me. Inoltre,
quel Viktor Sklovskij di cui scrivo probabilmente non sono io e forse, se ci
incontrassimo e prendessimo a parlare, sorgerebbero tra noi dei malintesi”. La
confessione esce dalla testa di sant’Agostino, per il quale Dio sta sopra di
noi ma va cercato dentro di noi. Ma ha una parentela. È Giobbe l’antenato della
confessione.
Come in Giobbe, la confessione risuona
della viva voce dell’autore. Questa è la confessione: parole a viva voce. La
confessione è parlata, è una lunga conversazione, in tempo reale. Ma, come un
romanzo, ci trasporta in un tempo immaginario, creato dall’immaginazione, in
circostanze anche immaginarie. Il romanzo ha origine nella lanterna magica,
nella soffitta abbandonata, nella natura vergine. In un tempo diverso da quello
della vita. Quando il tempo del romanzo è quello della vita - Proust, Joyce –
si ha una confessione.
Coscienza – Tolstòj spregia la coscienza. Anche
Hitler, che ne imputò l’invenzione agli ebrei. Già Hobbes la teneva in
sospetto: “Coscienza, secondo il modo in cui solitamente gli uomini usano la
parola, significa un’opinione, non tanto della verità della proposizione quanto
della loro conoscenza di essa, alla qual cosa la verità della proposizione è
conseguente”. Quindi, se io non conosco Gigi ‘Rriva, verità della proposizione,
e al bar sento i fautori di Rivera, magari mi convinco che il bomber è un brocco. La certezza si combatte
con l’incertezza, o con un’altra certezza? E l’incertezza? Siamo nel film di
Antonioni, e va bene. Ma a che punto è la guerra al vecchio, il mediocre,
l’ingiusto? O l’istinto di tirarsi indietro non è in reazione alla
vilificazione di massa, ma contro l’egualitarismo che essa comporta? Da hobbits, i paguri del retrogrado
Tolkien, che si ritagliano il loro piccolo mondo, fatto di ripetizioni
gratificanti per essere comode, contro le convulsioni del grande mondo, e sono
stupidi, incerti, terrorizzati, terroristi, insulari, conservatori. A noi non
ci spaventa il brutto ma, per dire, quest’uso democratico, piccolo borghese,
del doppio dativo, che poi in Spagna è buonissima grammatica. Del resto la
coscienza, coi rimorsi e tutto, ce l’hanno i buoni, ai quali non sarebbe
necessaria.
E dunque la coscienza, che Hegel mette con Dio o spirito del
mondo, è invenzione del diavolo, se umilia i buoni. Per i ladri è la morte, nel
Dictionnaire di Vidocq. Se non è lo
Stato. Sempre Hegel afferma che “lo Stato è lo spirito che risiede nel mondo, e
si realizza nel mondo attraverso la coscienza”. La coscienza, dunque, è dei
Prefetti.
O del Novecento. Per
la tecnica del flusso di coscienza, la letteratura del secolo, o delle seghe,
abili certo, interminabili.
Del racconto senza interruzioni è maestra
Vernon Lee, frasi di una pagina, modellate, senza ripetizioni né anacoluti, o
soffi al cuore, un gioco d’incastri senza fatica. Il flusso di coscienza invece
si vuole debordante. E dunque è la coscienza uno sciacquone? Deve avere qualche
parentela con la confessione, una salmodia insonora.
Politicamente corretto – Ida Magli, che da ultimo si è voluta scorretta
– anticonformista, criticona, perfino “di destra” – vedeva però bene, una
dozzina d’anni fa, “Dopo l’Occidente”, sul confomismo vuoto di oggi. A
propopsito del politicamente coretto: “La forma più radicale di lavaggio del cervello che i
governanti abbiano mai imposto ai propri sudditi. La corrispondenza
pensiero-linguaggio è infatti praticamente automatica. (...) Non sappiamo chi
sia stato a ideare un tale strumento di potere per dominare gli uomini e
indurli a comportarsi secondo la volontà dei governanti, un'evoluzione
terrificante di quella che un tempo si chiamava censura. Terrificante
soprattutto perché la censura non è più visibile come tale, nessuno ne è più
consapevole: è stata introiettata”. Compreso il genere-non genere:
“«L'uguaglianza finale non sarà soltanto quella delle idee, della lingua, della
religione, della Patria, ma anche fisica. L'uguaglianza che si persegue, però,
è il più possibile indistinta, di cui il modello è il trans. Si tratta, dunque,
di preparare i giovani a non appartenere a nulla, a non identificarsi in nulla,
a non sapere orientarsi sessualmente ma anche geograficamente, come è stato
affermato con semplicità eliminando la geografia dagli insegnamenti
scolastici”.
Ricordo – È selettivo, si sa – “la mia memoria è
eccellente per dimenticare”, poteva dire Stevenson, “Rapito”. Anche casuale e
involontario, distorcente a volte, ma pur sempre una ricostruzione. Di cose già
vissute, in qualche modo - Pavese non ha ragione, che annota il 28 gennaio 1942
nel diario “Il mestiere di vivere”: “Ricordare una cosa significa vederla - ora
soltanto – per la prima volta”.
Succede anche su terreni neutri, non problematici,
non penali – un film, una lettura. Recentemente due film che il ricordo ha interamente
trasformati. Uno, “I ponti di Madison County”, una lettura propone di tante
cose che il ricordo eliminava: la solitudine in famiglia, l’emigrazione (trasmigrazione, dei
corpi e delle anime), la famiglia come unità, di anima e di corpo. Mentre si
ricordava l’Iowa come deserto, nella calura e l’umidita, nell’isolamento, pur
nella benevolenza tra vicini, i ponti di legno coperti come un modesto “segno
di sogno”. E senza l’Italia, che invece vi ha gran parte. E ancora: l’isolamento
del globe-trotter, come si diceva, il vagabondo. E l’“inesistenza”
dei genitori per i figli, forte, diffusa. O “Guida romantica a posti perduti”,
film anche recente, quindi meno dei “Ponti” passibile di vuoti di memoria: memorizzato
solo per i luoghi, le immagini dei luoghi, in effetti molto vive, mentra è un
racconto di due disadattati, un alcolizzato e una fobica, dettagliato,
insistito, prevalente nella narrazione e nelle immagini.
Rinascimento – Stagione del nichilismo lo vede Gadda nel saggio
su Manzoni, 1924, “Apologia manzoniana”. Del “nihilismo fiorentino”, tra
Machiavelli e Galileo. Rivedendo umoristicamente la figura di Don Ferrante in
Manzoni, nel romanzo, lo dice Grande Opinionista – “è una persona colta, guida
l’opinione”. Con una folta biblioteca, ma “deviata”: “C’è nello scaffale un posto per il
«Principe» e un altro per il «Saggiatore» ma non sono proprio i suoi santi.
Piante più grosse, nella bizzarra foresta, hanno avviluppato e soffocato”. E in
nota: “. Volendo vederne la
ragione dialettica. È già in atto in questo ostracismo la reazione religiosa
(Molina, Corneille, Kant) contro il nihilismo fiorentino, sbocco del
nostro Rinascimento”.
zeulig@antiit.eu
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